da Antonio Iraci | Feb 3, 2022
L’ascesa e la caduta di Stan, uomo con un misero passato (contadino sì, ma con i denti dritti) che per puro caso entra a far parte di un luna park ambulante. Dotato di una spiccata intelligenza e grazie anche alla sua avvenenza fisica, riesce ben presto a imparare il mestiere di “indovino” che lo porterà a diventare il Grande Stanton, seducendo la ricca società newyorkese con i propri imbrogli. Per lui, abile manipolatore, sarà facile dimostrare di possedere doti soprannaturali di telepatia, chiaroveggenza, divinazione e, soprattutto, di essere capace di studiare i poteri occulti della mente umana.
Da Guillermo del Toro, che tutti ricordiamo per il successo ottenuto con il film La forma dell’acqua (Leone d’oro alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e due Oscar nelle categorie miglior regista e miglior film), ci si aspettava in effetti da tempo il ritorno a quel noir psicologico che ha caratterizzato buona parte della sua filmografia. La fiera delle Illusioni è tratto da un romanzo di William Lindsay Gresham e del quale già esiste una versione cinematografica del 1947, con la presenza di Tyron Power, a quel tempo considerato il divo hollywoodiano per antonomasia. Nella versione di Del Toro si rimane sicuramente subito impressionati dalla prima scena, in cui compare Stan (Bradley Cooper) impegnato a dar fuoco alla casa paterna per chiudere drasticamente un passato, che scopriremo essere per lui molto doloroso. Il plot che segue è piuttosto tortuoso, ricco di sorprese che costantemente accompagnano il protagonista in una escalation di falsità, e quindi di illusioni quando, da misero accattone, riesce a conquistare il consenso dell’alta società newyorkese appartenente ad un paese in procinto di tuffarsi nella tragedia della seconda guerra mondiale. La pellicola di Guillermo del Toro ci porta all’interno del lato più oscuro e torbido dell’uomo: in essa troviamo un mix perfetto di realtà e finzione, immaginazione e verità, psicanalisi e illusione ed ogni personaggio da manipolatore si ritroverà poi a essere a sua volta manipolato, divenendo lui stesso vittima del proprio inganno. Singolare come il regista riesca a passare da scene macabre, proprie del mondo dei cosiddetti freaks che sfruttano le proprie alterazioni fisiche per guadagnarsi da vivere, a scene patinate, ambientate in interni stile art déco, con quella ricercatezza estetica tipica degli anni Quaranta. Oltre a Cooper come protagonista principale, che sin dall’inizio riesce ad incarnare la figura di un uomo ambizioso e senza scrupoli pur di raggiungere i suoi obiettivi ma, al tempo stesso, di essere fragile e irrisolto con un passato rancoroso ancora da elaborare, il film può contare su un cast eccezionale: a partire dall’affascinante e bravissima Cate Blanchett nel ruolo della psicanalista Ritter, donna fatale e spietata, anche lei vittima di un trascorso quanto mai misterioso; e poi ancora su Toni Collette, Rooney Mara, Ron Perlman, Mary Steenburgen, oltre ai grandi Willem Dafoe, Richard Jenkins e David Strathairn.
La fiera delle Illusioni è una film di alto spessore sia per il tratto psicologico dei singoli personaggi, sia per le inquadrature e i tagli di scena. Dopo aver già ottenuto dei riconoscimenti, non ci sarebbe da stupirsi se anche i due attori principali riuscissero a conquistarsi una nomination agli Oscar 2022.
data di pubblicazione:03/02/2022
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da Antonio Iraci | Feb 2, 2022
Era uscita di scena senza preavviso da molti anni (colpa di una misteriosa malattia degenerativa, probabilmente Alzheimer) e questo repentino eclissarsi in un silenzioso esilio, ha finito suo malgrado per consolidare la dimensione del mito in un personaggio che, per il suo afflato con il grande pubblico e per la sua esuberanza espressiva, non ha mai assunto l’aristocratico distacco della diva. Unica e inimitabile, fin dagli inizi si colloca fuori dai cliché ritenuti vincenti per il successo: la sua straordinaria ma non convenzionale bellezza e la sua voce insolita, afona e dissonante, si riveleranno adeguate ad esprimere con credibilità le istanze di un cinema più moderno e sperimentale, attraversato dalle inquietudini di personaggi complessi e tormentati, che si muovono in spazi borghesi, tra paesaggi rarefatti. Esemplare e memorabile la tetralogia dell’incomunicabilità di Antonioni. Musa di un cinema d’arte dunque raffinato e stilizzato per la gioia di studiosi e cinephile, grazie all’intuizione di Monicelli che le affida il ruolo della “ragazza con la pistola”, spiazza e sorprende il grande pubblico rivelando una straordinaria vena brillante e perfino comica. Inizia così un nuovo percorso della sua carriera, eclettico e costellato di successi, che la consoliderà come la grande interprete della “Commedia all’italiana” contendendo il ruolo di protagonista (ruolo fino ad allora di appannaggio maschile) accanto a mostri sacri come Sordi, Gassman, Tognazzi e Mastroianni, diretta da registi come Scola, Monicelli, Risi, Loy, Comencini … e perfino Bunuel! Se ne è andata a 90 anni, lentamente si è allontanata quasi a volerci preparare al suo definitivo distacco, ma resterà per sempre nell’immaginario del grande pubblico, consacrata all’immortalità del grande cinema.
data di pubblicazione:02/02/2022
da Antonio Iraci | Gen 31, 2022
(Teatro Ambra Jovinelli – Roma, 25/30 gennaio 2022)
Le sorelle Rosaria e Addolorata, titolari di una modesta merceria in un quartiere popolare di Napoli, amano autodefinirsi “signorine”. Sono infatti due attempate zitelle non certo per libera scelta, quanto piuttosto per un crudele capriccio del destino che le ha rese entrambe claudicanti. Una convivenza non facile la loro ai limiti della sopportazione reciproca, ma che tuttavia con il passare degli anni sembra invece rinsaldare una simbiosi perfetta, destinata a mantenersi intatta anche dopo la morte.
Pierpaolo Sepe è un regista teatrale napoletano noto agli appassionati di teatro per aver firmato oltre sessanta regie. Proprio in questi giorni ha messo in scena un lavoro ideato da Gianni Clementi dal titolo quanto mai allusivo “Le signorine” con la partecipazione di due attrici di grande spessore recitativo quali Isa Danieli e Giuliana De Sio. Nel mondo di oggi, dove lo spettatore è sottoposto sempre più a stimoli visivi e acustici e dove oramai si è visto tutto ciò che c’era da vedere e sentito tutto quello che c’era da sentire, è sicuramente stimolante ritornare a forme di spettacolo semplici, senza più imporre ogni forma di esagerato stupore. La commedia di Clementi ci offre, mutatis mutandis, un teatro alla De Filippo dove va in scena il quotidiano e dove tra il serio e il faceto ci viene da pensare alla realtà in cui siamo obbligati a barcamenarci. Così come per le due sorelle, destinate ad una forzata convivenza pur essendo diverse per temperamento: la più grande legata al senso del dovere e al disperato bisogno del risparmio, in vista di un futuro quanto mai incerto, mentre l’altra ogni tanto attratta dalle piccole trasgressioni e, nell’illusione delle telenovelas, fiduciosa che prima o poi anche a lei capiterà di catturare l’attenzione di un uomo. Un rimbeccarsi continuo per poi chiedersi quale è e quale sarebbe stato il senso della loro vita se non fossero state colpite dalla malattia che le ha rese zoppe sin da bambine. Qui entra in gioco la napolineità di questa commedia, leggera e profonda nello stesso tempo perché, tra l’incalzare delle battute, ci fa riflettere sul senso di ciò che viviamo e sul senso di quella globalizzazione che ci ha reso paradossalmente schiavi di una tanto sbandierata uguaglianza sociale. Molto brave le due attrici in scena che, pur muovendosi in uno spazio claustrofobico, sono riuscite a dare un’immagine interna ed esterna di una realtà effettivamente vissuta. Folto il pubblico in sala, divertito da una forma teatrale all’antica e partecipe di quella atmosfera rilassata che era propria dell’avanspettacolo di un tempo.
data di pubblicazione:31/01/2022
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da Antonio Iraci | Nov 12, 2021
Joanna sbarca a New York con la grande aspirazione di diventare un giorno una scrittrice. Siamo a metà degli anni novanta e non è certamente facile per una giovane donna trovarsi da sola ad affrontare tutta una serie di difficoltà pur di realizzare il proprio sogno. Il lavoro come assistente di Margaret, a capo di un’importante agenzia letteraria, sarà per Joanna una buona opportunità per entrare in un mondo a lei sino ad allora sconosciuto…
E’ uscito finalmente nelle sale italiane Un anno con Salinger del regista e sceneggiatore canadese Philippe Falardeau, presentato nel 2020 come film di apertura della settantesima edizione della Berlinale. Un film leggero, una tipica commedia american style divertente, niente affatto superficiale, che ci porta in una New York degli anni novanta ancora tradizionalmente legata ai propri principi sociali, ma già pronta per accogliere quella rivoluzione socio-culturale che sarebbe presto scaturita con l’avvento e la diffusione di Internet. Joanna lavora in una prestigiosa agenzia che cura gli interessi di scrittori di grosso calibro quali F. Scott Fitzgerald, Agatha Christie e Dylan Thomas, anche se il suo principale compito è quello di raccogliere accuratamente le decine di lettere che ogni giorno arrivano per J. D. Salinger da parte dei suoi numerosi fan, leggerle per poi cestinarle, con il divieto categorico di rispondere. La ragazza si misura con una realtà dove non tutto procede con regolare razionalità e, senza volerlo, entrerà nel mondo del giovane Holden, protagonista appunto del romanzo di Salinger che, agli inizi degli anni cinquanta, diventò appena pubblicato un best seller in tutto il mondo.
Il film ci vuole ricordare come i giovani di quella generazione non si sottrassero al fascino di un giovane, appena sedicenne, che con il suo spiccato senso critico, ma psicologicamente emotivo e fragile, si sarebbe comunque ribellato a un establishment deviato, tipico della società americana di quel tempo.
Margaret Qualley, già famosa per la sua partecipazione in C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino, nel film interpreta una intensa e spontanea Joanna, riuscendo ad esprimere al meglio le emozioni di questa giovane ambiziosa e sognatrice, che si trova catapultata in un mondo nuovo ma ancora decisamente condizionato dal passato. Sigourney Weaver invece è Margaret, una donna intransigente, diffidente e rigida verso qualsiasi iniziativa che non nasca direttamente da se stessa, ed è perfetta nel ruolo del capo che, seppur con le dovute differenze, sembra appartenerle sin dai tempi de Una donna in carriera.
My Salinger Year è un film dai tempi e i ritmi giusti, senza lungaggini e inutili divagazioni, mirando alla vera essenza delle cose e dei sentimenti.
data di pubblicazione:12/11/2021
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da Antonio Iraci | Ott 16, 2020
Una ricostruzione, sia pur frammentaria, della vita e della carriera artistica di Banksy, uomo di strada che fa arte come atto di ribellione contro l’establishment in generale e, più in particolare, contro ogni forma di cultura preconfezionata per una ristretta élite di (pseudo)intenditori. Un documentario in cui vari street artist spiegano come da una espressione artistica spontanea, ai limiti della legalità, possa nascere un movimento mainstream che ha letteralmente sovvertito il concetto stesso di arte, così come finora lo avevamo concepito.
Per chi desidera avvicinarsi a Banksy, prima come uomo e successivamente come artista, è certamente impresa non facile visto che nessuno, a parte i suoi amici e collaboratori più stretti, conosce la sua vera o presunta identità. Di lui si sa poco e precisamente che si è formato sulla scena underground di Bristol dove verso la fine degli anni Novanta era attivo, insieme ad altri, nella realizzazione di graffiti. Questi disegni, realizzati per lo più con bombolette spray, erano ritenuti illegali perché invadevano e imbrattavano i muri cittadini con raffigurazioni e slogan spesso a sfondo satirico o di rivolta contro la politica e ogni altra forma di potere istituzionalizzato. I cosiddetti “artisti di strada” mettevano a disposizione di tutti il proprio talento senza chiedere o pretendere un riconoscimento sociale, regalavano praticamente una forma di cultura popolare: un’immagine accessibile anche ai meno colti, fruibile in ogni momento perché la si trovava per strada mentre ci si avviava a lavoro o si andava a fare la spesa. Un’arte quindi che non necessitava di un contenitore museale per farsi riconoscere, che era a portata di tutti e che rigettava qualsiasi etichetta che ne potesse in qualche modo definire o limitare la portata sovversiva. Attraverso la testimonianza diretta di alcuni amici di Banksy, tra i quali Steve Lazarides, suo braccio destro e promotore, e Ben Eine, suo diretto collaboratore, vediamo come nasce e si sviluppa il suo percorso artistico partendo dai graffiti ed evolvendosi poi in altre forme di pop art, soprattutto mediante l’uso dello stencil e la realizzazione di sculture in resina polimerica dipinta o in bronzo verniciato. Dalla sua formazione di base, Banksy intende portare avanti un messaggio di giustizia e di libertà sociale, proprio nel contesto di oggi in cui tutto è sacrificato dall’attività dei magnati dell’economia e da politici corrotti. Famose le figure dei suoi ratti, grandi topi neri che invadono le strade proprio per indicare che una massa di artisti, appartenenti ad una certa sottocultura proletaria, sta per emergere per dire la sua contro ogni forma di manipolazione intellettuale. Il fenomeno oggi è inarrestabile: le opere di Banksy non le troviamo nei musei ma hanno assunto quotazioni stellari e vengono battute da Sotheby’s a Londra anche un milione di sterline. In ogni parte del mondo vengono organizzate mostre con opere sue che, inserite in contesti particolari, costituiscono per i visitatori dei veri e propri happening dove si possono anche visionare animali viventi di tutti i generi dipinti con colori psichedelici. Un atto trasgressivo? Intanto limitiamoci ad osservare il fenomeno mentre lui, l’artista ignoto più famoso del mondo, si diverte probabilmente alle spalle di una umanità ingenua, disposta ad investire acquistando a caro prezzo i suoi lavori. Per chi volesse approfondire, si segnala che è in corso una sua personale al Chiostro del Bramante a Roma fino all’11 aprile 2021. Il film-evento invece, prodotto da Spiritlevel Cinema, studio indipendente fondato da Tom O’Dell e dallo stesso regista Elio Espana, è distribuito da Adler Entertainment ed andrà nelle sale il 26, 27 e 28 ottobre.
data di pubblicazione:16/10/2020
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