da Antonio Jacolina | Dic 25, 2019
Possibile che un romanzo bello e di successo il cui manoscritto è stato casualmente scoperto in una piccola libreria di un villaggio della costa bretone, in una stanza dedicata alle opere rifiutate da qualsiasi casa editrice, sia stato veramente scritto da uno sconosciuto pizzaiolo, privo di virtù letterarie, morto solo due anni prima?Un mistero da risolvere in una serrata caccia ai vari indizi …
I libri segnano le nostre vite, aprono e trasformano il nostro sguardo, e … a ciascuno il suo: … capolavori internazionali, saggistica oppure romanzi da stazione ferroviaria.
Bezançon rende omaggio agli innamorati dei libri e della lettura e celebra il potere della parola. Il regista infatti, traendo spunto dal romanzo omonimo dell’altrettanto affermato scrittore e regista David Foenkinos, rivolge, con questa sua opera, uno sguardo pieno di humour sul mondo della letteratura, offrendoci tramite il comportamento e le ricerche del protagonista, un critico letterario che dubita dell’attribuzione del libro, l’occasione per graffiare il mondo letterario che benché pretenda di essere trasparente in realtà non sfugge affatto alle regole del marketing e della nascita indotta dei successi, ed alle molteplici sfaccettature che può anche assumere il concetto di Verità.
Giocando intelligentemente con i codici classici del genere poliziesco, pur rispettandoli tutti, il regista ci coinvolge in un intrigo senza cadaveri né poliziotti, in un’inchiesta il cui obiettivo finale non è di sapere chi ha ucciso, ma chi ha veramente scritto, divertendosi nel contempo, nello spirito dei migliori gialli, a seminare il percorso di diverse ipotesi senza mai però perdercisi dentro o annoiando. Un mistero che è nel titolo, che è nel cuore della finzione e che intriga lo spettatore con humour.
Una storia fuori del comune ed originale in una commedia poliziesca accattivante e frizzante, una messa in scena sobria ed accurata, una sceneggiatura perfetta che rende credibili tutte le false piste e situazioni, una ironia sottile puntellata da dialoghi accurati e finemente cesellati, un ritmo vivace nonché una suspense tenuta alta abilmente fino alla fine ed anche oltre il finale ed il post finale.
E poi… chi? Chi meglio di Fabrice Luchini, un misto di se stesso, di Sherlock Holmes e di Maigret poteva incarnare il critico letterario, verboso, autoreferenziale, scettico, cinico ma non cattivo e che in fondo non ha rinunciato, autoironicamente, a ritrovare anche un contatto umano. L’attore è al suo meglio, perfetto in un ruolo che gli va palesemente come un guanto. Lo affianca Camille Cottin nei panni della figlia del presunto scrittore, incerta fra il dubbio e la volontà di stabilire che suo padre sia stato effettivamente l’autore, che rende gradevole con consapevolezza e spontaneità artistica l’alchimia fra i due attori entrambi a loro agio nei toni della commedia. Ottimi poi e ben disegnati ed interpretati anche i secondi ruoli la cui importanza, come si sa, nelle commedie non è certo minore di quella dei protagonisti.
Il Mistero di Henri Pick, è veramente un bel momento di cinema, diretto con mano lieve e ben interpretato, un gioiellino di commedia poliziesca ed umana accattivante, intelligente e frizzante che riesce a tenere lo spettatore in sospeso come un buon libro che si divora durante le vacanze e che ci regala nel finale anche una piccola domanda o piccola morale: Si può permettere alla Verità di frapporsi ad una possibile bella storia?
data di pubblicazione:25/12/2019
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da Antonio Jacolina | Dic 7, 2019
Un celebre autore di romanzi gialli (Christopher Plummer) la sera del suo 85° compleanno viene ritrovato morto nel suo maniero goticheggiante. Omicidio?Suicidio? Tutti i familiari, disfunzionali, ipocriti ed interessati hanno motivi per essere sospettati, la polizia ed un detective privato (Daniel Craig) cercano di risolvere i vari enigmi, fra false piste e menzogne ….
Rian Johnson è un regista e sceneggiatore statunitense non molto prolifico ma di buona qualità ed originalità di stile (Brick 2005; Looper 2012) che ha raggiunto la grande notorietà internazionale con l’ottavo film della saga di Guerre Stellari: Gli Ultimi Jedi 2017, film che ha però scatenato contro di lui le polemiche e le accuse di aver totalmente travisato l’universo e lo spirito degli eroi inventati da Georges Lucas. Tanto che il regista ha dovuto poi rinunciare alla direzione del prosieguo della “Trilogia Sequel”, il cui nuovo episodio vedremo sui nostri schermi proprio il prossimo18 Dicembre, nuovamente con la regia di J.J.Abrams, richiamato a furor di popolo.
Con il film di oggi Rian Johnson ritorna dunque nella nostra Galassia e rimette i piedi sulla Terra ed in cerca di una riabilitazione, gioca con i codici dei classici gialli deduttivi ed ad indizi e ci regala una sorta di Cluedo gigante: un’inchiesta divertente e maliziosa dai molteplici colpi di scena. Una più che discreta piccola, sofisticata commedia poliziesca, ricca di humour ed astuzie che rianima il genere dei film ad enigmi, alla Agatha Christie, ne modifica i codici e li modernizza con un tocco di suspense alla Hitchcock nella seconda parte del film.
Sulla carta non ha nulla di originale, sembra anzi nelle situazioni, location ed arredi, riproporre gli infiniti film di genere che lo hanno preceduto: Assassinio sul Nilo, Assassinio sull’Orient Expres, Delitto sotto il sole o Mistero a Croocked House … eppure il film si stacca da tutti perché ben presto il racconto prende un ritmo narrativo diverso dalle regole classiche: la Verità non viene dissimulata allo spettatore, e, quando i personaggi mentono alle domande dell’investigatore, una serie di flashback o di trovate geniali ci mostrano la Vera Verità. Così facendo il regista aggira tutti i codici classici e controbilancia gli enigmi ed intrighi con un’ottica inusuale, rinnova i meccanismi della suspense, arricchisce l’intreccio garantendo così un risultato tanto sorprendente quanto comunque soddisfacente per la logica dello spettatore. La qualità del film è tutta nel brio con cui Rian Johnson affronta i meccanismi tipici del genere e come cattura il pubblico. La sua abilità di direzione è palesemente coadiuvata e sostenuta da una buona sceneggiatura che sa giocare con gli archetipi, i dialoghi poi sono pungenti e ben calibrati, il ritmo è sostenuto con le giuste interruzioni ironiche, il montaggio è ottimo e da una iniziale teatralità si passa, cambiando registro, ad un tono da thriller del tutto inatteso ma molto gradito.
Un particolare contributo al buon risultato viene anche dal cast formato da attori ed attrici tutti di qualità e precisi nei loro ruoli e che sembrano divertirsi a caratterizzare i loro personaggi dando vita e veridicità a ciascuno di essi. Oltre al grande Christopher Plummer ed all’autoironico Daniel Craig, brilla in particolare la giovane Ana de Armas per capacità recitativa ed interpretativa.
Ovviamente ci sono anche dei difetti: qualche lentezza, qualche lungaggine di troppo, ma son piccole cose, nel complesso solo peccati veniali.
Cena con delitto è quindi un piccolo, elegante divertimento che piacerà agli appassionati del genere e farà passare un paio d’ore accettabili agli altri spettatori e … forse potrà essere un riferimento per futuri film del genere.
data di pubblicazione:07/12/2019
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da Antonio Jacolina | Nov 7, 2019
Victor (Daniel Auteuil) un sessantenne disilluso ed annoiato dalla vita e dal mondo tecnologico che lo circonda, è sbattuto fuori casa dalla moglie Marianne (Fanny Ardant) che, per quanto coetanea, vuole invece vivere intensamente la sua età e lo tradisce. Victor coglie allora l’opportunità (tramite un’agenzia che usando perfette ricostruzioni cinematografiche ricrea il passato che i suoi clienti decidono di rivivere) di tornare nel 1974 quando incontrò proprio Marianne. La splendida Margot (Doria Tillier) è l’attrice che impersona il suo amore di allora … ma l’Amore non ha età …
”Et voilà du veritable Cinéma!”… ecco questo è buon Cinema! Se per Cinema si intende spettacolo, divertimento, tenerezza, fantasia e capacità di far sognare e commuovere. Non c’è quindi solo Hollywood, talora ci riescono bene anche i francesi, e … perché noi no?
Nicolas Bedos, figlio d’arte, talentuoso sceneggiatore, drammaturgo ed attore nonché anche compagno della splendida D. Tillier, dopo il discreto successo di Un Amore sopra le righe suo debutto nella regia nel 2017, torna di nuovo dietro la cinepresa con questa sua opera seconda regalandoci una pregevole commedia dal respiro romantico, passionale ed armoniosa.
Un elogio della nostalgia e della fuga, ma, soprattutto un elogio dell’Amore. L’autore si interroga infatti con garbo, ironia e leggerezza sulla vita che scorre, sul tempo che passa e che è passato e su ciò che rimane ancora, ed anche del futuro, e, lo fa traendo brillantemente spunto dall’incredibile opportunità del suo protagonista di poter “rivivere” e “vivere” momenti ed emozioni del passato.
La fluidità della sceneggiatura, della regia e del montaggio fanno sì che la storia fluisca armoniosamente senza che lo spettatore si perda fra il presente ed il falso passato, fra commedia e dramma, e, soprattutto fanno anche sì che le due realtà si fondano e corrispondano costantemente. La capacità e l’abilità del direttore è proprio nel non scivolare nella trappola dell’elogio amaro del buon tempo passato o della giovinezza o nel patetico amor senile. Qui Bedos è veramente bravo a giocare sempre sui vari livelli di lettura restando pur sempre padrone della storia grazie alla dinamicità della sua regia capace di toccare il tasto delle emozioni sapendo però come lasciarle un attimo prima che esse ci sommergano.
Come detto la sceneggiatura è perfetta, i dialoghi sono ottimi con battute precise, calibrate e cesellate che danno anima vera ai personaggi, il montaggio poi,va ribadito, è così sopraffino che il passaggio fra le varie epoche avviene sovrapponendo parole e sequenze in un gioco talentuoso di elissi continue. I personaggi infine incarnano veramente la vita e, come nella vita, si attraggono e si respingono con un tocco di ironia onnipresente e Bedos dirige magnificamente gli attori che li interpretano. E che attori! Alcune icone del cinema francese e nuove leve in stato di grazia. Su tutti: D. Auteuil da tempo lontano da un ruolo così giusto e così ben recitato, poi F. Ardant brava, fascinosa ed autoironica ed infine la bellissima e dotata D. Tillier, la musa del regista, che illumina lo schermo dando personificazione reale ad un ideale femminile davanti al quale si può restare estasiati.
La belle époque è la conferma della vitalità della cinematografia francese ed è un piacere vederlo, un film pregevole, tenero e vivace da non perdere. Una dolce love-story, romantica, divertente e ricca di ironia pungente e di emozioni.
data di pubblicazione:07/11/2019
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da Antonio Jacolina | Nov 2, 2019
Claire (Juliette Binoche) professoressa universitaria, divorziata e madre di due figli, ancora attraente ma disillusa e bisognosa di amore, si inventa un falso profilo e, grazie a questo sotterfugio, fa innamorare e si innamora a sua volta del giovane Alex (Francois Civil) giovane fotografo coetaneo dell’amante che l’ha appena abbandonata. Nell’irrealtà virtuale tutto funziona al meglio fino al giorno in cui la realtà impone prese di coscienza crudeli…
Come non ci stancheremo mai di ribadire il cinema francese ci regala ancora una volta, l’opportunità di apprezzare quanto i bei ruoli di donna dominino la cinematografia di oltr’Alpe, e quanto la presenza e l’interpretazione carismatica di un’attrice in stato di grazia facciano poi la vera differenza.
Il nuovo film di Nebbou, versatile cineasta e sceneggiatore francese, ci regala infatti un ritratto di una complessa e fragile bella cinquantenne, affermata professionalmente che è però alle prese con la perdita progressiva di identità, con l’invecchiamento, con l’abbandono, con la passione ed il desiderio amoroso e fisico. Così facendo il regista esplora con precisione e finezza la deriva della nostra epoca schizofrenica costantemente presa fra il gusto per la trasparenza ed i mille compromessi con le verità, aprendosi così alle tematiche del “doppio”, delle messe in scena, delle ambivalenze, dell’amore impossibile, dell’età che avanza, dell’accettazione di se stessi, del fascino illusorio dei rapporti virtuali ed alle connesse e distruttive implicazioni psicologiche. Claire è infatti una donna che vuole avere ancora la sensazione di vivere, amare, desiderare ed essere amata e desiderata, in una parola: vuole ancora credere alla felicità!
Su questi temi di non poco conto, molto attuali e, per di più non insoliti per il Cinema, il nostro regista è molto abile nel non cadere nel banale e nel non percorrere sentieri già segnati, anzi, al contrario è bravo nel tessere ed articolare un racconto ove realtà, illusione e finzione si intrecciano e corteggiano fra loro, agendo e lavorando su doppi/tripli piani mentali e narrativi proprio perché infinite possono essere anche le proiezioni amorose.
Tutto passa per i sorrisi accennati o luminosi, le lacrime trattenute o le più vere della Binoche che veramente illumina costantemente lo schermo ed è capace di offrire allo spettatore con pari naturalezza sia la bellezza di un volto luminoso di speranza, sia le rughe, le ombre di un volto senza trucco segnato dall’angoscia. Un ruolo, un personaggio a doppio volto che l’attrice rifinisce ed impreziosisce con una presenza fisica generosa ed una capacità di analisi psicologica di rara profondità tanto è umana ed autentica nelle tante sfaccettature. Una Binoche dai mille volti, dalle mille espressioni, in uno dei suoi migliori ruoli ed interpretazioni. Bella e commovente, ostinata e fragile, sofferente e gioiosa, intrigante e desiderabile. Le tiene testa e la asseconda una altrettanto carismatica Nicole Garcia parimenti intensa nel ruolo della psicanalista che rappresenta lo sguardo di noi spettatori sulla storia. Con queste due grandi donne ed attrici non sfigura il giovane e promettente Civil, l’oggetto del desiderio di amore.
La Binoche dunque sostiene e da vera consistenza alla storia ed al film, ma va anche detto che il regista è altrettanto intelligente nel sapersi mettere da parte davanti alla prestazione dei suoi attori, curando invece con efficacia, come in un thriller psicologico di tutto rispetto, il dipanarsi ed intrecciarsi delle false piste e, con loro, i diversi punti di vista sul personaggio e sulle sue ferite profonde.
Il mio profilo migliore è un film più che discreto con un’ottima sceneggiatura, un montaggio perfetto, dialoghi intelligenti e ben calibrati, riprese ottime e anche virtuosismi. Fra i difetti segnalerei una lentezza narrativa soprattutto nella prima parte e poi, se difetto può definirsi, una mancanza di empatia verso la vicenda narrata. Troppa razionalità Cartesiana uccide le emozioni. Troppa mente, poco cuore! Una grande Binoche ed una storia intrigante e sconvolgente con un finale aperto, una storia di amore vista come un thriller, perché dopotutto …” ma sappiamo veramente chi amiamo, allorché amiamo … ai tempi della realtà virtuale? “
Se il gioco vita e virtuale vi intriga e volete vedere di nuovo giocare la realtà virtuale ed il cuore in modo più accattivante ed ironico, e … veder invece vincere il cuore e la passione sulla mente, andate allora a vedervi e godervi La belle époque quando uscirà!
data di pubblicazione:02/11/2019
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da Antonio Jacolina | Ott 27, 2019
Inghilterra 1927, il re Giorgio V e la regina Mary saranno ospiti per una notte nella dimora aristocratica di Lord Grantham, a Dowton Abbey. L’evento destabilizza gli equilibri e gli ordini gerarchici ed i ruoli di ciascuno, soprattutto fra la servitù….
Dowton Abbey è stata una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni. La serie è andata in onda per ben 6 stagioni consecutive a partire dal 2010 e raccontava la saga dell’aristocratica famiglia di lord Grantham, signore di Dowton Abbey nello Yorkshire e, tramite le sue vicende, le dinamiche di classe del “buon tempo andato”, gli anni gloriosi dell’Inghilterra dei primi decenni del secolo scorso. Un’acuta descrizione del mondo aristocratico al suo massimo fulgore ma, tuttavia, già costretto ad affrontare i nuovi venti di cambiamento. Una riflessione ironica e pungente sulla Società Britannica, sulle rigide distinzioni fra classi sociali e sulle interazioni ed i rapporti fra i vari ceti: fra i “piani superiori” quelli dei nobili e dei padroni ed i “piani inferiori” quelli della servitù, dei domestici, cuochi, valletti, maggiordomi e governanti. La serie è stata ideata dallo scrittore e sceneggiatore J. Fellowes (Oscar per la sceneggiatura del meraviglioso Gosford Park di Altman 2001). Fellowes stesso ha curato anche la sceneggiatura della versione cinematografica con cui l’autore ridà vita ai suoi personaggi e che è stata presentata alla Festa del Cinema di Roma. Il film dell’americano M. Engler (apprezzato regista televisivo che aveva diretto anche 4 episodi dell’ultima stagione) qui al suo secondo lungometraggio, riprende la storia là dove la serie televisiva si era interrotta.
La narrazione e con lei la cinepresa, segue i vari avvenimenti passando dai “piani alti” giù fino ai “piani bassi” abitati da uno stuolo di solerti domestici, governati tutti dagli stessi meccanismi di Potere dei loro padroni. Così facendo, lo sguardo dello spettatore si muove anch’esso da un piano all’altro della nobile magione, catturando conversazioni, vizi, progetti, gelosie intrighi e storie in un ritratto d’insieme delle classi sociali e delle varie gerarchie in un’analisi profonda delle relazioni umane e dei pregiudizi della società inglese dell’epoca, ma, se vogliamo, anche un quadro riflesso dei cambiamenti culturali, sociali e delle vicissitudini dei nostri giorni.
La sensazione, per chi ha già seguito la serie, è quella di stare ad assistere ad un nuovo lungo episodio, solo più stupefacente e più attento al dettaglio, vista la destinazione al grande schermo. In effetti le inquadrature sono spesso le stesse, le situazioni sembrano riproporsi, si rincontrano gli stessi personaggi, lo spirito è identico, ma non poteva che essere così vista la logica della stessa trasposizione cinematografica.
Il risultato è comunque un film rapido ed elegante, ironico ed avvincente, la messa in scena è efficace, la regia è dinamica e mantiene sempre un ritmo sostenutissimo. I dialoghi sono raffinati ed accurati. Il fasto della grande dimora, la bellezza dei costumi, gli oggetti di scena tutti perfetti e giusti, riempiono meravigliosamente lo schermo. Una giusta alternanza di dramma e tensione con commedia ed ironia diverte e coinvolge subito lo spettatore. Il cast ottimo, ripropone tutti i personaggi ed attori che li interpretavano, e, come ieri così anche oggi, sono tutti perfetti e bravi. Su tutti emerge la magnifica Maggie Smith, un gioiello di recitazione, di sottintesi, di pungente arguzia ad ogni sua battuta. Direi che come in un’orchestra ogni elemento ha la sua dignità propria ma tutti insieme fanno l’orchestra che suona alla perfezione, così qui nel film ogni elemento ha la sua importanza, ma tutti insieme fanno un film veramente gradevole e sontuoso.
A voler trovare dei difetti, segnalerei solo un eccesso narrativo con troppi personaggi che spesso sono soltanto delle mere presenze, alcune situazioni poi sono un po’ convenzionali o criptiche per chi non ha conoscenza della serie tv. Forse manca un vero soffio di virtuosità corale come in Gosford Park, ma che volete? quello era Altman!
data di pubblicazione:27/10/2019
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