da Antonio Iraci | Set 15, 2024
Lou, ragazza ribelle e anticonformista, gestisce per conto del padre, trafficante d’armi, una palestra frequentata da bodybuilder fanatici del proprio corpo. Un giorno si presenta, per allenarsi, la giovane e bella Jackie con il sogno di esibirsi a Las Vegas in un concorso di culturismo femminile. Già da subito tra le due scatta una profonda intesa, ma per salvaguardare a tutti i costi il loro amore cadranno in una trappola di violenza e morte…
Questo film della regista britannica Rose Glass è stato presentato al Sundance Festival negli USA e successivamente a Berlino, fuori concorso nella Sezione Berlinale Special dove ha riscosso ampi consensi. Certamente è rivolto a un pubblico d’élite, sia per gli argomenti trattati che per i contenuti altamente violenti. Oramai siamo più che abituati alle scene di sesso esplicito tra due persone dello stesso sesso e tutto rientra nella normalità. Qui quello che colpisce è come l’amore, in ogni sfumatura venga concepito, sovrasti ogni cosa e come, pur di salvaguardarlo, si sia disposti a subire violenza e a fare violenza. Quando tra le due ragazze nasce questa forte attrazione fisica, Lou (Kristen Stewart) non immagina assolutamente quanto la sua compagna Jackie (Kate O’Brien), oramai perdutamente dipendente da steroidi, possa essere feroce e rissosa. Entrambe saranno pian piano coinvolte nei traffici illeciti del padre di Lou (Ed Harris), in un vortice di efferati omicidi dove loro stesse dovranno pagare a caro prezzo una possibile via di scampo. Se nella prima parte del film si riusciva in qualche modo a seguire con un certo interesse la storia descritta a tinte più che noir, nella seconda parte invece si rimane un poco sorpresi dal ricorso a scene fantasy che in qualche modo rendono il tutto meno apprezzabile. Certamente una caduta di stile da parte della regista che ha voluto mettere troppa carne al fuoco mescolando una serie di generi non sempre in accordo tra di loro. Un lavoro quindi non perfettamente riuscito e fruibile solo in parte. Tutto appare eccessivo, dai muscoli di Jackie alle situazioni proposte, tutte in buona parte prevedibili come la sua rabbia repressa per un’infanzia poco felice. Con una buona sforbiciata di scene alla Hulk, il film avrebbe potuto avere il suo perché… ma rimane solo una bella occasione perduta!
data di pubblicazione:15/09/2024
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da Antonio Iraci | Set 14, 2024
Notte di Ferragosto presso l’Ospedale Santi Martiri di Napoli. Angelo e Salvatore, entrambi infermieri, sono di turno in corsia. Il ricovero del sig. Caputo, già in coma per un ictus cerebrale, li spingerà a scommettere sulla sua sopravvivenza o meno a quella notte. La posta in gioco: la settimana di ferie tra Natale e Capodanno che solo uno potrà aggiudicarsi. Strano a dirsi, ma dopo una serie di vicende rocambolesche, nessuno dei due vincerà la scommessa…
Solo un napoletano doc, in questo caso il giovane regista Giovanni Dota, può parlare e rappresentare la morte con ironia, esorcizzando così qualcosa che rende ognuno di noi pieno di paura e di superstizione. Come si sa, la stessa morte aleggia principalmente tra le corsie di un ospedale dove, per la più o meno grave sofferenza altrui, può fare incetta più agevolmente. Le vicende che hanno come protagonisti i due infermieri Angelo (Carlo Buccirosso) e Salvatore (Lino Musella) si possono certamente considerare di routine visto che si accavallano in maniera per niente surreale in un tipico ospedale, in una tipica notte afosa d’agosto, in una tipica realtà tutta italiana. Certo meglio non generalizzare, anche perché il film non è certamente una critica studiata o una palese accusa alla nostra malasanità, quanto piuttosto uno strumento per parlare di morte con fatalismo e spirito distaccato, proprio dell’umorismo napoletano. Sono vari i personaggi che accompagnano i due protagonisti della fatidica e quanto mai inusuale scommessa sulla sorte di un malcapitato paziente. La dottoressa di turno alle prime armi, incerta sulle decisioni da prendere, il chirurgo in reperibilità, completamente incapace di affrontare un’operazione perché strafatto di cocaina. Senza contare la moglie di Angelo che irrompe in ospedale per fondati sospetti di tradimento del marito con la giovane e attraente impiegata del comparto socio sanitario. La storia è limitata nel tempo, una notte, e nello spazio, l’ospedale, ma senza arrecare alcun senso di claustrofobia allo spettatore che si troverà ad affrontare con il sorriso, una situazione nella quale lui stesso potrebbe venire a trovarsi. Una tragedia quindi che fa riflettere, un modo di esprimersi profondo e ridanciano che solo la grande commedia di De Filippo era riuscita prima a rappresentare. Una storia che parla soprattutto di noia, caldo, deviazione ai propri compiti per insoddisfazione alla propria vita: ognuno non è per niente felice di quello che è e di cosa fa. Il film è stato presentato nell’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella Sezione dedicata alle Giornate degli Autori.
data di pubblicazione:14/09/2024
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da Antonio Iraci | Ago 5, 2024
Il detective Enzo Vitello è a capo delle indagini che stanno seguendo gli spietati omicidi, apparentemente senza un nesso logico tra di loro, di un serial killer a cui hanno dato il nome Dostoevskij. Alla base di questa scelta c’è il fatto che, dopo ogni esecuzione, l’omicida lascia sempre una lettera in cui manifesta la sua cupa visione del mondo. La polizia cerca di interpretare questi messaggi criptici per costruire un identikit credibile che possa rivelare la personalità dell’assassino…
Dopo il successo di Favolacce, presentato alla Berlinale nel 2020 dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, e dopo l’insuccesso di America Latina, flop ammesso dagli stessi autori, ecco che i fratelli D’Innocenzo ritornano al grande pubblico questa volta con una serie televisiva. In anteprima mondiale al Festival di Berlino di quest’anno, è stata proposta per pochi giorni al cinema, dividendo i sei episodi in due parti, prima di andare in autunno su Sky. Ancora una volta i due enfant prodige del cinema italiano si trovano impegnati in qualcosa che va al di là di ogni plausibile aspettativa. La trasgressione, in tutte le forme immaginabili, sembra essere il punto di forza di questi giovani registi, per niente convenzionali, che hanno imparato a trasmettere sensazioni sgradevoli con un tono e una leggerezza a volte disarmanti. Probabilmente condizionati dalle proprie origini, i D’Innocenzo amano descrivere un’umanità di disadattati che vivono in miseria estrema, ai margini della società. Così, anche in questa storia, troviamo che i personaggi coinvolti devono fare i conti con la propria realtà nel tentativo di rappacificarsi con un passato scomodo, tutto da seppellire. Il racconto tiene ovviamente conto della figura di un killer seriale senza scrupoli, ma ciò in cui si concentra l’attenzione riguarda il personaggio del poliziotto (Filippo Timi) e del suo ruolo, di padre fallito e assente, nei confronti della figlia (Carlotta Gamba), oramai tossica all’ultimo stadio. Proprio questo tentativo di recupero di un rapporto irrecuperabile è ciò che tiene sveglio l’interesse dello spettatore. Il killer da protagonista diventa a questo punto l’attore secondario della scena. L’unica immagine di lui ci arriva tramite le sue lettere, lasciate accuratamente accanto ai cadaveri, in cui si manifesta un disadattamento sociale, e dove si concretizzano quelle che gli stessi registi definiscono “le estreme conseguenze di essere vivi”. Un film in cui ritroviamo di tutto, tra squallore e degrado estremo, dove si evidenziano gli archetipi di una società, oramai alla deriva, che non li riconosce più come suoi. Si rimane stupiti e conquistati dalla recitazione di Carlotta Gamba dove a Berlino era presente quest’anno, oltre che nella serie Dostoevskij, anche nel film in concorso Gloria di Margherita Vicario. Dopo aver interpretato l’eterea figura di Beatrice nel film di Pupi Avati su Dante, risulta difficile immaginarla nel ruolo di una ragazza istintiva, con una grande fragilità e con un enorme trauma da superare.
data di pubblicazione:05/08/2024
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da Antonio Iraci | Lug 12, 2024
Ma Zhe è a capo della polizia della piccola cittadina fluviale di Banpo. A seguito del ritrovamento del cadavere di una donna, viene incaricato di seguire il caso e di risolverlo al più presto. Siamo nella Cina rurale degli anni ‘90 e anche se il periodo maoista è oramai dimenticato, tuttavia il clima che si respira sembra rimasto saldamente ancorato ai tempi andati. Gli indizi a disposizione sono pochi e irrilevanti e non sarà facile trovare il vero assassino e capire il perché di quel gesto efferato…
Presentato l’anno scorso a Cannes, nella Sezione Un Certain Regard, questo film del regista cinese Wei Shujun ci riporta all’atmosfera pesante di una Cina che non riesce ancora a liberarsi del suo scomodo passato. La vita in genere rimane ancora difficile anche per la presenza di una ingombrante e persistente macchina burocratica. Di fatto è quindi molto complicato per il giovane ispettore di polizia Ma Zhe venir a capo di tre misteriosi omicidi. Prima l’assassinio di una vecchia, poi il ritrovamento di altri due cadaveri, ogni delitto sembra collegato agli altri ma senza un chiaro movente e tra la reticenza della piccola comunità del luogo. Personaggi strani ed ermetici che fanno da sfondo a questa vera e propria detective story, dove tutto quello che c’è da risolvere di fatto rimane senza soluzione. I protagonisti, direttamente o indirettamente coinvolti, sembrano recitare un ruolo ben assegnato, dove tutto è innaturale anche nei minimi gesti. Lo stesso Ma Zhe deve affrontare le proprie ossessioni personali, con una moglie che sta per partorire un figlio con molte probabilità affetto da gravi disabilità. Interessante come il regista ponga questo personaggio al centro del racconto, proprio per evidenziare la sua complessa personalità, onirica e immaginaria, che si rispecchia non solo nel privato ma anche anche nello svolgere il suo lavoro investigativo. Lui è un vero e proprio enigma umano, anche nelle minime cose e nei rapporti con i superiori rimane sempre indecifrabile, inseguito da una perenne incertezza. Ci saranno i sospettati, le confessioni, la convinzione di essere arrivati alla soluzione, quando invece non vi è nulla di certo né di risolto. Uno sguardo alla Cina di una volta che però in qualche modo riflette la Cina di oggi che, sia pur diventata la terza potenza economica del mondo, fa fatica a liberarsi di molti cliché oramai anacronistici. Bravo il regista, decisamente originale nel descrivere l’atmosfera cupa e opprimente del romanzo di Yu Hua, da cui è tratta la sceneggiatura, giovane e apprezzato scrittore cinese. Bravi tutti gli attori che rendono bene il clima noir che il film vuole descrivere, emotivamente coinvolgente anche se a tratti con effetti leggermente soporiferi.
data di pubblicazione:12/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 11, 2024
Pierre Forges è un pediatra, con scarsa esperienza in politica, che si trova quasi per caso ad accettare ad interim la carica di sindaco di un sobborgo parigino. Quando deciderà di bonificare il quartiere, con la demolizione di alcuni edifici fatiscenti, si troverà di fronte l’ostilità di tutta la comunità franco-africana costretta ad abbandonare le proprie case. La sommossa sarà capeggiata da Habi, donna molto impegnata nel sociale, che farà di tutto per impedire l’abbattimento del fabbricato dove è nata e dove ancora vive…
Dopo lo strepitoso successo per il suo primo lungometraggio I Miserabili, premio della Giuria al Festival di Cannes e candidato agli Oscar nel 2019, Ladj Ly ritorna a parlare della periferia di Parigi, dove peraltro è nato. Lui stesso ha vissuto le tensioni sociali delle banlieue dove gli abitanti, tra rabbia e violenza, si trovano costantemente a lottare per mantenere i propri diritti di fronte ad un ordine istituzionale che li ignora completamente. Il regista aveva esordito qualche anno prima parlando dei disordini avvenuti nel sobborgo di Montfermeil, dove si erano registrati violenti scontri tra i manifestanti e le forze di polizia, mettendo ancora una volta in risalto la non facile situazione che sta attraversando l’intero Paese. Mutatis mutandis anche in questo secondo film, il regista affronta un cocente problema che è quello della riqualificazione delle aree urbane a scapito della popolazione che le occupa da anni. Come suggerisce lo stesso titolo, si tratta di intere comunità, oramai francesi d’adozione, che però risultano indesiderabili da parte di una certa classe politica, senza scrupoli e poca attenta alle loro esigenze. Pierre (Alex Manenti), temporaneamente sindaco, si trova a continuare l’opera distruttiva del suo predecessore, spinto da una incontenibile voglia di affermare se stesso e il proprio potere ricorrendo a prove di forza. Nascondendosi dietro un’ipocrita senso di accoglienza verso una famiglia di profughi siriani, di fatto è completamente insensibile ai bisogni di una intera comunità che, proprio alla vigilia di Natale, si trova costretta ad abbandonare le proprie abitazioni. Lo scontro frontale con la giovane Habi (Anta Diaw) capace di metterlo di fronte alle proprie responsabilità, farà forse riflettere l’irruento e reazionario sindaco, che dovrà così rendersi conto di quanto disastrosa sia stata la sua politica. Un film che certamente fa riflettere sulla cruda realtà delle periferie parigine dove le minoranze si trovano indifese e perennemente minacciate da uno establishment ottuso e cieco che rema loro contro.
data di pubblicazione:11/07/2024
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