da Antonio Jacolina | Mar 23, 2020
“… c’era molta gente a spasso … sembravano tutti presi a conversare, il fatto lo colpì, con quanta disinvoltura davano per scontato l’essere insieme e il parlarsi fra loro …” Così scrive Elizabeth Strout nelle prime pagine del suo nuovo libro appena uscito per i tipi di Einaudi. Nulla a che vedere ovviamente con la realtà che stiamo vivendo attualmente, ma come non rifletterci un attimo con amarezza in questi momenti in cui tutto ciò che fino a ieri davamo per scontato come il passeggiare, il conversare camminando in compagnia, sembra essere, d’improvviso, divenuto un ricordo lontano ed un desiderio futuro.
Dopo poco più di 10 anni dalla pubblicazione di Olive Kitteridge (2008 e Premio Pulitzer 2009) che la consacrò come scrittrice di successo insieme con la sua eroina letteraria, la Strout affronta la non piccola sfida di scrivere un seguito ideale di quel suo romanzo e supera la prova in modo brillante confermandosi ottima narratrice dalla scrittura evocativa, impeccabile e scorrevole; facendosi, ancora una volta, apprezzare per la sua capacità introspettiva nel rappresentare storie intense e profonde con personaggi vivi, veri e complessi. L’iconica Olive Kitteridge (il cui successo letterario è stato anche bissato dal 2014 in poi dal successo della serie tv con l’altrettanto iconica Frances McDormand perfettamente calata nei suoi panni), sta ormai per raggiungere gli 80 anni, è più consapevole di sé, e continua ancora, pur con i suoi modi ruvidi e diretti, talora anche egoistici, a cercare di comprendere non solo se stessa ed il senso della propria vita, ma anche quello della vita di chi con lei ed attorno a lei vive a Crosby, piccola città costiera del Maine. La cittadina è un microcosmo di personaggi e caratteri che si illuminano di momenti toccanti, ironici, ridicoli e drammatici, in una parola di profonda concreta umanità, ognuno dei quali ci fa riflettere sulla solitudine, l’infedeltà, l’alcolismo, la malattia, l’invecchiamento, la morte, le delusioni ed il rimpianto, tanti rimpianti. Per fortuna però ci sono ancora anche amicizia, amore ed empatia, sentimenti che la nostra Olive trova in se stessa e che riesce anche ad offrire agli altri.
Come nel primo libro anche questa volta la Strout fonde abilmente humour, compassione e tristezza in storie che confluiscono in un’unica storia il cui filo rosso, che tutte le unisce fra loro, è Olive che a volte ne è la protagonista, a volte invece appare solo sullo sfondo. Olive Kitteridge è un personaggio indimenticabile, una volta conosciuto non si riesce a dimenticarlo tanto è vivo, toccante e realistico. Questa volta però è più profondo, più consapevole, più triste, la malinconia aleggia su ogni pagina come un ultimo sguardo prima del congedo finale da parte di una persona consapevole di essere, col tempo, divenuta una persona migliore ma, forse troppo tardi!
Un bel libro che fa riflettere. Se avete letto ed amato, a suo tempo, Olive Kitteridge non potrete non apprezzare anche questo libro anche se meno allegro e forse più triste, ma la Strout è brava nel penetrare e rappresentare la realtà con Verità e con tutte le emozioni che la Verità porta con sé: allegria o tristezza che siano.
data di pubblicazione:23/03/2020
da Antonio Jacolina | Mar 22, 2020
I sogni non ci chiedono il permesso per svilupparsi, ci invadono bruscamente e ci impongono la loro legge; ma, quando ci si sveglia, noi abbiamo però tutto il diritto di sviluppare gli spunti ricevuti dai sogni stessi e dar loro l’aspetto narrativo o psicologico che meglio riteniamo, senza dovergli chiedere il permesso. E’ questa la legge del sognatore!
Daniel Pennac, il creatore della saga di Monsieur Malaussène e della sua fantastica famiglia (ben 6 milioni di copie vendute) ci offre, con questo suo nuovo libro, un viaggio nel vasto paese dei sogni, un’ode al potere dei sogni e dell’immaginazione, alla famiglia, all’amicizia ed un omaggio alla libertà creativa di Federico Fellini di cui Pennac si dichiara fervente ammiratore. Come Fellini il nostro scrittore sogna enormemente e come lui tiene un quaderno in cui annota i propri sogni. Fellini poi li disegnava, ne traeva spunto per soggetti cinematografici o li inseriva direttamente nei propri film, Pennac invece li usa per scrivere e raccontare. Entrambi però ci invitano ad attuare la legge del sognatore e a fare dei nostri sogni il carburante per le nostre vite.
Il libro è un gradevole mix di letteratura, cinema, sogni, memorie e fantasia. Un racconto ove l’autore si concede una sorta di “autofinzione sognata”, piena di colpi di scena in cui mischia il vero con il falso per meglio evocare i propri ricordi di infanzia, gli anni dell’insegnamento, i vari allievi avuti e poi la sua grande fascinazione per il genio dell’amato Fellini. Raccontare un sogno è immaginarlo ed inventarlo nell’istante stesso in cui si inizia a raccontarlo. Quindi maliziosamente in equilibrio fra sogno e realtà, senza poter sapere dove finisca l’uno ed inizi l’altra, Pennac trascina il proprio lettore in un racconto che è tutto un grande inno all’immaginazione ed alla spensieratezza.
Una conferma di quale sia l’immaginario dell’autore: affascinante, dolce e folle, ricco e malizioso e tanto inafferrabile e indefinibile quanto può esserlo un sogno. È indubbio che l’arte di saper scrivere e raccontare sia una delle qualità di Pennac, il lettore deve solo affidarsi e lasciarsi portare dal racconto e perdersi nel racconto stesso, tanto onirico quanto accattivante e piacevole a leggersi.
data di pubblicazione:22/03/2020
da Antonio Jacolina | Mar 21, 2020
Il Festival di Cannes in programma per il prossimo mese di Maggio è stato rinviato. L’uscita di quasi un centinaio di film è bloccata. Una cinquantina di troupes e di set in preparazione sono ferme o sono chiusi. Sospesi vari progetti. L’intera industria cinematografica è costretta a fermarsi! E, con lei tutto il volume di affari, di occupazione e di abitudini ad essa connessa. Con il Cinema anche tutto il mondo della Cultura. Il Mondo come noi lo conoscevamo e che pensavamo immutabile, sta cambiando ogni giorno di più davanti ai nostri occhi increduli e … noi con lui e, con lui anche il nostro modo di vivere. Purtroppo non stiamo né assistendo, né partecipando, come comparse, ad un film “distopico” su un futuribile domani su cui poter proiettare e scaricare le nostre ansie. Non siamo affatto sul set immaginato da Fritz Lang per la Metropolis del 2026, né in quello della putrida e bagnata Los Angeles del 2019 di Blade Runner, né nel visionario mondo del 2035 di L’esercito delle 12 scimmie ove l’umanità, per sfuggire ad un virus letale, si è rifugiata sottoterra. Non c’è un Bruce Willis incaricato di tornare indietro nel tempo per scoprire l’origine dell’infezione e l’antidoto, non c’è un Will Smith, un Denzel Washington né un Tom Cruise che possono intervenire. Non è un film ma la Realtà. La vera realtà è anche che tutti i luoghi della Cultura sono ormai chiusi … tutte le cose che amiamo fare, sono costrette oggi a fare un passo indietro davanti l’incalzare di questa nuova (ma temporanea) realtà. Ma fare un passo indietro non significa affatto rinunciare o perdere ciò che si ama, e fra le tante anche il cinema. Si tratta di adattarsi ed abituarsi, per ora, all’idea di fruire e godere di ciò che si ama in modi nuovi, inusuali e diversi, e … non è affatto detto che questi modi nuovi non siano altrettanto piacevoli e validi. Certo, fino ad oggi eravamo tutti convinti che il Cinema potesse essere apprezzato solo e soltanto “dal vivo”, direttamente e ritualisticamente immersi nel buio di una sala, seduti vicino ad altre persone rivolte tutte con lo sguardo affascinato verso uno schermo illuminato, in momenti di Pura Magia! Ma per essere realisti, se i cinema resteranno chiusi ancora per settimane, la fruizione dei film “in modo indiretto” deve poter assumere un altro valore ed acquisire un altro nuovo gusto meno indigesto e forse altrettanto buono. È la realtà che ci si prospetta davanti senza infingimenti. Le certezze cambiano velocemente, basti pensare che davanti alla crisi dell’intera industria cinematografica si parla già di cambiare anche i regolamenti degli Oscar e dei Festival che fino a ieri imponevano, per poter concorrere o partecipare, l’uscita del film in sala. Si parla anche, coerentemente, di far uscire in streaming o a pagamento on demand tutti i film bloccati dall’emergenza, e si parla pure di poter vedere dei film dal nostro divano di casa in contemporaneo collegamento con gli amici potendo chattare con loro per sentirci così tutti in una sorta di sala virtuale ed in compagnia.
“Il Futuro Prossimo venturo” sarà un futuro vicinissimo in cui andremo al cinema senza essere al cinema. Ce la faremo? Certo che sì! Ce la faremo e ci adatteremo, sapersi adattare è la nostra qualità vincente, anche se c’è ancora qualcuno, come c’era nel passato, che critica l’avvento del sonoro, l’avvento del technicolor, l’avvento del cinemascope, dei grandi schermi, l’avvento del digitale in post produzione, l’avvento della computer grafica, l’avvento dei dvd … In attesa che questo Futuro si realizzi attorno a noi e con noi, nel modo meno cruento possibile, occorre tener alti i morali e tener viva la passione per l’Arte, lo Spettacolo, la Musica, il Teatro ed il Cinema, e, ben vengano tutte le iniziative che ci consentono di vivere, godere ed apprezzare le nostre passioni, i nostri interessi ed i nostri sogni.
Fra queste proposte merita di essere segnalata con particolare affetto ed apprezzamento da Accreditati quella volta a portare a casa la Cultura, proprio per aiutarci a superare individualmente, ma in virtuale compagnia di tanti altri, questo momento. E’ l’idea brillante lanciata dalla rivista culturale Scene Contemporanee.it con l’iniziativa: #SCenerestiamoacasa-proposta-film e spettacoli per la quarantena.
Un’intelligente ed apprezzabile iniziativa che propone ai suoi lettori e a chiunque altro sia interessato di coglier l’occasione di potere avere a casa, nella propria poltrona, un’accurata selezione di spettacoli e film nazionali ed internazionali scelti con cura, passione e competenza fra quelli di maggior successo e qualità delle ultime stagioni. Un’ampia selezione che abbraccia tutti i generi e che verrà costruita, adattata e integrata ogni giorno con la redazione stessa di Scene per poter così continuare ad essere una comunità di appassionati che stanno insieme, che insieme godono le proprie passioni pur restando, per ora, distanti. Una opportunità da cogliere.
Per ulteriori e più dettagliate informazioni consultate direttamente il sito di Scene Contemporanee.it
data di pubblicazione:21/03/2020
da Antonio Jacolina | Mar 18, 2020
Chi conosce la Nothomb sa che la 54enne scrittrice belga fin dai suoi primi esordi nel 1992 con Igiene dell’assassino e poi con i vari romanzi che si sono via via succeduti al ritmo di uno l’anno, non è certo un’autrice che si possa dire che possieda il dono della giusta misura. Così come la si può adorare e detestare, così lei ama provocare con l’originalità dissacrante del suo stile e dei temi al cui centro c’è autobiograficamente lei stessa o il corpo fisico con i suoi bisogni o limiti. Ecco quindi, fra i tanti: Stupore e tremori nel 1999, Metafisica dei tubi nel 2000 e Biografia della fame nel 2005. La scrittrice riesce sempre nelle sue provocazioni e la sua megalomania aveva bisogno di un protagonista all’altezza della sua stessa megalomania, e quindi, cosa di meglio stavolta che lasciare i campi autobiografici e mettersi nei panni di Gesù Cristo dando parola in prima persona ai suoi pensieri e scrivere così una versione tutta personale di un Vangelo, il “Vangelo secondo Amelie Nothomb”.
L’autrice in SETE da voce infatti al corpo di Gesù qualche ora prima della sua passione e crocefissione, non come figlio di Dio ma soprattutto come essere umano. Quali sono i suoi pensieri? Quelli degli Evangeli o piuttosto quelli di un uomo? Pensieri umani e terreni sul senso di una scelta, sulla paura e sulla sete, il bisogno di acqua di un corpo per sentirsi ancora vivo. Un monologo provocante e provocatorio, dissacrante e dissacratorio, un libro molto controverso che è la rappresentazione del paradosso Nothomb. La scrittrice, come al solito, sa ben scegliere un tema originale e sorprendente, controlla con la sua solita maestria lo stile, scrive bene e la lettura è fluida; che sappia scrivere bene e sappia provocare è innegabile, ma non basta! Affrontare un tema come quello della crocefissione dal punto di vista del corpo è una buona idea, è innegabile, ma non basta! L’intero breve libro manca purtroppo di profondità, le riflessioni sono troppo superficiali, quasi banali e non arrivano di certo a toccare né il cuore né lo spirito. SETE non è né buono né cattivo, non aggiunge nulla di nuovo ai lettori, credenti o non credenti che siano, è intelligentemente provocatorio ma nulla di più, manca proprio la sostanza, la effettiva consistenza dei contenuti. Davanti a tanta ambizione il risultato è assolutamente del tutto trascurabile.
Questa volta il giochino non è riuscito. Forse un libro scritto velocemente, che va letto velocemente e … ancor più velocemente va dimenticato.
data di pubblicazione:18/03/2020
da Antonio Jacolina | Mar 18, 2020
“…La viabilità di Roma è male organizzata e mancano i piazzali; i monumenti sono ristretti entro costruzioni di nessun pregio e perdono gran parte della loro bellezza…” così scriveva a Napoleone, ai primi del 1800, Camille de Tourner, Prefetto dell’amministrazione capitolina francese. Roma era la “Seconda città dell’Impero”, ma la discrepanza tra la magnificenza di una città ideale e la mediocrità della città reale era tragicamente percepita dall’amministrazione francese. Già allora emergevano in tutta la loro drammaticità i problemi che decenni più tardi, i Piemontesi prima, Mussolini poi indicheranno come i nodi da sciogliere per la modernizzazione e la grandezza della Capitale. In una città ritornata vitale le esigenze del ruolo, la crescente pressione demografica ed il processo di motorizzazione impongono interventi urbanistici che portano alla contrapposizione fra i paladini del pittoresco sedimentatosi nei secoli e quanti invece in tutto ciò vedevano solo malformazioni e degrado da sanare e modernizzare.
La Roma di Mussolini di Sidoni, acuto saggista ed attento ricercatore e storico, non è un libro destinato ai soli specialisti, tutt’altro, è invece un libro accessibile a tutti perché è uno sguardo, un’analisi acuta di quanto avvenuto fino a ieri l’altro per consentirci anche di meglio comprendere l’oggi. E’ quindi una buona opportunità di avere una visione precisa, semplice e completa degli eventi e degli antefatti che hanno portato alla Città così come la viviamo oggi e di conoscere come sono stati disegnati i suoi assetti urbanistici e pianificata la sua monumentalizzazione e come sarebbe potuta essere e perché non lo è. Un’analisi completa, documentata e ricca di aneddoti, di sorprese, di fatti e retroscena spesso gustosissimi, scritta con stile asciutto e scorrevole, dello sviluppo e delle trasformazioni urbanistiche ed architettoniche che incisero sul volto di Roma nel tentativo di farne una grande metropoli moderna. Una modernità che veniva intesa come razionalismo e futurismo, che aveva bisogno di spazi, di nuove regole e modelli e, per quanto difficile, doveva anche riuscire a coniugarsi con le tradizioni. Uno dei risultati fu lo stile architettonico del “Monumentalismo Neoclassico Semplificato” che, sottolinea Sidoni, affrontando in modo distaccato, senza preconcetti ideologici, un tema che ha visto scontrarsi nel passato visioni contrapposte, non fu solo italiano o fascista, ma fu universale ed è infatti presente negli edifici pubblici a Washington, a Parigi, a Dublino e in altre grandi città. Dunque un libro che merita di essere letto e consultato e che può interessare e soddisfare sia gli appassionati di cose romane sia ed anche coloro che ci sono solo venuti a vivere, per dar loro l’opportunità di meglio comprendere dove si trovano.
data di pubblicazione:18/03/2020
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