da Antonio Iraci | Mag 15, 2023
Freddie ha programmato di trascorrere le sue ferie in Giappone. Il volo viene improvvisamente annullato e senza pensarci troppo decide di cambiare destinazione per Seoul. In effetti la scelta non è casuale anche se presa d’istinto: nata in Corea, la ragazza è stata adottata da una coppia francese e non è mai più tornata al suo paese d’origine. Anche se inizialmente poco convinta, cercherà di contattare i suoi genitori biologici…
Fuori dagli schemi di una cinematografia coreana sempre più presente nelle sale e che, nel bene e nel male, ci sta abituando ad un modus operandi del tutto anticonvenzionale, Davy Chou, regista franco/cambogiano, ci porta in una dimensione del tutto nuova, molto introspettiva se si vuole a tutti i costi darne una definizione. Ispirata ad una storia reale che riguarda una sua amica coreana adottata in Francia, Freddie, la spigolosa protagonista del film, a 25 anni torna per la prima volta nel paese dove è nata e, quasi controvoglia, si ritrova sulle tracce dei genitori biologici. Mentre la madre rifiuta l’incontro, il padre invece la accoglie con grande slancio nella sua nuova famiglia e in maniera quasi “opprimente”, nonostante la difficoltà di comunicare con la figlia che non parla coreano, cercherà in tutti i modi di convincerla a rimanere in Corea. Il regista sembra saper cogliere i differenti stati d’animo dei protagonisti: da un lato un padre ubriacone, ma che dimostra sincera amarezza e non riesce a perdonarsi di aver dato la bambina in adozione, dall’altro la reazione della ragazza, a volte spietata e crudele che non sa, o forse non vuole, scusare i genitori per averla abbandonata al suo destino, in un paese del tutto estraneo alle loro tradizioni. Nel seguire la storia altalenante che accompagnerà la giovane, negli anni a seguire, si viene investiti da un sentimento di pura avversione nei suoi confronti dal momento che i comportamenti di Freddie risulteranno sempre caratterizzati da una evidente forma di aggressività e anaffettività, anche verso i vari uomini che la corteggiano e con i quali ha incontri sessuali effimeri e superficiali. Ma andando più nel profondo, piano piano risulterà più evidente che la ragazza nasconde in sé proprio un bisogno di affetto, di quello sincero però, che ricercherà verso l’unica in grado di darglielo. Davy Chou dirige con maestria degli attori eccezionali tra i quali spicca Ji-Min Park, al suo esordio come attrice, che interpreta alla perfezione il ruolo camaleontico di Freddie, ragazza a volte sensibile a volte dura e collerica, espressione di fragilità interiore che la protagonista cercherà in tutti i modi di tenere nascosta agli altri. Un film che all’inizio potrà destare qualche perplessità, ma che invece richiede la giusta predisposizione d’animo per arrivare ad apprezzarlo.
data di pubblicazione:15/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 10, 2023
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, secondo l’anno liturgico, è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento. In quel tempo forse succedono grandi cose anche per la vita dei giovani protagonisti, Samuele e Marzio che, in una Bologna degli anni Settanta, decidono di formare il duo i Leggenda. Poi entra in scena la bellissima Sandra: tutto sembra andare per il giusto verso quando improvvisamente si spezza il filo sottile che unisce i tre e ogni cosa esplode come in una bolla di sapone…
Pupi Avati, reduce dai successi ottenuti con Lei mi parla ancora, protagonisti di indiscussa bravura Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli, e a seguire Dante, che ha molto diviso la critica ma che ha comunque riscosso l’approvazione da parte del pubblico, si presenta ora con un film drammatico che ha suscitato in molti pesanti perplessità. Probabilmente perché da un maestro del cinema come Avati, per quanto poliedrico possa essere, le aspettative sono sempre alte. La storia accompagna i protagonisti da una fase adolescenziale a quella più matura della presa di coscienza dei propri fallimenti, sia professionali che affettivi in senso stretto. I Leggenda, hanno un breve momento di gloria quando arrivano quarti al Festival di Castrocaro, superando persino i Dik Dik di Sognando la California, ma dopo essere stati scartati da Sanremo, tutto sembra ormai destinato all’oblio. L’avvenente Sandra, pur conquistata in modo singolare da Marzio, che riesce persino a sposarla, non vuole rinunciare alla carriera di indossatrice. Un miscuglio di pensieri affollano la mente di Marzio, ricordi di un passato che forse sarebbe meglio dimenticare, abbandoni e ripiegamenti per sfuggire ad un destino avverso per poi ritrovarsi in vecchiaia con un pugno di mosche, senza sapere cosa fare per sbarcare il lunario.
Ma, nonostante il ripescaggio di attori di un certo calibro quali Gabriele Lavia, Edwige Fenech, di un improbabile Massimo Lopez, e nonostante il tentativo di lancio di Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo e Nick Russo, gli stessi personaggi da giovani, il film stenta a decollare, anzi si va ad arenare proprio in quelle scene in cui l’aspetto drammatico avrebbe dovuto dare un maggiore sferzata emotiva all’intera storia. Forse troppa carne al fuoco con un risultato poco credibile anche se il regista bolognese si lascia andare a tratti autobiografici, confidandoci i suoi momenti poco felici, costellati da malinconia e insuccessi. Un film datato nelle immagini e ancor più nei contenuti, e se non tutte le ciambelle riescono col buco, forse questo film è una di quelle.
data di pubblicazione:10/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 10, 2023
(Teatro India – Roma, 9/14 Maggio 2023)
Un orologio luminoso segna il trascorrere inesorabile del tempo. Per Masa, Irina e Olga, le tre sorelle, tutto rimane invece sospeso nel ricordo di un passato, i cui contorni si stanno comunque sbiadendo per non lasciare più alcuna traccia. Per sfuggire a una vita mediocre, in una cittadina di provincia dove ora vivono, nutrono il comune desiderio di trasferirsi a Mosca, loro città di nascita. Le vicende che seguiranno renderanno questo sogno irrealizzabile…
Per il celebre scrittore e drammaturgo russo, in questa penultima opera del suo vasto patrimonio letterario lasciatoci in eredità, sembra che il tempo sfugga di mano: un passato che è passato, un futuro quanto mai incerto e un presente inconsistente. Le tre sorelle si interrogano sul senso della vita e sui loro progetti che convergono solo su un punto: il ritorno alla loro amata Mosca, da anni lontana nei fatti che le hanno portate a vivere un’esistenza grigia e senza entusiasmo. Il loro è un mondo quasi surreale fatto di desiderio, passione e aspettative destinate a rimanere irrisolte perché le vicende le hanno costrette, inesorabilmente, a scelte sbagliate e comunque insoddisfacenti. Gli altri personaggi sono da contorno e non appaiono mai sulla scena, pur avvertendone la presenza ingombrante, come quella del fratello Andrej, ragazzo molto colto destinato a un futuro brillante da intellettuale. Il compleanno di Irina, l’anniversario della morte del padre, un carnevale con ballo in maschera che verrà con un pretesto annullato, un incendio che scuote l’intera famiglia questi e altri eventi portano le tre sorelle ad interrogarsi sul perché di tante avversità e su cosa ne sarà di loro quando tra cento, forse mille anni, ogni ricordo sarà svanito. Ecco che questo vuoto esistenziale dei personaggi lascerà spazio solo a una frustrante rassegnazione, ogni velleitarismo verrà sacrificato e il ritorno a Mosca svanirà. Le tre attrici sulla scena sono Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli unite da movimenti spasmodici che le rendono quasi eteree, fluttuanti in un interno semplice e decoroso, mentre sullo sfondo si intravede il bosco di betulle che avvolge l’intera casa dove si svolge l’azione. Le musiche che accompagnano sono curate dal vivo da Lorenzo Tomio, suoni cadenzati che possono risultare a volte opprimenti quasi a segnare un tempo ritmico e inarrestabile. Le luci stroboscopiche, con la direzione tecnica di Maria Elena Fusacchia, contribuiscono a rendere discontinuità ai movimenti e creano un ambiente a volte quasi psichedelico, funzionale a sottolineare lo stato d’animo generale. Una trasposizione ben riuscita che riesce a coinvolgere sin dal primo momento il pubblico che ha apprezzato e accolto con entusiasmo l’ottima interpretazione delle tre protagoniste. Ha collaborato alla produzione Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024, Capitale Italiana della Cultura.
data di pubblicazione:10/05/2023
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da Antonio Iraci | Apr 13, 2023
Teatro Vascello – Roma, 12/16 Aprile 2023)
Napoli, un quartiere popolare abitato principalmente da travestiti. In apertura si nota subito tutto l’orribile kitsch dei mobili e dei soprammobili, i resti di una cena, rotocalchi popolari sul pavimento, trucchi sparsi ovunque. Il telefono squilla e Jennifer irrompe sulla scena stracarica di pacchetti, tra cui spiccano cinque rose rosse. Pronto…Pronto?…Pronto? Mannaggia hanno riattaccato! Chist’era sicuramente Franco, ovvì! E mo’ chi ‘o ssape se telefona n’ata vota…
Annibale Ruccello, purtroppo scomparso prematuramente, costruisce una storia attorno alla figura emblematica di Jennifer, un travestito napoletano che vive il dramma della propria solitudine, il tutto architettato intorno alla condizione dell’attesa.
Franco, figura reale o puro e solo frutto dell’immaginazione, ha promesso di farsi vivo, ma oramai sono passati tre mesi e di lui non si ha notizia. I fatti che ci vengono raccontati sono ridotti all’essenziale e apparentemente tutto rimane fermo ma, a pensarci bene, tutto è in movimento: il telefono squilla continuamente, i programmi alla radio alternano canzoni di Mina e Patty Pravo degli anni Settanta con notiziari locali che avvertono di un serial killer in azione nel quartiere, le rose appassite sono sostituite con quelle fresche e Jennifer è in attesa. La sua oramai è una situazione esistenziale in cui unico scopo è quello di aspettare una telefonata dall’amato Franco, telefonata che sembra essere oramai imminente ma che nella realtà non arriva mai. Tolti i panni della normalità, così come la definisce la società, Jennifer diventa tra le mura di casa finalmente se stessa e può indossare le sue mise più sofisticate e truccarsi come meglio crede per farsi trovare pronta ad accogliere Franco, oramai prossimo a materializzarsi.
Il monologo della prima parte di questo, per meglio definirlo, dramma vede la protagonista dialogare con il proprio alter ego, un’ombra che si aggira sulla sfondo a ricordarle chi sia veramente, la sua condizione di emarginazione, la sua perenne solitudine. Quando entra in scena Anna, altro travestito anche lui in attesa di una telefonata, che racconta di se’ e del suo rapporto imprescindibile con la gatta Rusinella, lo spettatore senza forzare lo spirito del testo può veramente ritrovare l’essenza della tragedia che si va via via realizzando.
Bravissimi i due attori in scena in un susseguirsi di battute che solo il dialetto napoletano può generare in maniera così pittoresca e che induce spesso al riso, anche se, ahimé, si tratta di un riso amaro…
data di pubblicazione: 13/04/2023
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Apr 7, 2023
Adam, figlio di un modesto pescatore, ottiene una borsa di studio per andare a studiare nella prestigiosa università al-Azhar al Cairo, il più importante centro di studi islamici in Egitto. Appena pochi giorni dopo il suo arrivo, muore il grande Imam a capo dell’istituzione e si deve ora affrontare il problema della nomina del suo successore. Il sistema di sicurezza interno dello stato egiziano vorrebbe imporre un suo uomo e Adam, senza volerlo, si trova coinvolto in un piano strategico, privo di qualsiasi scrupolo pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Tarik Saleh è un regista e sceneggiatore svedese ma di padre egiziano, per cui si può dire che abbia nel suo DNA lo spirito e la cultura propria dell’Egitto. Nonostante la critica non lo abbia subito accolto favorevolmente, si è fatto soprattutto conoscere per The Contractor, distribuito lo scorso anno, un mix tra film di denuncia e classico thriller d’azione. Sempre nel 2022 il regista ha scritto e diretto La cospirazione del Cairo, presentato in concorso al 75° Festival di Cannes dove è stato premiato per la miglior sceneggiatura e poi scelto per rappresentare la Svezia, come miglior film straniero, ai premi Oscar 2023. Questa pellicola è difficile da classificare e si potrebbe definire un film di denuncia verso le pubbliche istituzioni, sia religiose che politiche, che entrano in collisione tra di loro per puro opportunismo. Un thriller politico quindi che rivela, e noi italiani ne abbiamo avuto recentemente una prova, come i servizi segreti interni egiziani siano intrisi, al pari di quelli spirituali, di un’etica tutta propria dove una parte tende ad avere il controllo sull’altra.
Al centro di questo scontro tra laicità e religione, si ritrova, inconsapevolmente, il giovane Adam (l’attore palestinese Tawfeek Barhom) costretto a infiltrarsi e a barcamenarsi tra questi giochi di potere, mettendo la propria stessa vita nelle mani di gente senza esitazione. Adam è uno spirito puro, imprigionato con la sua innocenza in un intrigo dalle tinte oscure da dove non riesce a venirne fuori se non offrendo, in nome della verità, persino la propria vita. Il coraggio del regista si spinge oltre l’immaginazione per rappresentare un mondo contraddittorio dove persino il rigore religioso islamico, con i suoi principi rigidi e intoccabili, lascia spazio a corruzione e efferatezza.
Il film incuriosisce, non solo perché ha una trama coinvolgente, ma perché ci porta dentro al cuore dell’Islam per farci capire quel mondo, a noi tutto sommato conosciuto quasi esclusivamente per lo spirito oltranzista che lo contraddistingue. Un tema non facilmente digeribile in Egitto che ha bandito Saleh dal paese, costretto a girare a Istanbul usando la moschea di Solimano come location per l’Università islamica di al-Azhar.
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