da Antonio Jacolina | Dic 14, 2018
La cronaca di un anno tumultuoso nella vita di una famiglia borghese che vive nel “quartiere bene” di Città del Messico chiamato ROMA. Un anno visto con gli occhi umili e sensibili di Cleo, domestica attenta ma anche governante affettuosa e complice dei bambini e parte anche lei della famiglia.
Ho approfittato, prima del suo passaggio in esclusiva su Netflix, per correre a vedere proiettato sullo schermo cinematografico il film con cui Cuarón ha vinto il Leone d’oro al recentissimo Festival di Venezia e di cui ci aveva già riferito brevemente ma con acuta precisione di giudizio la nostra M. Letizia Panerai nei suoi Appunti di viaggio dal Lido di Venezia del 31 Agosto.
Non entro nelle polemiche sul ruolo di Netflix, o sui diversi atteggiamenti assunti dalle Direzioni dei Festival di Cannes e di Venezia sull’ammissibilità o meno in concorso di film destinati a circuiti diversi dalle sale cinematografiche. Personalmente sarei del parere che Netflix sia un danno per il vero Cinema, ma bisogna anche realisticamente convenire che i dissennati vincoli della Distribuzione avrebbero costretto un film come questo, pur se bello, solo in poche sale di qualità, limitandone la fruizione ad un numero ristretto di spettatori. D’altra parte occorre ammettere anche che il Cinema non è più solo arte, talento e fascinazione, ma è, sempre di più, un prodotto necessariamente destinato alla più ampia consumazione e quindi … la forza tentatrice della capacità produttiva e distributiva on line è sempre più irresistibile
Con Roma il talentuoso regista torna a girare nel suo Messico con un film molto personale che segna un ritorno alle sue origini sociali e culturali, alle sue memorie, ed ai suoi ricordi di infanzia. Ed è proprio con lo sguardo tenero e dolce della memoria che l’autore affronta temi tanto personali quanto anche universali: la famiglia, l’assenza, l’indifferenza, la maternità, la morte, il dolore, la dedizione e l’abnegazione, parlandoci anche delle lotte sociali, culturali e studentesche senza che mai uno di questi tanti temi ecceda sugli altri. Al contrario, tutti coabitano fra loro in modo naturale in un racconto fluido e con i giusti momenti di interruzione di tono, grazie anche a sequenze piene di humour. Il merito è tutto in una regia sensibile ed intensa che mantiene sempre appassionato il ritmo narrativo, con una capacità che sembra semplice ma è, in effetti, tanto elaborata quanto efficace. La messa in scena, in uno splendido “bianco e nero” privo di contrasti e di un’eccezionale profondità di campo, è sobria ed attentissima ai particolari fino anche ai dettagli. Il regista che, oltre a firmare la sceneggiatura ed a curare il montaggio, è anche Direttore della fotografia, privilegia piani fissi e soprattutto magnifici piani sequenza, che sono poi il suo marchio stilistico, per darci visioni panoramiche con movimenti della camera lenti proprio per evidenziare la visione d’insieme. Questo ritmo calmo, come se il Tempo si estendesse all’infinito, è scientemente ricercato per agevolare l’introiezione da parte dello spettatore del contesto, dei personaggi e dei loro comportamenti.
La vicenda ambientata nel 1970/71 è uno splendido souvenir di un mondo che sta cambiando, di una Società in ebollizione, di bambini che crescono, di adulti che affrontano la vita. Un’opera sensibile con personaggi disegnati con tocchi leggeri. Una visione realista senza giudizi di sorta da parte dell’autore, in una visione che quasi non cerca risposte alle vicende che si sviluppano siano esse allegre o tragiche, quasi una poesia del quotidiano.
Di sicuro il film è un canto, una vera ode alle donne, al loro grande coraggio, alla loro forza, alla loro resilienza, al legame naturale di solidarietà che consente loro di far fronte sia alle gravidanze non volute sia agli abbandoni subiti e di dare e avere sempre una speranza.
Dunque un film autoriale, delicato, elegante e di classe innegabile, un film che dà emozioni fin dalla prima sequenza di apertura. Un film da cercare di vedere assolutamente.
data di pubblicazione:14/12/2018
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da Antonio Jacolina | Nov 25, 2018
Ritratto della leggendaria corrispondente di guerra Marie Colvin (Rosamund Pike) del Sunday Times di Londra. Spirito senza paura e ribelle ad ogni conformismo, la giornalista ha dedicato la sua vita personale e professionale a raccontare la Verità sulle conseguenze delle guerre sulle persone innocenti, dando voce, nei suoi reportage, a coloro che non hanno voce: le vittime civili dei conflitti, di ogni conflitto.
Già presentata con discreto successo alla 13ma Festa del Cinema di Roma, esce ora sui nostri schermi l’opera prima di M. Heineman. Il regista già noto autore di documentari si cimenta con questo suo primo lungometraggio con un biopic poco reverenziale sugli ultimi dieci anni della vita della leggendaria reporter. Il film è basato su un reportage apparso su Vanity Faire ci racconta di una donna coraggiosa ed impegnata al punto tale da rischiare ogni volta la sua vita per le sue storie giornalistiche ma anche e soprattutto di una donna intimamente vulnerabile, traumatizzata ed empaticamente sensibile ai drammi cui assisteva per poterne poi scrivere e darcene notizia.
Heineman, pur non tralasciando di rappresentarci i contesti bellici, filmando anzi scene di guerra con abilità di vero documentarista, si sofferma infatti con intelligenza ed intensità sul lato più personale ed umano della giornalista, sulla sua guerra interiore (da qui il titolo del film), sul conflitto fra la sua vita personale e la sua vita professionale per la quale lei sacrifica relazioni affettive e sogni materni accumulando traumi psicologici e fisici che la dilaniano interiormente. Una guerra privata quella della Colvin, una guerra anche con se stessa, con le sue ambizioni, le sue paure, le sue sfide, la sua solitudine, i suoi disturbi. Nel film si ride, si piange e si soffre con la giornalista assistendo al suo progressivo degradarsi nello spirito e nel corpo a somiglianza delle tante tragedie cui assiste vivendone sempre, come proprie, le angosce, gli incubi, la rabbia ed i dubbi. È qui la vera abilità del regista, nella sua capacità di mantenere, con un forte senso del tempo e del luogo, il giusto ritmo della vicenda e la costante tensione narrativa, facendo evolvere la storia in modo lineare fino agli eventi finali durante la guerra civile in Siria, con il solo supporto di alcuni flasback che servono ad illuminare lo spettatore sul carattere, i comportamenti ed il labirinto di orrori che sono sepolti nella mente della reporter dopo essersi confrontata con il peggio che l’umanità può offrire. A questo lavoro del direttore si aggiunge ovviamente quello molto convincente di R. Pike, degna veramente di essere presa in seria considerazione per la prossima stagione di premi. L’attrice fa letteralmente suo il film, incarnando anima e corpo il personaggio, quasi appropriandosene lavorando di cesello sui registri vocali e sugli atteggiamenti, e ci prende e ci fa vivere poi le emozioni e gli incubi di una donna tormentata da ciò che testimonia e dalla rabbia e dall’impotenza di non poterlo evitare. All’eccezionale Pike fanno da corona ottimi caratteristi o coprotagonisti: Tom Hollander ed il sempre bravo Stanley Tucci, e, non ultimo, Jamie Dornan (ex… cinquanta sfumature di grigio, nero e rosso e prossimo nuovo Robin Hood) nei panni del fotografo di guerra che accompagnava la Colvin.
A Private War non è certamente un film perfetto, alcune storie sottostanti risultano alquanto deboli, alcune sequenze sono troppo insistite, l’amalgama fra pulsione documentaristica e narrazione filmica non sempre è armonico, però, nel complesso, il risultato è un buon film che vale la pena di vedere ed apprezzare. Un buon film commovente e coinvolgente, a tratti affascinante, che non è mai svenevole, sentimentale o convenzionale nel raccontarci il valore della Verità e quello che è stato l’impegno personale e professionale di una grande reporter.
data di pubblicazione: 25/11/2018
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da Antonio Jacolina | Nov 21, 2018
William (Aneurin Barnard) è un giovane scrittore che non riesce a pubblicare nulla, è privo di affetti, è depresso ed ha deciso di porre fine alla sua esistenza senza senso. Dopo una decina di tentativi tutti falliti tragicomicamente, ingaggia Leslie (Tom Wilkinson) un killer professionista in età avanzata perché provveda lui a “suicidarlo” entro una settimana. Anche il killer, a sua volta, ha i suoi problemi con il Boss della sua “organizzazione” perché deve riuscire a raggiungere la quota prevista di omicidi, pena il suo pensionamento anticipato; inoltre, ahinoi, proprio subito dopo aver sottoscritto il contratto, il nostro William scopre finalmente validi motivi per vivere e sognare. Ma … il contratto è contratto …
Tom Edmunds debutta con questa pellicola sia come sceneggiatore sia come regista e ci regala subito, con buon istinto artistico ed in modo convincente, nonostante la serietà dell’argomento trattato, una divertente commedia permeata di un dark humour molto inglese. Il suicidio è un argomento così serio che prescindendo, a priori, dal fare riferimento a valori morali, l’autore l’affronta scientemente portando subito il racconto molto oltre le righe ed anche oltre il piano dell’ironia, ricercando talora effetti molto comici. La narrazione stessa sembra non volersi prendere troppo sul serio. In realtà il film è invece un’occhiata comica sul senso della vita e sulle ragioni per viverla e giunge ad esaltare proprio la forza della vita stessa rispetto a qualsiasi altra situazione umana. Una storia quindi bizzarra e surreale che non annoia, anzi, al contrario, rallegra e sorprende con idee e situazioni brillanti che, a tratti, fanno anche sentire l’influenza o il ricordo di alcune scene e situazioni già viste in In Bruges del 2008.
Alla base di questa gradevole opera prima c’è dunque una perfetta sceneggiatura ben costruita ed autoironica, ma la sua brillantezza deriva anche dal gioco dei ruoli dei vari personaggi, tutti perfettamente disegnati e caratterizzati, da un ritmo sempre sostenuto e poi dalla talentuosa interpretazione dell’ottimo cast di attori britannici. Spiccano, fra tutti, i due protagonisti che sembrano quasi rispecchiarsi l’uno nell’altro: il giovane A. Barnard già apprezzato nel recente Dunkirk, e, soprattutto, il collaudato T. Wilkinson. La sua performance è così eccellente che riesce ad asciugare il suo ruolo fino a dare con la sua recitazione tutto il senso della noiosa routine accumulatasi negli anni, quasi il killer fosse un banale e stanco impiegato prossimo al pensionamento. Una interpretazione ricca di eleganza e finezza, veramente tutta british style e soprattutto understatement.
Cogliere il senso di una Commedia è sempre anche molto soggettivo perché dipende, ovviamente, anche dal senso individuale di humour di ciascuno spettatore, ma, riteniamo di non sbagliare definendo Dead in a week (or your money back) una più che eccellente british dark comedy che non si prende mai troppo seriosamente e che oltre a far sorridere fa anche ridere. Un piccolo e piacevole film che certamente assicura un gradevole divertimento così come una fredda bevanda, o, se preferite, come una bella tazza di tè inglese, che si apprezza al momento in cui la si gusta per poi dimenticarsene molto gradevolmente, piano piano, dopo un po’…
data di pubblicazione:21/11/2018
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da Antonio Jacolina | Nov 7, 2018
Un professore di Diritto (Daniel Auteuil) tanto bravo quanto reazionario, élitario, aggressivo e conosciuto per il suo gusto per la provocazione, una giovane studentessa universitaria (Camélia Jordana) di famiglia magrebina e della periferia parigina, ambiziosa ed intelligente, pronta a sfidare i condizionamenti della sua origine sociale pur di emergere ed intraprendere poi la professione legale. Il loro incontro in aula crea scintille fin dalla prima lezione. Il professore, per evitare le conseguenti sanzioni del Consiglio Disciplinare di Facoltà, accetta, suo malgrado, di preparare la giovane per il prestigioso concorso interuniversitario di eloquenza.
Il cineasta francese Y. Attal, attore e regista ben conosciuto in Francia, ha sempre rivolto lo sguardo della sua produzione cinematografica sui problemi della Società contemporanea. Anche questa volta firma, con humour e sagacia, un film ben riuscito e di attualità tutto centrato sulla virtù dell’impegno e del sacrificio come mezzo di elevazione sociale, culturale e individuale e sulla fragilità degli scambi fra personalità di diversa età e differente estrazione ed educazione. La narrazione, secondo gli schemi propri della commedia classica, riposa essenzialmente sull’antagonismo dei due protagonisti, tutto si oppone fra loro. Il cinico professore e la studentessa, due età e due visioni sociali, culturali e politiche antitetiche fra loro, eppure “condannati” a fare insieme un percorso spigoloso ma, alla fine, istruttivo per entrambi; l’una riuscirà a compiere il suo cammino di crescita grazie ai metodi antipatici ma efficaci dell’odioso docente costretto a farle da mentore, quest’ultimo, a sua volta, dopo il confronto inizierà, forse, a guardare il mondo con occhio meno negativo e, forse, ritroverà anche un proprio volto un po’ più umano.
Il regista è abile nell’osservare e restituirci con finezza questi due personaggi per quel che effettivamente sono, senza esaltare né stigmatizzare i loro comportamenti nel loro milieu di appartenenza e, così facendo, permette allo spettatore di confrontarsi con i problemi sociali della Realtà: l’intolleranza, i pregiudizi, la trasmissione del sapere, la volontà di emergere, i privilegi di classe, le opportunità …
Il tocco intelligente di Attal è sostenuto da una buona sceneggiatura, da una scrittura solida ed arricchita da dialoghi perfetti, brillanti e corrosivi, da un montaggio ben ritmato e, soprattutto, da un’ottima recitazione. Una coppia di protagonisti eccellenti che fanno scintille e fanno veramente il film. Auteuil, con presenza e mestiere collaudati, dona credibilità al suo professore facendo intravvedere il dolore che si porta dentro apportandogli così un po’ di umanità contenuta. La Jordana, si conferma come una sicura promessa del cinema francese, regalandoci un’ottima performance che le fa letteralmente bucare lo schermo con la sua freschezza recitativa.
Il regista è ben attento ad evitare il rischio di cadere nei facili clichè, qualcuno tuttavia sfugge alla sua attenzione e qualche sviluppo narrativo sembra anche fin troppo prevedibile o convenzionale, ciò non di meno, nel complesso riesce a navigare intelligentemente fino alla fine fra serietà, impegno e leggerezza. Quasi nemici ha lo charme di una commedia drammatica classica ben costruita, piacevole, seducente e spesso divertente. Un film molto umano, dal tono leggero, accattivante, raffinato ma efficace ed a tratti anche bello pur senza essere geniale. Una bella favola sociale che regala allo spettatore un’ora e mezza di buon cinema e che si può di certo consigliare.
data di pubblicazione:07/11/2018
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da Antonio Jacolina | Nov 2, 2018
Daniel (Daniel Auteuil) è sposato da molti anni. La sua vita è ormai serenamente routinaria e ben regolata dietro un’apparente solida facciata di armonia e complicità coniugale. Conosciuta però in una cena fra coppie, la giovane e seducente nuova compagna del suo miglior amico (Gérard Depardieu), anche lui over 60, perde la testa per lei, inizia a fantasticare fra pensieri, immagini e desideri, tentato dal piacere della conquista e di una nuova relazione affettiva …
Auteuil, è nuovamente davanti e dietro la cinepresa, ha adattato personalmente per lo schermo la storia da una pièce teatrale di successo e ci regala oggi una commedia a mezze tinte, a metà fra un piccolo dramma ed una commedia borghese buffa ed a tratti divertente. L’autore osserva il mondo di oggi e ci parla, apparentemente dal punto di vista maschile, dei tormenti dell’animo, della solidità e dell’ipocrisia delle convenzioni sociali, del desiderio e della frustrazione del quotidiano. Contemporaneamente misura anche le certezze, più o meno tediose, della vita di coppia a fronte della novità e delle aspettative esaltanti di una fuga passionale con una donna giovane, bella e seducente. Tutto ciò viene preso dal cineasta e fuso poi in un prodotto filmico che si pone fra il farsesco e la commedia leggera, in una fantasia amorosa ricca di una comicità tutta esteriore.
Il film gira tutto sulla perfetta integrazione fra immagini reali e sogni ad occhi aperti, fino al punto in cui Realtà e Fantasia si fondono. La scommessa sulla riuscita del lavoro è proprio in questa progressiva fusione che arriva a farci prendere coscienza delle due diverse realtà. Si passa così dalla commedia buffa al piccolo dramma e si scoprono tutte le falle nella perfetta vita coniugale. Un bell’imbroglio amoroso, immaginario o reale che esso sia, che porta però ad una riflessione interessata sulla vita, le amicizie, le illusioni, le certezze ed i bilanci veri delle relazioni di coppia.
E’ ovvio che in un lavoro che è quasi come una rappresentazione teatrale filmata, la recitazione, dopo il testo, sia la parte fondamentale. Ebbene, la realizzazione è resa ben vivace da un quartetto di commedianti di gran qualità che recitano tutti in modo impeccabile i loro rispettivi ruoli. Auteuil e Depardieu, da bravi vecchi mattatori, con istinto e sensibilità mostrano fra loro un’alchimia che non li obbliga a forzare la recitazione per essere giusti quanto necessario. Fanno loro ottima sponda una sempre eccellente Sandrine Kimberlain nel ruolo della furba moglie ed Adriana Ugarte così brava, splendida e seducente che risulta veramente difficile anche per lo spettatore non soccombere davanti al suo fascino.
La pellicola pecca però, a tratti, di scarsa profondità e finezza di analisi, talora infatti le situazioni sono troppo caricaturali, forse, direi, eccessive e ripetitive, e qualche clichè conformista e prevedibile di troppo, appare qui e là, al punto che il ritmo, la meccanica narrativa e la stessa recitazione ne risentono.
Pur con questi piccoli difetti, Sogno di una notte di mezza età resta comunque un film con un tema un po’ desueto ma pur sempre gradevole, un’occasione di momenti di svago domenicale, una discreta commedia di costume, non priva di interesse e dallo humour semplice ed efficace. Insomma un piccolo film, distensivo, divertente, ben interpretato e leggero, che proprio nella sua stessa leggerezza ha la sua forza ed anche la sua debolezza; un film che seduce lì per lì ma poi scompare presto senza rimorsi o polemiche.
data di pubblicazione:02/11/2018
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