da Antonio Iraci | Mar 11, 2022
Luciano, reduce della grande guerra dalla quale è tornato quasi come un eroe e con una gamba irrimediabilmente compromessa, gestisce un ristorante proprio sulla piazza principale di Ascoli Piceno. Ci troviamo in piena ascesa della dittatura quando anche in Italia iniziano i rastrellamenti, da parte delle squadre d’azione, per individuare ebrei e oppositori al regime. Un giorno si presenta Anna a chiedere lavoro come cameriera tuttofare. Una volta entrata a far parte dello staff, la ragazza piano piano svelerà la sua vera identità e quasi fortuitamente sconvolgerà per sempre la vita dell’uomo che l’aveva assunta.
Giuseppe Piccioni, regista e sceneggiatore ascolano non è molto conosciuto al pubblico anche se ha firmato opere di un certo livello come Fuori dal mondo che nel ’99 vinse peraltro il David di Donatello come miglior film. In L’ombra del giorno ha scelto come protagonista Riccardo Scamarcio, ruolo che peraltro l’attore ricopre con grande professionalità e credibilità. Siamo ben lontani dall’immagine di quel ragazzo attraente che aveva subito conquistato chi lo avevano visto per la prima volta ne La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana o, più recentemente, in Mine Vaganti, uno tra i film meglio riusciti di Ozpetek. Ora abbiamo di fronte un uomo maturo, sia pure ancora quarantenne, che imbolsito e claudicante riesce ancora a ipnotizzare e affascinare lo spettatore con il suo sguardo ammiccante e severo al tempo stesso. Ci troviamo in pieno periodo fascista: la voce reboante di Mussolini invade le piazze per annunciare l’ingresso dell’Italia in guerra accanto a Hitler, la gente si guarda sbalordita e non si azzarda a manifestare, sia pur con velati sottintesi, il proprio dissapore. La presenza di Anna (una brava Benedetta Porcaroli) diventa presto il punto focale della scena: docile ma determinata sarà proprio il suo ruolo a polarizzare l’attenzione e a coinvolgere emotivamente lo spettatore via via che si procede nella narrazione. Il film ci riporta, sia pur alla lontana, a Ettore Scola e al suo indiscusso capolavoro Una giornata particolare: stessa ambientazione storica e stesso pathos psicologico di chi deve vivere nell’ombra perché i tempi sono diventati duri e non è più possibile vivere la propria vita alla luce del giorno. Il regista ci offre un film sicuramente di alto spessore, con un cast di primissimo ordine e un’ambientazione tanto perfetta, sulla celebre piazza principale di Ascoli Piceno, da sembrare quasi un set cinematografico ben ricostruito. L’atmosfera che fa da sfondo alla storia è malinconica, quasi a rafforzare le incertezze di chi non crede più, o forse non ha mai veramente creduto, a quello che invece si impone come certezza o indiscussa verità. Il film sarebbe precipitato inevitabilmente nella banalità se non fosse stato supportato da un’ottima sceneggiatura, curata dallo stesso regista insieme a Gualtiero Rosella e Annick Emdin, e dalla recitazione di attori ben conosciuti in ambito teatrale quali Lino Musella, Vincenzo Nemolato e Antonio Salines, cui il film è dedicato perché venuto a mancare poco prima dell’uscita nelle sale. L’ombra del giorno è un lavoro da non sottovalutare che ci parla di un’epoca infelice della nostra storia, ma lo fa con consapevolezza e rigore proprio per non togliere drammaticità a quanto di fatto si stava vivendo in quegli anni, tra molte ombre e falsità.
data di pubblicazione:11/03/0222
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da Antonio Iraci | Mar 7, 2022
(Teatro Argentina – Roma, 6 febbraio/8 maggio 2022)
Massimiliano Ghilardi, specialista archeologo classico e direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, in questa rassegna di lezioni sulle civiltà del mondo antico, ha il compito di presentare i vari interventi fungendo, in maniera a volte ironica e divertente, anche da moderatore. L’incontro viene introdotto da Claudio Strinati che ha parlato dell’Ara Pacis Augustae, capolavoro della scultura romana costruito per celebrare il ritorno di Augusto dalle sue campagne in Spagna e in Gallia. Il monumento dopo vari restauri era stato protetto da una struttura, su progetto dell’Architetto Morpurgo, inaugurata da Mussolini nel 1938 a conclusione dell’anno augusteo. Nel 2000, in pieno giubileo, l’allora sindaco di Roma Rutelli affidò la progettazione di un vero e proprio museo, che dovesse contenere al suo interno l’Ara Pacis, allo studio di architettura statunitense Richard Meier & Partners Architects. Inaugurato il 21 aprile del 2006, suscitò subito grandi discussioni e critiche perché ritenuto troppo moderno e in contrasto con il contesto storico in cui è inserito. Il prof. Paolo Carafa, dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha parlato di Augusto, primo imperatore romano che dopo la sua morte fu subito considerato figlio di Dio. Per le sue riforme e per la cura che egli dedicò all’assetto urbanistico della città volle considerarsi, al pari di Romolo, come il fondatore di una nuova Roma e trasmettere così al mondo intero l’immagine di sé come figura fondamentale, a capo di un impero che avrebbe controllato il bacino del Mediterraneo e buona parte dell’Europa. A seguire l’intervento di Francesca Cenerini, dell’Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum, che ha parlato della posizione delle donne nel mondo classico romano e di come avessero guadagnato le loro prime conquiste sociali per il riconoscimento, al pari degli uomini, di poter possedere proprietà private e gestire vere e proprie attività commerciali. Tutto ciò si desume chiaramente da alcune iscrizioni su importanti monumenti dove viene indicato specificatamente che l’opera era stata edificata con il danaro privato di una matrona e quindi senza utilizzo di mezzi finanziari pubblici. Emanuela Prinizivalli, dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha invece intrattenuto il pubblico sulla funzione specifica delle donne all’interno del nascente cristianesimo. Secondo quanto si apprende dalle diverse lettere di San Paolo, la loro attività era molto importante per la evangelizzazione dei pagani e spesso ricoprivano anche la funzione di diaconus, al pari degli uomini, per la distribuzione dell’elemosina e per l’organizzazione spirituale generale delle prime forme di ecclesia, comunità seguaci di Gesù di Nazareth. La giornata si conclude con l’intervento di Andreas M. Steiner che ha ricordato la figura di Giacomo Boni, archeologo e architetto italiano nonché senatore del Regno d’Italia, al quale si deve tra l’altro la progettazione di Villa Blanc a Roma, oggi di proprietà della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (Luiss). Prossimo appuntamento per domenica 20 marzo dove si parlerà del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento e dell’area di Paestum.
data di pubblicazione:07/03/2022
da Antonio Iraci | Feb 28, 2022
(Teatro Argentina – Roma, 6 febbraio/8 maggio 2022)
Claudio Strinati introduce questo terzo appuntamento domenicale con l’Archeologia parlandoci di un soggetto che esula dall’argomento della giornata per dare invece una lezione vera e propria di Storia dell’Arte. Questa volta ha intrattenuto il pubblico in sala parlando del celebre quadro del Domenichino La caccia di Diana, oggi alla Galleria Borghese di Roma. Commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini, l’opera fu sottratta al pittore dal cardinale Scipione Borghese, affermatosi soprattutto come uno dei più importanti mecenati e collezionisti d’arte del primo seicento. Non riuscendo con le buone maniere a farsi cedere il dipinto, l’alto prelato era ricorso alla forza facendo addirittura trattenere per alcuni giorni in prigione il Domenichino per poi risarcirlo con una somma, anche per quei tempi, ritenuta irrisoria. Il Prof. Alessandro D’Alessio, Direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica, ha parlato di Neropolis, tra realtà e utopia nella Roma di Nerone, concentrandosi soprattutto sull’incendio che nel 64 d.C. in nove giorni aveva raso al suolo la capitale dell’Impero e di cui era stato accusato ingiustamente dai cristiani lo stesso imperatore. Ma gli storici sono oggi tutti concordi nel ritenere che il più grande disastro della storia di Roma sia dovuto al caso, visto che era scoppiato in estate con giornate caldissime in una città che era quasi interamente costruita in legno. Il Prof. Antonio Marchetta, dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha preso la parola per parlare del Tieste, tragedia scritta da Seneca, che narra della maledetta stirpe di Tantalo, personaggio della mitologia greca che per i suoi numerosi delitti era stato punito dagli dei e sottoposto ad un eterno supplizio nelle tenebre del Tartaro. Questo racconto è lo spunto per parlare ancora di Nerone e del suo terzo, poi risultato vano, tentativo di uccidere la madre Agrippina, invitandola a viaggiare su una nave difettosa in modo che sarebbe morta a causa di un naufragio. L’imperatore aveva dato scandalo per aver fatto costruire, con enorme sperpero di soldi pubblici e impiego di famose maestranze, la Domus Transitoria per collegare le tenute imperiali del Palatino con gli Horti Maecenatis sull’Esquilino. Le pitture, gli stucchi e i marmi che la decoravano andarono distrutti nel citato incendio del 64 d.C. ma erano solo un’anticipazione dello splendore della famosa Domus Aurea, costruita successivamente sempre con dilapidazione dell’erario di stato. Chiude la giornata la scrittrice Annarosa Mattei che ha parlato del suo libro Sogno notturno a Roma (1871-2021) per svelare i traumi subiti dalla città eterna a partire dal 1871, anno in cui fu proclamata capitale del Regno d’Italia, fino ai giorni nostri, come per esempio la demolizione totale dell’area intorno al Campidoglio, ricca di edifici di incomparabile valore storico e architettonico. Prossimo appuntamento per domenica 6 marzo quando verrà affrontato il tema della donna cristiana e del suo inserimento nel contesto sociale dell’Impero romano.
data di pubblicazione:28/02/2022
da Antonio Iraci | Feb 21, 2022
(Teatro Argentina – Roma, 6 febbraio/8 maggio 2022)
Massimiliano Ghilardi introduce il secondo appuntamento con le lezioni di Archeologia al Teatro Argentina, sempre precedute dal prezioso contributo di Claudio Strinati che questa volta ha intrattenuto il folto pubblico intervenuto parlando di Fidia, maestro assoluto della Grecia classica, ma soprattutto delle sculture frontonali del Partenone e dei fregi del V secolo a.C., per lo più opera della sua scuola, che dal 1816 sono conservati al British Museum. I preziosi reperti erano stati rimossi dall’Acropoli di Atene a partire dal 1801 da lord Thomas Bruce Elgin, allora ambasciatore dell’Impero Britannico presso la Corte Ottomana. Il professore Maurizio Bettini, dell’Università degli Studi di Siena, introduce l’argomento della giornata che riguarda il rapporto che gli antichi avevano con le divinità. In particolare è molto curioso apprendere come i Romani fossero un popolo molto religioso ma nello stesso tempo laico nel senso proprio del termine. Qualsiasi entità, prima di essere venerata, doveva essere approvata direttamente dal Senato, che ne doveva riconoscere e sancire prima le peculiarità, per essere successivamente onorata e rispettata dal popolo. Le divinità erano partecipi della vita quotidiana e accompagnavano il singolo cittadino che ricambiava la loro accondiscendenza con rituali molto impegnativi ma anche ridendo di esse, come se dovessero essere trattate alla pari. L’argomento è approfondito dal Prof. Gianluca De Sanctis, dell’Università degli Studi della Tuscia, che ha parlato dei vari dei e della topografia sacra nella memoria culturale dei Romani. E’ singolare come al momento di conquistare una città, o di una regione da sottomettere all’impero, i Romani si affidassero alla divinità straniera, quasi sempre senza sapere esattamente quale fosse, ma con l’intento di indurla al tradimento del popolo che originariamente l’aveva eletta come nume protettore. In sintesi si rivolgevano ad essa e le promettevano un tempio molto più grande e lussuoso se li avesse assistiti nella battaglia portandoli alla vittoria finale. Il Prof. Massimiliano Papini, dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ci ha parlato delle passeggiate oziose nell’antica Roma principalmente attraverso ombrose porticus, il più famoso dei quali era il Portico di Ottavia, edificato in epoca augustea, e che era costituito da un recinto porticato che conteneva al suo interno i templi di Giunone Regina e di Giove Statore. I romani amavano oziare passeggiando in zone ombrose, a volte appartate, per consentire loro di esercitare anche attività illecite, se non addirittura per dedicarsi al turpe mercimonio. Chiude la giornata Alessandra Cattoi, direttrice e responsabile del RAM film festival, con sede a Rovereto, per illustrare come la rassegna cinematografica, nata nel 1990, abbia come scopo di divulgare l’interesse e lo studio dell’Archeologia attraverso il cinema. Prossimo appuntamento per domenica 27 febbraio dove si parlerà di realtà e utopia della nuova Roma di Nerone.
data di pubblicazione:21/02/2022
da Antonio Iraci | Feb 18, 2022
Il 10 dicembre del 1936 muore a Roma Luigi Pirandello, grande drammaturgo, scrittore e poeta siciliano già insignito del Premio Nobel per la letteratura. Nel testamento dispone che il suo corpo sia cremato e che le ceneri vengano “murate in qualche rozza pietra” nella campagna di Agrigento dove lui era nato. Ci vorranno quindici anni prima che siano eseguite le sue ultime volontà dal momento che l’urna dovrà affrontare un viaggio, a dir poco rocambolesco, prima di raggiungere la tormentata sepoltura.
Con Leonora Addio, primo film girato da Paolo Taviani dopo la scomparsa del fratello Vittorio e a lui dedicato, il regista cerca di interpretare lo spirito libero e disincantato del genio pirandelliano, utilizzando un linguaggio malinconico ma anche a volte comico, per raccontarci con ironia il mistero della vita. Nella prima scena viene inquadrato Pirandello sul letto di morte, in un ambiente rarefatto, dove entrano con circospezione i suoi tre figli, prima bambini, poi adolescenti e infine già adulti proprio per indicare come il tempo di tutta una vita possa passare via e esaurirsi in un battito d’ali, leggero e silenzioso ma anche doloroso e sofferto. Ecco allora che durante il travagliato viaggio delle ceneri si incontreranno una serie di personaggi, per lo più povera gente, che pochi registi come Taviani riescono a far parlare con un semplice gesto, con un solo sguardo che trapela da quei volti scavati dal tempo e dalla fame.
Il film parla di teatro, come luogo dove realtà e finzione si mescolano, iniziando e terminando in esso; la prima parte, quella che riguarda le vicissitudini delle ceneri di Pirandello, è girata in bianco e nero proprio per più agevolmente inserire immagini di repertorio reali e immagini tratte da film proprie del neorealismo del dopoguerra. Nella seconda parte, in dissolvenza sull’immagine del mare, prende forma il colore per mettere in scena Il chiodo, ultimo racconto scritto dal grande drammaturgo che si era ispirato a un fatto di cronaca registrato all’inizio del novecento a Brooklyn, quando un adolescente, immigrato di origini siciliane, senza un apparente motivo aveva ucciso con un lungo chiodo una ragazzina mentre questa si accapigliava con una coetanea. Le due parti della pellicola si integrano reciprocamente per dimostrare come l’uomo viva una continua lotta contro le apparenze. Il giovane protagonista porta la maschera che la società gli impone e che lo rende estraneo a sé stesso oltre che agli altri, conducendolo verso quell’azione insensata perché non riesce a sanare lo strappo affettivo che si porta nel cuore.
Cast eccezionale a cominciare da Fabrizio Ferracane, e a seguire Matteo Pittiruti, Dania Marino, Dora Becker e Claudio Bigagli; ad accompagnare il film la musica composta dal premio Oscar Nicola Piovani. La pellicola è stata appena presentata alla Berlinale dove, pur non avendo ottenuto alcun riconoscimento ufficiale (era il 2012 quando i fratelli Paolo e Vittorio Taviani vinsero l’Orso d’Oro per Cesare deve morire), ha comunque ricevuto il premio della critica Fipresci, assegnato dalla giuria della Fédération Internationale de la Presse Cinématographique.
data di pubblicazione:18/02/2022
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