da Antonio Iraci | Ott 23, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Sandra, nota scrittrice tedesca, vive in uno chalet vicino Grenoble insieme al marito Samuel e al loro figlio ipovedente Daniel. La coppia, che prima risiedeva a Londra dove lui era professore universitario, aveva deciso di trasferirsi in montagna essenzialmente dopo un incidente stradale subito dal bambino che gli aveva causato la perdita parziale della vista. Un giorno Daniel, dopo una passeggiata per i boschi con il suo fedele cane, trova il padre morto davanti casa: si è suicidato o è stato ucciso?
La regista e sceneggiatrice francese Justine Triet, che per questo suo film ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes di quest’anno, riesce a creare un perfetto thriller legale facendo seguire le varie fasi investigative senza smorzare mai la tensione e l’interesse da parte dello spettatore. Il tutto parte dalla morte di Samuel, precipitato dalla finestra di uno chalet dove abitava insieme alla moglie e al figlio. Ci sono varie ipotesi, ma quella più plausibile e che sia stato prima colpito e poi spinto fuori in modo da procurarne la morte. Non essendoci moventi o altre persone in giro per casa, l’unica sospettata di omicidio è la moglie (Sandra Hüller). Durante il processo ci saranno diversi colpi di scena, ma ciò che rende particolare l’intero iter procedurale è il rapporto conflittuale che esisteva tra i due coniugi. Mentre Sandra si può definire come una scrittrice affermata per aver scritto diversi libri, Samuel (Samuel Theis) invece si riteneva un fallito, non essendo riuscito neanche a terminarne uno. Particolare il tratto psicologico di quest’ultimo che riversava sulla moglie le proprie frustrazioni soprattutto per delle sue scelte professionali e di vita del tutto sbagliate. Lo stesso si riteneva responsabile dell’incidente che aveva creato seri problemi alla vista del figlio e rimproverava la moglie di accusarlo ripetutamente di tutto ciò. La regista è molto abile nel tracciare gli aspetti peculiari dei singoli personaggi, le loro conquiste e le loro frustrazioni inserendo abilmente anche la figura del figlio, coinvolto poi direttamente in fatti a lui del tutto sconosciuti. Il dramma di un bambino che si sente piombare addosso, con la sua testimonianza, la responsabilità di salvare o meno la madre da un’accusa resa, dalla dinamica dei fatti, assolutamente inoppugnabile. La causa sembra persa sin dall’inizio e lo spettatore si trova lui stesso a giudicare una donna, per lo più anche madre, dai tratti spesso freddi e controllati, le cui passate vicende coniugali sembrano ingarbugliarsi via via che il processo va avanti. Se lo script non si può certo definire originale, risulta invece assolutamente geniale il linguaggio narrativo utilizzato, con immagini e inquadrature di grande livello che dimostrano una grande maestria nel maneggiare la cinepresa.
data di pubblicazione:23/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 20, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Rudolf Hoess, comandante supremo di Auschwitz, vive insieme alla moglie Hedwig e ai suoi cinque figli in una bella villa, adiacente al muro che delimita il campo di concentramento. Mentre lui affronta con consapevolezza e grande senso di responsabilità l’incarico affidatogli, gli altri sembrano invece ignorare la tragedia che si sta perpetuando a pochi metri dalla loro casa, conducendo una vita sociale normale, spensierata e oltremodo agiata…
The Zone of Interest diretto dal regista britannico Jonathan Glazer, che ne ha curato anche la sceneggiatura, è tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis ed è stato presentato per la prima volta in concorso al Festival di Cannes 2023, dove ha ottenuto il Grand Prix Speciale della Giuria. Riconoscimento questo più che meritato per la singolare modalità delle riprese attraverso le quali il regista affronta un tema, quello appunto dell’olocausto, in maniera del tutto originale senza rendere direttamente visiva la tragedia in atto. La telecamera non entra mai nel campo di concentramento ma rimane al di qua del muro, in una zona definita di interesse che circonda appunto il lager, e ci fa vivere gli orrori dello sterminio solo da lontano. Il fumo dell’arrivo costante dei treni, che trasportano masse di ebrei destinati a un programmato e sistematico sterminio, si intravede in lontananza e dal sottofondo si percepiscono rumori indistinti di armi da fuoco e le urla di disperazione di chi viene avviato a morte certa. I colori dei fiori ben curati in giardino, le tavole ben imbandite con ogni prelibatezza sono funzionali a evidenziare quanto di più cupo viene vissuto al di là di quel muro, un sottile ma invalicabile confine tra paradiso ed inferno. Solo le ceneri provenienti dai forni crematori, in funzione giorno e notte, sembrano non rispettare questi divieti di contaminazione imposti dalla logica perversa del nazismo: invadono come possono l’aria, l’acqua dei fiumi e persino il giardino degli Hoess. Glazer presenta allo spettatore un film ridotto all’essenziale, ma lo fa nella maniera corretta e più incisiva perché non porta dentro il campo ma fa partecipi di tutto attraverso i suoni angoscianti che scuotono lo spettatore sin dai primi momenti di proiezione. I fatti più o meno sono noti a tutti, anche le giovani generazioni sono oramai sensibilizzate sull’argomento, ma questo film aggiunge qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso all’immaginazione, va diretto a colpire la sensibilità per ricordare di quelle atrocità rimaste indelebili nella storia. Ottima l’interpretazione del cast intero tra cui spicca quella di Christian Friedel, nel ruolo del comandante, come sorprendente la fotografia di Lukasz Zal, a volte velata e dai toni grigi, a volte piena di colori dirompenti, illuminati da una luce fredda ed accecante.
data di pubblicazione:20/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 19, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
Monica soffre di una rara malattia mentale, chiamata sindrome di Korsakoff, che le ha cancellato i ricordi del suo passato reale. La donna vive isolata in una casa al mare, accudita dal marito Edoardo che se ne prende amorevolmente cura e che la asseconda nella sue stranezze. Per lei l’unica possibilità, per ritrovare un senso nella vita, sarà quella di identificarsi in un’altra Monica, e precisamente nei personaggi interpretati da Monica Vitti in film famosi…
Roberta Torre, regista e sceneggiatrice milanese, dà sicuramente un titolo bizzarro a questo suo ultimo film, presentato ufficialmente in questa edizione della Festa del Cinema di Roma. Viene ispirato infatti da una frase, divenuta poi celebre nella storia del cinema italiano, pronunciata da Monica Vitti nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni. Come nel film del famoso regista, Monica, interpretata da una brava Alba Rohrwacher soffre, più che di una malattia mentale, di un disagio esistenziale, uno smarrimento che la porta a isolarsi dal mondo reale per rifugiarsi in una realtà filmica di pura illusione. Rivivendo in tutto e per tutto i personaggi interpretati da Monica Vitti, la protagonista riesce a crearsi una vita parallela, che se per gli altri è frutto di pura fantasia, per lei invece assume i caratteri dell’unica realtà accettabile. Al marito (Filippo Timi) non rimane altro che entrare anche lui nella scena accanto alla moglie che ripete meccanicamente ogni singola battuta di un copione che ora per lei fa parte del suo quotidiano. In questo film Roberta Torre affronta con coraggio il tema di una donna che perde la memoria, svuota la propria testa di ricordi forse inutili per resettarsi in altri, a lei più congeniali, e vivere la propria vita in una dimensione che solo per gli estranei è puramente virtuale. Non sembra che la regista abbia solo voluto offrire al pubblico l’occasione per ricordarsi della grande Monica Vitti, recentemente scomparsa, quanto piuttosto fornire un pretesto per parlarci di una donna e della sua fragilità interiore. La protagonista infatti ritrova se stessa costruendosi una propria nuova personalità e diventa poi protagonista reale di un mondo diventato tutto suo. Un progetto, quello della Torre, sicuramente ambizioso e non da sottovalutare perché avrebbe potuto far scivolare l’intero plot in un campo minato e pericoloso, cosa che lei invece è riuscita prudentemente a evitare.
data di pubblicazione:19/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 18, 2023
(ROME FILM FEST, 18/29 Ottobre 2023)
La guerra è da poco finita, Roma è libera anche se di fatto ancora occupata dalle truppe americane. L’Italia intera si appresta ad essere chiamata a decidere tra monarchia e repubblica e le donne, per la prima volta, avranno un ruolo decisivo nel referendum del 2 giugno del ‘46. Delia vive con il marito Ivano e i loro tre figli in una modesta casa, in un quartiere popolare della città. Una vita difficile la sua ma che porta avanti con spirito di abnegazione, facendosi piacere anche ciò che non le piace. Un giorno le viene recapitata una lettera che lei custodirà in segreto…
Questa diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma ha scelto C’è ancora domani come film di apertura, una scelta che sembra proprio voler riconoscere la bravura della poliedrica Paola Cortellesi, al suo primo film come regista. Molti critici e cinefili alla vista dei trailer avevano storto un poco il naso, pensando che dirigere un film in bianco e nero, tuffandosi nel mondo anacronistico di un neorealismo, che aveva fatto e esaurito il suo tempo nel secondo dopoguerra, sarebbe stata una prova troppo grande per la talentuosa attrice e sceneggiatrice romana. Anche le prime scene si presentavano allo spettatore quasi come una forzatura, un qualcosa che di fatto non appartiene al carattere della stessa Cortellesi che abbiamo imparato ad apprezzare e ad amare per i ruoli che ha rivestito nella sua carriera. Via via che il film avanzava e dipanava la sua storia, con i suoi contenuti tragicomici, il pubblico è rimasto invece sempre più convinto della sua validità. Delia, interpretata dalla stessa regista, è una donna fragile, sottomessa a un marito violento, incapace di manifestare una qualsivoglia minima iniziativa che possa dar valore alla sua esistenza. L’arrivo inaspettato di una lettera darà origine a un personale, segreto atto di ribellione e le farà intravedere una larvata possibilità di riscatto sociale e sentimentale. Gli aspetti tristi dell’intera vicenda sono sapientemente dosati e controbilanciati da una comicità mai sopra le righe, fondamentale a riequilibrare un plot che altrimenti sarebbe caduto nella banalità. Cast ben curato, dove emerge un Valerio Mastandrea nella parte del marito Ivano, il tutto ambientato in un contesto scialbo di una borgata romana, dove ognuno si dà ancora da fare come può per sbarcare il lunario ma dove la solidarietà sociale, soprattutto tra donne, è ancora forte per sopperire alle disuguaglianze di genere. Un tema delicato, se vogliamo purtroppo ancora parzialmente attuale, che la regista affronta con quel tocco di misurata comicità che la contraddistingue in tutte le sue performances. Se dovessimo proprio dare un giudizio su questo film non esiteremmo a dare a questa ennesima prova della Cortellesi una sufficienza piena: una donna intelligente che ancora una volta si è dimostrata all’altezza anche nel ruolo, del tutto nuovo per lei, di regista.
data di pubblicazione:18/10/2023
da Antonio Iraci | Ott 12, 2023
Nove personaggi per nove episodi. Ognuno in una differente situazione recita interpretando se stesso. Le varie storie assumono già da subito un carattere divulgativo perché fanno vedere come la gente comune vive a Teheran una giornata comune. Un boato enorme prelude un potente terremoto e la stessa città implode: forse si è di fronte alla temuta apocalisse? E in tutto questo, chi si salverà dalla dannazione eterna?
Se Kafka fosse vissuto oggi in Iran sicuramente avrebbe attirato con i suoi scritti gli strali del Ministero della Cultura islamica, così come di fatto è accaduto ai due registi per il solo fatto di aver descritto la realtà del proprio paese. Ogni singolo individuo, che con il proprio nome dà il titolo ad ogni episodio, è in preda a una angoscia esistenziale, vittima impotente, ognuno per un motivo diverso, di ogni forma di brutalità fisica e psicologica. Ciò che risalta subito come mero paradosso viene invece descritto come atto di pure logica, di normalità che bisogna accettare senza alcuna discussione. Lo spettatore, nonostante al corrente attraverso i media di ciò che accade oggi in Iran, rimane incredulo di fronte al messaggio che, pur rimanendo allegorico, trasmette esattamente un puro sconcertante realismo. I volti dei protagonisti sono ripresi con ben studiati piani sequenza, l’inquadratura rimane statica e la parte in contraddittorio rimane al di qua della cinepresa, si percepisce la sua presenza, se ne vedono i particolari ma non viene mai mostrata apertamente. Ciò che conta, per i due coraggiosi registi, è dimostrare quanto sia presente in quel paese l’impotenza umana del singolo di fronte al mondo che lo circonda con la sua invadente burocrazia e la sua spietata intransigenza. I singoli protagonisti si affidano a una recitazione spontanea, seguendo un copione che comunque non va a sminuire la sensazione di fastidio da parte del pubblico. Per l’ennesima volta si denuncia una sistematica repressione non solo per ogni forma di diritto ma anche per le decisioni più innocenti, come scegliere il colore del proprio vestito da parte di una bambina che si appresta ad entrare in società. Siamo forse tornati ai tempi bui del secoli passati quando l’inquisizione puniva con la morte ogni idea nuova che potesse alterare un ordine precostituito? Sembrerebbe di sì e purtroppo ne abbiamo la prova concreta. Un film di breve durata ma che colpisce con la forza delle immagini, delle situazioni e dei singoli personaggi. Un film che fa riflettere sulla sofferenza di tanti popoli che affrontano quotidianamente la propria vita con angoscia e immenso smarrimento.
data di pubblicazione:12/10/2023
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…