PASSAGGIO IN INDIA di David Lean, 1984

PASSAGGIO IN INDIA di David Lean, 1984

Nei primi anni del Novecento la signora Moore (Peggy Ashcroft), un’anziana donna inglese, in compagnia della giovane Adela (Judy Davis), fidanzata del figlio, intraprende un viaggio in India, a quel tempo ancora sotto il dominio della corona britannica. Appena arrivate fanno amicizia con il dottor Aziz (Victor Banerjee), un giovane medico indiano vedovo con due figli, che prova grande ammirazione per la civiltà inglese. Orgoglioso di far conoscere gli aspetti più interessanti della cultura indiana, propone alle due donne una gita per visitare le grotte di Marabar, famose per essere completamente al buio e per produrre un’eco impressionante. Durante la visita, alla quale non partecipa la signora Moore, Adela si allontana da sola e ad un certo punto sembra essersi persa, tra lo sconforto di tutti e soprattutto di Aziz che decide di andarla a cercare. La giovane donna verrà ritrovata all’esterno delle grotte in uno stato confusionale e con i vestiti in disordine, lasciando chiaramente ad intendere di essere stata molestata dal dottore che, invano, cercherà di dimostrare la sua completa innocenza. Arrestato e processato Aziz alla fine verrà rilasciato in quanto Adela ritratterà la sua accusa, con la conseguente reazione della popolazione locale oramai pronta alla rivolta contro la supremazia inglese ed anche dei residenti britannici che, sdegnati dal comportamento contradditorio della ragazza, decideranno di emarginarla.

Il film diretto da David Lean, regista, attore, sceneggiatore e produttore inglese morto nel 1991, fu tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Edward Morgan Forster ed ebbe molto successo sia di critica che di pubblico ottenendo diversi premi internazionali tra cui due Oscar (miglior attrice non protagonista a Peggy Ashcroft e miglior colonna sonora a Maurice Jarre), tre Golden Globe e un premio BAFTA.

Questa storia, che ci introduce nella millenaria cultura indiana, ci suggerisce una ricetta molto semplice e di effetto tipica della regione orientale del paese: spezzatino di pollo alla bengalese.

INGREDIENTI: 600 grammi di petto di pollo a spezzatino, 1 arancia, 1 limone, 200 grammi di ananas, 2 mele, 50 grammi di burro, farina, sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO: Infarinare lo spezzatino di pollo e farlo leggermente rosolare nel burro fuso a fiamma moderata. Aggiungere il succo di una arancia e di un limone e lasciare cuocere per una ventina di minuti. Aggiungere quindi i pezzettini di ananas e di mela e lasciare ancora cuocere per pochi minuti, dopo aver aggiunto un poco di sale e pepe. Il piatto va servito tiepido accompagnato a piacere da crostini di pane.

CLAUDIO IMPERATORE. MESSALINA, AGRIPPINA E LE OMBRE DI UNA DINASTIA

CLAUDIO IMPERATORE. MESSALINA, AGRIPPINA E LE OMBRE DI UNA DINASTIA

(Museo dell’Ara Pacis – Roma, 6 aprile/ 27 ottobre 2019)

E’ stata inaugurata in questi giorni, presso il Museo dell’Ara Pacis, una mostra molto interessante sulla figura dell’Imperatore Claudio e delle sue due ultime mogli Messalina e Agrippina nel contesto della corte imperiale caratterizzata da efferati fatti di sangue, intrighi e vicende a dir poco ardite.

Claudio nacque fuori dal territorio italico, esattamente a Lugdunum, l’attuale Lione, nel 10 a.C. ed, a causa delle sue precarie doti fisiche e psichiche, non era mai stato seriamente preso in considerazione da Augusto il quale, come suo successore, avrebbe preferito indicare il fratello Germanico che però morì in strane circostanze. Designato il figlio Caligola per le sue indiscusse abilità politiche ma che disgraziatamente rimase ucciso in una congiura di palazzo, il posto rimase vacante in favore di Claudio che a cinquant’anni venne acclamato imperatore dal corpo militare dei pretoriani.

La mostra, attraverso un curatissimo percorso espositivo, ci presenta i vari personaggi attraverso installazioni audio-visive e preziose opere d’arte provenienti da importanti musei italiani ed internazionali che hanno contribuito ad elevare il valore dell’esposizione ad un livello molto alto. Tra i più importanti oggetti di interesse storico e archeologico esposti, troviamo la famosa Tabula Claudiana su cui è impresso il discorso tenuto da Claudio in Senato nel 48 d.C. sull’apertura ai notabili galli del consesso senatorio, nonché il prezioso cameo con il ritratto dell’imperatore, per gentile concessione del Kunsthistorisches Museum di Vienna, ed il piccolo ritratto bronzeo di Agrippina Minore proveniente dalla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo.

La Mostra, così articolata, ha saputo ben evidenziare la vita e il regno di un imperatore che, nonostante fosse discusso dagli storici del tempo, mostrò al contrario grandi abilità politiche nel prendersi cura del suo popolo e nel promuovere grandi lavori pubblici, contribuendo così allo sviluppo e all’espansione dell’impero romano. Suscita curiosità il rapporto intrigato di Claudio con le sue quattro mogli e soprattutto con la lasciva Messalina, uccisa con il suo consenso, e con la nipote Agrippina, sua ultima moglie, considerata l’artefice della sua morte allo scopo di agevolare la successione al figlio Nerone.

Il grande evento Claudio Imperatore. Messalina, Agrippina e le ombre di una dinastia è stato curato da Claudio Parisi Presicce e Lucia Spagnuolo, ideato dal Musée des Beaux-Arts de Lyon che ha ospitato l’esposizione sino allo scorso 4 marzo. Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da Ville de Lyon, la mostra è sicuramente da non perdere in quanto ci presenta uno dei più controversi imperatori romani e ci fa scoprire gli elaborati meccanismi di corte e le spietate congiure per la conquista del potere.

data di pubblicazione:08/04/2019

IL PIACERE DELL’ONESTÀ di Luigi Pirandello, regia di Alessandro Averone

IL PIACERE DELL’ONESTÀ di Luigi Pirandello, regia di Alessandro Averone

(Teatro Vascello – Roma, 2/7 aprile 2019)

Angelo Baldovino, uomo socialmente fallito al quale nessuno dà più credito, accetta di sposare Agata rimasta incinta da una relazione con il Marchese Fabio Colli. In questo matrimonio di facciata, Angelo si comporterà in maniera del tutto ineccepibile in quanto, in un mondo di disonesti, inizierà ad assaporare “il piacere dell’onestà” non solo per riabilitarsi nei confronti degli altri ma soprattutto per rivalutarsi verso se stesso.

  

 

Dopo quasi otto anni dalla messa in scena di Così è se vi pare, Alessandro Averone, regista e attore teatrale formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, presenta in questi giorni al Vascello Il piacere dell’onestà centrando in pieno un tema molto caro al drammaturgo siciliano. Pirandello, soprattutto nei suoi lavori teatrali, ha spesso affrontato il problema dell’uomo e dell’impossibilità di mostrarsi per quello che è, non per quello che la società vuol fargli credere di essere. Ecco che Averone ci presenta una serie di personaggi che tra il tragico e il grottesco fanno fatica e smascherarsi per dare spazio alla propria essenza al di là delle apparenze: l’uomo così è solo una immagine esteriore di come gli altri lo rappresentano e quindi ben lontano dal manifestare la propria vera natura. Accanto al regista, sulla scena nei panni di Baldovino, troviamo Marco Quaglia, Alessia Giangiuliani, Laura Mazzi, Gabriele Sabatini e Mauro Santopietro, in una produzione del Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Knuk Company, che compongono un cast di eccezionale bravura. Gli attori si muovono con assoluta presenza scenica rivelando senza difficoltà l’essenza propria dei vari personaggi. Alle maniere affettate e intrise di ipocrisia del marchese Colli, fa da contrappunto il comportamento schietto di Baldovino che, pur adattandosi alle apparenze richieste dagli accordi stabiliti, non può fare a meno di rivelare la propria integrità morale nei confronti di Agata la quale, comprendendo la sua onestà, inizierà a manifestargli il proprio sincero amore. Le scene, curate da Alberto Favretto, sono essenziali mentre giocano un ruolo fondamentale i costumi di Marzia Paparini che, a seconda dei personaggi, sono elaborati ma in alcuni casi caratterizzati da un’apparente banalità.

Le musiche, a cura di Mimosa Campironi, sono apparse a chi scrive a volte stridenti e sconnesse rispetto alla rappresentazione, coerenti solo per l’ouverture da Le Nozze di Figaro di Mozart.

Lo spettacolo sembra comunque trasmettere lo spirito proprio del pensiero di Pirandello dove ognuno, sia in teatro come nella vita di ogni giorno, recita la propria parte secondo un copione dal quale difficilmente ci si può discostare.

data di pubblicazione:04/04/2019


Il nostro voto:

DAFNE di Federico Bondi, 2019

DAFNE di Federico Bondi, 2019

Dopo l’improvvisa morte della madre, Dafne, nata con la sindrome di Down, dovrà occuparsi non solo energicamente del padre che lotta contro una forte depressione, ma anche pensare a riorganizzare la sua vita rielaborando il lutto dentro di sé. Di contro troverà fortunatamente un clima di affetto tra i colleghi del supermercato in cui lavora e tra gli stessi clienti, che la circondano d’affetto in maniera assolutamente disinteressata. Nonostante la giovane età, Dafne con il tempo riuscirà a prendere le redini della situazione, gestendo tutto con l’ottimismo che la contraddistingue, mostrandosi capace di superare i momenti tristi e trovare la forza di andare avanti per la sua strada.

 

Federico Bondi è un giovane regista e sceneggiatore italiano che si è fatto già conoscere dalla critica e dal pubblico con il suo primo lungometraggio Mar Nero, più volte premiato nel 2008 al Festival di Locarno. Questo suo secondo lavoro Dafne, che arriva nelle sale nella Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down, dopo essere stato vincitore della Sezione Panaroma durante la 69ma Berlinale, è un progetto nato quasi per caso come ha dichiarato lo stesso regista, osservando un giorno per strada un padre anziano e sua figlia con la sindrome di Down che si tenevano per mano. Ripensando a quella scena non esitò a scrivere un soggetto che, dopo l’incontro con la protagonista Carolina Raspanti, diventò una vera e propria sceneggiatura. Il film sin da subito colpisce proprio per l’interpretazione della sua protagonista perché si percepisce come la giovane porti in scena sé stessa, così com’è realmente nella vita: “non è stata Carolina ad entrare nel film, è stato il film a piegarsi a lei”. La Raspanti grazie ad un modo nell’affrontare il quotidiano ricco di verve, coraggio e determinazione, riesce perfettamente a trasmettere quanto sia importante guardare avanti perché, comunque sia, la vita è bella per quello che è e che, qualsiasi sia la nostra condizione genetica, non è una malattia che possa impedirci di viverla pienamente.

Dunque una storia semplice, a metà strada tra commedia e dramma, che ci diverte e commuove al tempo stesso; una narrazione che ci fa percepire quanto “diversi” siano tutte le persone incapaci di percepire e di godere “del qui ed ora”.

Il padre di Dafne, che per tre giorni dalla nascita non ebbe il coraggio di guardare la figlia nella culla, osserva la sua intraprendenza quasi con ammirato stupore perché è proprio lei a dargli la forza necessaria per sopravvivere al dolore per la perdita della moglie: ciò che conta è restare uniti e affrontare insieme con un sorriso quello che verrà.

Un plauso va a questo giovane regista che con la sua spontaneità è riuscito a creare un piccolo gioiello cinematografico e a dare un messaggio forte al pubblico che, dopo la proiezione ufficiale durante l’ultima Berlinale, lo ha ringraziato con un lungo e caloroso applauso, lo stesso che certamente tributerà il pubblico in sala.

data di pubblicazione:21/03/2019


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LA FUGA di Sandra Vannucchi, 2019

LA FUGA di Sandra Vannucchi, 2019

Silvia, anche se deve ancora compiere undici anni, dimostra una certa maturità: è molto brava a scuola e sa cavarsela in tutte le situazioni che la vedono impegnata in prima persona. Suo malgrado vive in una situazione familiare molto pesante, con una madre perennemente depressa e un padre che cerca di barcamenarsi in casa tenendo per quanto possibile la famiglia unita. La bambina, che vive a Pistoia, ha il grande desiderio di visitare Roma ma, nonostante le reiterate promesse dei genitori, non riesce ad esaudire questo desiderio fino al giorno in cui decide di partire da sola, con il coraggio e la determinazione che la contraddistinguono. L’incontro sul treno con Emina, ragazza rom, le aprirà un mondo finora a lei sconosciuto dove lo spirito di sopravvivenza e l’affetto daranno origine a situazioni contraddittorie seppur pregne di una profonda umanità.

 

 

Selezionato e premiato in vari festival internazionali, finalmente approda nelle sale italiane La fuga di Sandra Vannucchi, al suo esordio per la regia. Il film trova ispirazione da un’avventura realmente vissuta dalla regista quando a dieci anni decise di fuggire di casa per recarsi da sola a Roma e visitare la città all’insaputa dei suoi genitori. La storia raccontata nel film, tuttavia, prende una piega diversa perché la protagonista fugge da una situazione familiare disastrosa con una madre in totale stato depressivo ed un padre tutto impegnato a tenere unito un menage familiare che va letteralmente a pezzi. Ancora una volta ritorna sul grande schermo – basti pensare al tema principale sul quale si è basata l’ultima edizione della Berlinale – la famiglia come specchio della società e il disagio che i minori, in alcune situazioni di particolare indifferenza genitoriale, devono sostenere e sopportare. Ci si trova di fronte a una totale assenza di dialogo e di interesse verso le reali esigenze affettive, surrogate spesso con oggetti quali playstation, telefonini o zainetti alla moda. La fuga di Silvia non nasce solo come atto di ribellione per attirare l’attenzione su di sé, ma si trasforma nel desiderio di scoprire un mondo nuovo che le possa aprire prospettive di crescita. Determinante l’incontro con una coetanea rom: tra di loro, così diverse per estrazione sociale e cultura, nascerà un’amicizia profonda e un reciproco aiuto.

La fuga racconta una storia delicata che ci emoziona profondamente per la sua semplicità e che ci permette di sondare la sensibilità di una bambina che soffre per il rifiuto di essere ascoltata. Film indipendente, low budget, girato tra la Toscana e Roma, ha come protagonisti Donatella Finocchiaro e Filippo Nigro nel ruolo dei genitori di Silvia, interpretata dalla giovanissima Lisa Ruth Andreozzi, che per questo ruolo ha già ottenuto una menzione speciale al Festival di Woodstock, alla sua seconda esperienza cinematografica dopo aver interpretato nel 2015 il ruolo di Martina ne Il professor Cenerentolo di Leonardo Pieraccioni.

Bravi anche gli altri attori non professionisti provenienti da un campo nomadi romano dove sono state girate alcune riprese del film che mostrano la condizione disumana in cui i rom sono costretti a vivere.

Ottima la fotografia di Vladan Radovic, già vincitore del David di Donatello nel 2015 con il film Anime Nere di Francesco Munzi.

data di pubblicazione:06/03/2019


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