da Antonio Iraci | Dic 1, 2022
Carl e la sua ragazza Yaya, entrambi impegnati nella moda come modelli, sono a bordo di un panfilo di lusso per una crociera tra miliardari più o meno stravaganti e capricciosi. A loro lo sfarzoso viaggio è stato offerto gratis in cambio della pubblicità che procureranno sui social in quanto influencer di tutto rispetto. Un’improvvisa tempesta si abbatterà sulla nave e, quel che è peggio, sugli ospiti mettendo a nudo le loro fragilità e paradossalmente anche i loro punti di forza.
Ruben Östlund è un regista svedese che non ha più bisogno di grandi presentazioni per il pubblico internazionale e italiano in particolare. Ha già vinto a Cannes per ben due volte la Palma d’oro, nel 2017 con The Square e quest’anno con Triangle of Sadness, mentre nel 2014 era stato premiato sempre a Cannes nella sezione Un Certain Regard con il film Forza maggiore. La critica ha in diverse occasioni evidenziato come i suoi film siano preminentemente rivolti a mettere in luce i lati più nascosti, o meglio sconosciuti, della complessa e quanto mai enigmatica natura umana. L’individuo sostanzialmente è un essere fragile, pieno di paure e tentennamenti, soprattutto quando è di fronte a difficoltà e a situazioni estreme poco prevedibili. In Triangle of Sadness i due giovani protagonisti Carl e Yaya si trovano per caso catapultati in un mondo di lusso esagerato tra oligarchi russi e magnati guerrafondai, dove pur sforzandosi di integrarsi non potranno certamente ignorare le loro eccentricità. Tra i facoltosi croceristi e il personale, addestrato a soddisfare ogni loro desiderio, si viene a creare un inevitabile gioco di potere dove si trovano contrapposti gli oppressori e gli oppressi. Il regista vuole così raccontarci come da sempre esistono questi due mondi che solo eventi straordinari riescono a sovvertire, ribaltando le posizioni delle rispettive parti. Il film, forse un po’ prolisso di suo, ha dei momenti tragicomici funzionali a stemperare le situazioni che potrebbero altrimenti risultare pesanti e poco attendibili. I dialoghi, soprattutto quello iniziale tra i due giovani protagonisti (rispettivamente Harris Dickinson e Charlbi Dean, modella e attrice sudafricana da pochi mesi venuta precocemente a mancare) risultano a volta tediosi e ripetitivi, volutamente costruiti per suscitare nello spettatore un palese stato di insofferenza. Ma sicuramente è proprio questo l’obiettivo del regista, che ha curato anche la sceneggiatura, cioè di costringere il pubblico a fare una scelta e decidere forzatamente da che parte stare. Determinante, per la buona riuscita del film, anche la partecipazione di Woody Harrelson, attore statunitense con un curriculum da capogiro avendo lavorato con i migliori e più famosi registi di Hollywood, che nel film interpreta la parte del capitano Smith, per natura grande ubriacone, che tra un bicchiere e l’altro riesce a sciorinare con vera convinzione le più sottili teorie marxiste. Una commedia divertente, e profonda nello stesso tempo, che ci fa comprendere come il potere non è mai solo da una parte e che non occorrono le grandi rivoluzioni sociali per fare spostare drasticamente l’ago della bilancia a favore di uno e a sfavore dell’altro. Sostanzialmente un film ben riuscito.
data di pubblicazione:01/12/2022
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da Antonio Iraci | Nov 9, 2022
La sera del 28 maggio 1606 in Campo Marzio a Roma, a causa di una banale discussione nata durante il gioco della pallacorda, Caravaggio viene ferito e, a sua volta, ferisce mortalmente il rivale, un certo Ranuccio Tomassoni. Il pittore aveva già avuto con lui diverse discussioni, spesso a causa di donne, che inevitabilmente sfociavano in violente risse, alle quali lui stesso era molto avvezzo. Condannato a morte, deve darsi alla fuga per sottrarsi al suo maledetto destino e, con l’aiuto di nobili famiglie romane, riesce in qualche modo a far perdere le sue tracce…
Come si è già avuto modo di notare, non è facile portare sul grande schermo un personaggio di grande spessore artistico o culturale senza cadere in schemi stereotipati che possano rendere l’immagine stessa del soggetto “sopra le righe”, se non addirittura vicine al ridicolo. Ad esempio, senza voler oscurare la figura del grande regista russo Andrej Koncalovskij, la pellicola da lui diretta e sceneggiata su Michelangelo, nonostante l’impiego di enormi mezzi finanziari e di un cast rilevante, non fu bene accolta da pubblico e critica proprio perché poco credibile nel tentativo di esplorare il mondo dell’artista, così ricco di pregiudizi e di false credenze religiose. Michele Placido, al contrario, riesce in questo film, come autore, interprete e regista, a portare realisticamente sul grande schermo la figura di un uomo che è stato capace di influenzare la pittura del suo tempo e a creare una visione realmente rivoluzionaria del sacro e del profano. Merito proprio di Caravaggio è stato quello di portare nelle grandi pale d’altare personaggi che non erano mai stati rappresentati, sia pur come modelli, quali prostitute, gente del popolo e vagabondi di ogni genere. Il film di Placido ha la forza e la credibilità di portarci in quel mondo, per farci comprendere come l’arte, se è per definizione immagine rielaborata della realtà, mai come in questo caso è proprio tra i poveri e i derelitti che va cercata e mostrata. Frutto di una attenta sceneggiatura curata dallo stesso regista insieme a Sandro Petraglia e Fidel Signorile, il film enfatizza la figura di un pittore maledetto e lascivo che però ha saputo portare l’arte ai massimi livelli di espressione proprio per la sua schiettezza narrativa.
L’Ombra di Caravaggio ha il grande vantaggio di fare riflettere come il passato, tutto sommato, non è altro che una metafora del presente e come dal presente ci si senta spinti ad andare avanti proprio in considerazione degli insegnamenti del passato. Riccardo Scamarcio è un perfetto Caravaggio, sguardo ammiccante e ambiguo in tutte le sue manifestazioni, uomo di mondo ma con quella sensibilità che è prerogativa, paradossalmente, di quegli uomini materiali e poco avvezzi alle buone maniere. L’attore viene egregiamente affiancato da Louis Garrel, nella parte dell’inquisitore, agente segreto del Vaticano, incaricato di ricostruire le vicende del pittore, e da Isabelle Huppert, nel ruolo di Costanza Sforza Colonna, nobile ammiratrice e protettrice del genio. La fotografia, curata da Michele D’Attanasio, introduce sapientemente lo spettatore in quel mondo di luci e ombre tipico della pittura caravaggesca, primi piani perfetti per cogliere l’espressione tormentata dei volti in un contesto ora paludato ora misero e maleodorante. Il film, sicuramente di grande impatto visivo e emotivo, è stato presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma e da qualche giorno è distribuito nelle sale.
data di pubblicazione:09/11/2022
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da Antonio Iraci | Ott 18, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Ramona, oramai trentenne, scodinzola per le strade di Madrid con la speranza di trovare la strada giusta per il suo futuro. Molte idee confuse per la testa: attrice o madre di molti bambini? Nico, il cuoco con il quale ha già una relazione, o Bruno, che si rivela essere il regista di un film per il quale si era presentata? Un colpo al cerchio e uno alla botte per cercare di quadrare ogni cosa al posto giusto. Impresa non facile però visto che lei ancora non sa da che parte stare…
Film d’esordio per la regista spagnola Andrea Bagney che con Ramona porta sul grande schermo una messinscena tutta spagnola e ambientata ai giorni nostri. Sicuramente emerge l’intenzione di ispirarsi a quelle commedie americane di un tempo dove con un certo sarcasmo, tra una battuta e l’altra, si lasciava allo spettatore una piacevole sensazione di appagamento. Tra le righe un omaggio a Woody Allen quando Ramona, durate un provino per la partecipazione al cast di un film, recita con grande bravura ed espressività un monologo da Io e Annie, non meno brava in questo dI Diane Keaton. Ci sono delle aspirazioni nella sua vita, ma spesso contraddittorie per cui non è facile per lei fare la scelta giusta e capire esattamente cosa sia più opportuno fare. E’ innamorata del suo fidanzato ma incomincia ad esserlo anche del regista che, sin dal primo incontro casuale in un bar, palesa senza tanti giri di parole il suo amore. Il film è diviso in capitoli, la narrazione è fatta di dialoghi serrati e vivaci dove la protagonista (Lourdes Hernandez) prende sulla scena i colori sgargianti e sopra le righe di un Almodòvar degli esordi, mentre fuori dal set il film si svolge in un elegante bianco e nero, un escamotage della regista per evidenziare il contrasto tra la pura fantasia e la vita reale. Accanto alla divertente interpretazione dell’attrice abbiamo quella molto convincente di Bruno Lastra, nella parte appunto del regista Bruno, attore spagnolo che si è distinto soprattutto a teatro in importanti produzioni a Londra, dove abitualmente risiede. Film leggero e divertente che ci catapulta nel mondo della Spagna di oggi, piena di incertezze e di tanti interrogativi sulla vita di oggi e peggio ancora su quella che ci si aspetta domani. In sottofondo la prorompente musica di Tchaikovsky e il quinto concerto per piano di Beethoven, e se ci si chiede il perché di questo strano accostamento: beh, non è dato sapere…
data di pubblicazione:18/10/2022
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da Antonio Iraci | Ott 17, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Elisabeth, già da alcuni anni in noviziato presso un convento dove all’età di dodici anni era stata rinchiusa per volere del padre, viene improvvisamente richiamata a casa per sostituire nel lavoro dei campi la sorella Innocente, venuta a mancare in circostanze poco chiare. Alle insistenti domande della ragazza sulla sua morte, ognuno cerca di eludere qualsiasi forma di risposta. La scoperta del diario di Innocente le consentirà di scoprire i segreti della sua vita e i pregiudizi di cui era rimasta vittima.
Carmen Jaquier, nata a Ginevra nel 1985, si è fatta conoscere dalla critica internazionale per aver fatto parte di un gruppo di dieci registi che hanno presentato al Festival di Locarno il film Heimatland, un lavoro collettivo che ha avuto grande risonanza per la tematica sociale affrontata. Foudre, presentato in prima mondiale al Festival di Toronto e ora alla Festa del Cinema, tradotto in italiano sarebbe il “fulmine” e per l’appunto è veramente qualcosa che folgora lo spettatore sin dalla prima scena e attanaglia l’attenzione per tutta la durata della proiezione. Una prova d’autore ben riuscita dove la regista riesce a realizzare un piccolo capolavoro intriso di grande sensibilità e di indiscussa abilità nel raccontare una storia che, sia pur ambientata nel passato in una ristretta comunità svizzera agli inizi del novecento, ci riporta inevitabilmente a fatti di cronaca dei giorni nostri. Una attenta riflessione sull’amore naturale e sulla sessualità senza discriminazioni di genere che trova ancora oggi la violenta e anacronistica avversione da parte della religione. Elisabeth (Lilith Grasmug) dalla pace del convento, nel quale era entrata perché costretta e dal quale viene strappata perché costretta, si trova ora catapultata in seno ad una famiglia nella quale è del tutto estranea, sottoposta a delle regole severe e dove non è lecito chiedere. Nessuno vuole dirle come e perché la sorella maggiore sia morta, c’è intorno alla sua figura una densa omertà. La scoperta casuale del suo diario le consentirà ci capire appieno come abbia saputo lottare per sperimentare la propria vita secondo ciò che lei stessa riteneva giusto per il suo mondo interiore. In un universo così chiuso, tra le valli svizzere, era naturale sottostare alle rigide dottrine della religione e qualsiasi forma di spontanea ribellione veniva subito considerata opera del demonio. Ecco che Elisabeth ora vuole ripercorrere le orme della sorella e inizia insieme a tre giovani del luogo, quella silenziosa rivoluzione che la porterà a scoprire le emozioni del proprio corpo e a condividere con i ragazzi le prime esperienze sessuali che assumono però un carattere quasi mistico a contatto con la natura. La fotografia, curata in maniera superlativa da Marine Atlan, ci riporta, nelle riprese degli interni, a un gioco di buio e di luce radente che illumina i volti con una incisività che è propria dell’arte caravaggesca. Film profondo, forte, emozionante che mette in luce il punto di osservazione di Carmen Jaquier, primo lungometraggio di una regista che sicuramente in futuro ci regalerà altre suggestioni, così come è avvenuto con questo film.
data di pubblicazione:17/10/2022
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da Antonio Iraci | Ott 15, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Lynsey, mentre si trova in Afghanistan arruolata tra le truppe americane come ingegnere, subisce una lesione cerebrale a seguito di un attentato di cui rimane vittima il suo convoglio. Ritornata in patria, dovrà affrontare un lungo periodo non solo di riabilitazione fisica ma anche di recupero di ciò che rimane della sua vita affettiva, all’interno della famiglia. L’incontro casuale con James, meccanico in una autofficina, consentirà alla ragazza di affrontare con coraggio i traumi del passato e di aiutare lo stesso James a cancellare i propri.
Lila Neugebauer, nata a New York, si è sempre distinta per la direzione di importanti pièce teatrali soprattutto a off-Broadway, dove oramai è di casa. Con Causeway abbiamo il suo esordio come regista e il film viene ora presentato in anteprima in questa terza giornata della Festa del Cinema. Si tratta di un piccolo dramma psicologico perché affronta le difficoltà fisiche, ma soprattutto interiori, di una donna che si è sempre impegnata con convinzione a svolgere la propria attività tra le truppe americane in Afghanistan. Dal difficile rapporto con la madre, con la quale è ora costretta a convivere dopo un lungo e faticoso periodo di riabilitazione fisica, si evince facilmente che la sua scelta di abbandonare la famiglia alquanto disastrata, con un fratello coinvolto nel traffico di stupefacenti e un padre oramai inesistente, non era proprio causale. Il bisogno di allontanarsi da New Orleans, suo luogo di nascita ma che per lei è solo fonte di sofferenza, la spingerà ad isolarsi sempre di più nella casa nella quale ora vive e a cercarsi un lavoro temporaneo in attesa di essere riabilitata al servizio. Grazie all’incontro casuale con James, anche lui fisicamente disabile, la ragazza lentamente imparerà a riconquistare quella sensibilità affettiva che era andata totalmente persa. Il rapporto che si prospetta è sicuramente di empatia reciproca, visto che Lynsey dichiara subito di non essere interessata sessualmente agli uomini, ed i due lentamente, a volte anche con qualche parola lanciata a sproposito, riusciranno alla fine a instaurare una convivenza, entrambi desiderosi di sperimentare insieme la quotidianità. Jennifer Lawrence, già premio Oscar come migliore attrice nel film Il lato positivo diretto da David O. Russel, dimostra una eccezionale bravura nella parte della protagonista mentre è una vera rivelazione Brian Tyree Henry, attore statunitense anche lui con una brillante carriera alle spalle. Causeway è un film delicato e profondo che ci porta con discrezione nell’animo dei protagonisti per rivelarci quanto sia doloroso a volte convivere con il proprio passato e quanto sia ancora di più impegnativo proiettarsi in un futuro ancora buio e indistinto, sforzandosi di non perdere quella piccola dose di coraggio necessaria per rivedere al meglio la propria esistenza.
data di pubblicazione:15/10/2022
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