ARI di Léonor Serraille

ARI di Léonor Serraille

(75 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE)

Berlino, 13/23 Febbraio 2025

A 27 anni Ari deve ancora trovare un senso nella sua vita. Esautorato dalla scuola, dove insegnava in una classe di bambini, messo alla porta dal padre con il quale conviveva, il giovane ora è sulla strada. Vagabondando da un amico all’altro, cercherà in ciascuno di loro la risposta alle sue ansie. La solitudine è oramai irrimediabile, soprattutto da quando ha deciso di abbandonare la sua ragazza perché rimasta incinta…

Léonor Serraille è una regista e sceneggiatrice francese che ha saputo conquistarsi una certa notorietà soprattutto dopo il suo primo lungometraggio Montparnasse – Femminile singolare. Sin da subito ha dato un’impronta particolare ai suoi film, soffermandosi sulle peculiarità caratteriali dei suoi personaggi e sui drammi interiori a cui sono sottoposti. Ari è un giovane problematico che non sa inserirsi nel lavoro nonostante ami i bambini, gli unici, come dice, di cui ci si può fidare. In effetti solo con loro riesce a interagire, probabilmente perché lui stesso non è ancora sufficientemente cresciuto del tutto. Con una madre morta prematuramente e con un padre aggressivo, Ari si ritrova a sua volta incapace di darsi agli altri nella maniera più adeguata. In cerca di un posto dove dormire, troverà accoglienza presso vari amici intavolando con loro lunghe disquisizioni su ciò che è giusto o ingiusto fare. Per rafforzare la propria considerazione e la corretta dose di autostima, si troverà presto a confrontarsi con i fallimenti degli altri. La regista spesso utilizza primissimi piani dove emerge la faccia ossuta del protagonista Andranic Manet, in un silenzio necessario per smorzare l’eccessiva verbosità delle scene. Il suo sguardo azzurro e limpido sembra a questo punto essere più eloquente di ogni altro discorso. Alla fine il giovane prenderà coscienza che la sua fragilità non è sua prerogativa esclusiva. Gli amici, che lui riteneva felici e realizzati, erano di fatto più vulnerabili di lui. Dietro una facciata di apparente stabilità, li vedrà arrancare in cerca di un appiglio solido a cui aggrapparsi. L’incontro casuale con la sua ex e l’apprendere di essere padre di una bimba porterà Ari a vivere finalmente una vita serena e normale. La sua maggior vittoria sarà quella di vivere all’interno del suo nucleo familiare dove troverà nella figlia la compagna di giochi ideale. Bene accolto dalla critica presente alla Berlinale, il film si è guadagnato la possibilità concreta di ottenere qualche riconoscimento.

data di pubblicazione:16/02/2025








LIVING THE LAND di Huo Meng

LIVING THE LAND di Huo Meng

(75 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE)

 Berlino, 13/23 Febbraio 2025)

Xu Chuang è costretto a vivere in campagna presso alcuni parenti visto che i genitori hanno deciso di cercare lavoro in una grande città. Il ragazzo cerca di adattarsi alla nuova vita senza tralasciare lo studio e i suoi giochi. In famiglia troverà conforto solo in Xiuying, una zia ventenne con un passato poco chiaro, forzata a sposare un giovane di cui non è innamorata…

Rientra nel mood del regista cinese Huo Meng, il voler parlare del suo Paese che oramai non esiste più, se non nei ricordi di pochi. Il film è un racconto epico di una vita campestre che accompagna i drammi di una famiglia, nell’arco di varie generazioni. Una realtà pacata dove si alternano nascite e morti, in presenza di riti arcaici e altamente simbolici. Il regista cura molto l’aspetto estetico per parlare di una comunità stritolata dalla povertà dove i sentimenti riescono nonostante tutto a trovare la loro strada. Se qualcuno intravede un futuro migliore nelle grandi metropoli, gli albori di una rinascita economica non sembrano sfiorare i membri di questa minuscola società. Anche Xu Chuang, ancora appena adolescente, dovrà confrontarsi con questa dura realtà, fondata sulle profonde radici di un tradizionale matriarcato. Il regista utilizza immagini forti per raccontare del quotidiano, di una vita difficile, focalizzandosi sui caratteri e sui simboli primitivi di cui sono espressione. Se il giovane protagonista fa fatica a integrarsi in quel mondo e a seguirne gli eventi, anche lo spettatore sarà escluso da qualsivoglia coinvolgimento. La vita scorre lenta come le immagini di una natura ostile e fredda. Girato con un senso di compassione e forse di nostalgia per un mondo che era ancora autentico e sicuramente scevro da evidenti contraddizioni. Qualcosa che si guarda con rimpianto e che risulta oggi del tutto soffocato dalla Cina che sperimentiamo, tra sfacciato capitalismo e prorompente imperialismo. Un tentativo mal riuscito di ricavarne una metafora costruttiva o un’attenta riflessione sulle dinamiche che governano il quotidiano. Un tuffo nel passato e uno sguardo distratto verso il futuro senza considerare ciò che il presente racconta, tra giochi di potere e false verità. Un’ottima fotografia e una attenta regia non sono sufficienti per definire questo film pienamente riuscito. Una eccessiva descrizione dei particolari, spesso insignificanti, distrae e rende difficile ricavarne un messaggio chiaro e concreto.

data di pubblicazione:15/02/2025







HOT MILK di Rebecca Lenkiewicz

HOT MILK di Rebecca Lenkiewicz

(75 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE)

Berlino, 13/23 Febbraio 2025

Rose, costretta sulla sedia a rotelle, si trova con la figlia Sofia al sud della Spagna per sottoporsi a delle cure in un centro specializzato. La ragazza è molto premurosa verso la madre e cerca in tutti i modi possibili di assecondarla. Un giorno Sofia incontra sulla spiaggia lo sguardo di Ingrid, una donna libera e spregiudicata che la affascina molto. Tra di loro nascerà una tenera relazione non scevra da incomprensioni e gelosie…

Rebecca Lenkiewicz è una sceneggiatrice e drammaturga inglese qui alla sua prima prova come regista. Hot Milk è un adattamento del romanzo omonimo di Deborah Levy e tratta del rapporto singolare tra madre (Fiona Shaw) e figlia (Emma Mackey). Entrambe in Almería per trovare una soluzione alla grave malattia alle gambe di cui soffre da anni l’anziana donna. Il dottor Gómez, al quale si sono affidati, non è un semplice ortopedico ma applica metodi terapeutici molto singolari. Ricorre infatti ai principi della psicoterapia per cercare di arrivare alle cause primarie della patologia. Sofia, nata da una vecchia relazione tra Rose e un greco balordo, studiando antropologia è abituata a osservare i comportamenti bisbetici e capricciosi della madre. Di contro, come spesso avviene, non sa guardare dentro se stessa né capire esattamente cosa dovrebbe aspettarsi dalla vita. Intanto vive in una dipendenza folle che le toglie il respiro e la costringe a un totale isolamento. L’incontro casuale con Ingrid (Vicky Krieps) procurerà in lei una sorta di consapevolezza di chi sia veramente e di cosa realmente ha bisogno. Pian piano le tre donne, ciascuna in modo diverso, mostreranno le proprie debolezze e soprattutto i propri segreti mai rivelati. Un film quindi che rivolge uno sguardo introspettivo alla natura umana e alle tragedie che ognuno può sopportare proprio per salvaguardare la propria esistenza. Sofia, delusa dal passato della madre così pieno di bugie e di sotterfugi, dovrà anche affrontare una realtà alquanto amara. Ingrid, nonostante le promesse d’amore, in realtà è una donna riluttante a qualsiasi legame e ama molto farsi corteggiare da diversi uomini contemporaneamente. Un’analisi quindi alla fragilità dei rapporti soprattutto quelli all’interno della famiglia, frutto di rancori e di verità nascoste. Un film costruito bene, con un cast di primordine e che sicuramente susciterà grande curiosità da parte del pubblico e della critica. Hot Milk è presentato in concorso per l’Orso d’Oro.

data di pubblicazione:14/02/2025








DAS LICHT di Tom Tykwer

DAS LICHT di Tom Tykwer

(75 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE)

Berlino, 13/23 Febbraio 2025

Farrah è una immigrata siriana che trova lavoro a Berlino come governante presso gli Engels. Una famiglia borghese composta da Tim e Milena, dai loro figli Frieda e Jon e dal piccolo Dio, nato da una relazione extraconiugale di Milena. Ognuno sembra badare a sé e a risolvere da sé i propri problemi. L’arrivo di Farrah metterà in crisi le loro esistenze e nello stesso tempo porterà un po’ di tregua nei loro rapporti interpersonali…

Una scelta ben ponderata quella di presentare Das Licht, del regista e sceneggiatore tedesco Tom Tykwer, come film di apertura della 75esima edizione della Berlinale. Si era fatto conoscere in Italia per la serie televisiva Babylon Berlin, un poliziesco che aveva visto come protagonista il commissario Gereon Rath. Abbandonate le situazioni cupe di una Berlino durante l’ascesa del nazismo, Tykwer sembra ora cambiare genere espressivo per concentrarsi sui drammi di una famiglia disfunzionale. In casa Engels ognuno vive per proprio conto e affronta i propri problemi lavorativi, affettivi e esistenziali senza ricorrere a una qualsiasi forma di interazione. L’arrivo di Farrah, come addetta alle pulizie, porterà in casa qualcosa di nuovo e nello stesso tempo di misterioso. La donna riuscirà piano piano a scalfire le difese che ognuno si era costruito per affrontare da solo le proprie sciagure. La vicenda si concentra su uno strano marchingegno che emette una potente luce intermittente, utilizzato da Farrah per sondare il proprio passato. Uno strumento ipnotico che scavando nell’inconscio riesce a riportare a galla situazioni e persone oramai morte. Il regista compone un puzzle intrigante dove si alternano le vicende dei personaggi con musiche e coreografie leggere, in contrasto con la drammaticità degli eventi. In una improbabile Berlino, battuta da una pioggia insistente, risulta chiaro il messaggio su come si dovrebbe affrontare la vita per risolverne le tragedie. Ecco che l’enigmatica immigrata siriana diventerà l’elemento catalizzatore che riuscirà a far chiarezza e a resettare i rapporti all’interno della famiglia. Un cast eccezionale per la presenza di Lars Eidinger e di Nicolette Krebitz rispettivamente nei ruoli di Tim e Milena Engels. Tala Al-Deen, nella parte di Farrah, è ideale come protagonista di una storia forte e immaginifica. Un film che merita una certa attenzione, girato in maniera stravagante ma anche denso di profondi significati. Non è ancora prevista la data di distribuzione in Italia.

data di pubblicazione:13/02/2025








LA MORTE A VENEZIA ispirato all’omonimo romanzo di Thomas Mann

LA MORTE A VENEZIA ispirato all’omonimo romanzo di Thomas Mann

Drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati, con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli

(Teatro India – Roma, 5/9 febbraio 2025)

Durante il soggiorno all’Hotel des Bains sul Lido di Venezia, il famoso scrittore Gustav von Aschenbach incontra per la prima volta lo sguardo di Tadzio. L’uomo rimane letteralmente folgorato dalla bellezza del giovane che, ai suoi occhi, è paragonabile a una scultura greca. Da quel momento inizierà tra i due un intenso dialogo tra sguardi… 

Liv Ferracchiatti rielabora, con una sua propria e libera interpretazione, quanto Thomas Mann riusciva a interpretare, anche lui liberamente, sul concetto di bellezza. Un concetto così puro, di per sé, da sfuggire a qualsiasi definizione. Nel suo romanzo, dal quale poi Visconti ne ricavò un memorabile film, l’autore identificò quest’immagine astratta nel giovane Tadzio. Una bellezza classica, una perfezione assoluta paragonabile a quella di un dio della mitologia greca. Una drammaturgia essenziale con una voce fuori campo che induce a focalizzare l’attenzione su un canestro di fragole, rosse di passione ma messaggere di morte. Ecco che le parole vengono utilizzate per dimostrarne la loro inutilità. Un dialogo fatto di due monologhi, dove le parole stesse sembrano rimbalzare senza soluzione di continuità. Una telecamera sulla scena che si sposta sulla figura inconsistente di un satiro danzante, tutto in maniera discreta per coglierne ogni possibile movimento. Una passione amorosa verso un soggetto fluido, forse un’attrazione reciproca alimentata da un continuo scambio di sguardi, filtrati dall’occhio della cinepresa. Sentimenti vissuti intensamente che saranno una vera e propria ossessione per entrambi i soggetti in scena. Se nella prima parte si era condotti per mano da una voce suadente esterna ai fatti, nella seconda il monologo diventa parola concreta. Il morso avventato ad una fragola, perfino acerba, segnerà la cacciata da un paradiso terrestre e l’avvio inesorabile verso la morte. Una morte che riscatterà tutto, che travolgerà ogni cosa ma che non toccherà la bellezza platonica di Tadzio, né la sua giovinezza. Aschenbach, oramai morente, vedrà sciogliersi il proprio belletto e con esso la figura, in dissolvenza, del giovane. La regista, sulla scena con Alice Raffaelli, riesce brevemente a fare avvicinare lo spettatore alla passione che attraverso lo sguardo può travolgere o addirittura annientare.

Una produzione Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro, TSU Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in collaborazione con Fondazione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

data di pubblicazione:06/02/2025


Il nostro voto: