da Antonio Jacolina | Gen 19, 2021
Netflix modernizza intelligentemente il mito di Arsenio Lupin, con un Omar Sy a suo agio nel ruolo di Assane Diop “ladro gentiluomo” ossessionato dalla sua sete di Giustizia e Vendetta per rivendicare l’onore di uomo onesto del padre suicidatosi in carcere sotto il peso della falsa accusa di furto …
Se stessimo discettando, in tempi normali di un film per il grande schermo, dovremmo dire che si tratta di un prodotto che prova ad amalgamare più generi e sottogeneri cinematografici dall’ Heist Movie, ai film di ambientazione carceraria fino ai thriller paranoici passando anche per il mélo sempre però restando in superficie, senza mai entrare fino in fondo nei temi accennati e con dei personaggi legati molto agli archetipi ed ai cliché. In realtà stiamo parlando, ai tempi del Covid, in un mondo ove i cinema sono chiusi e la distribuzione è ferma da quasi 1 anno e di un prodotto solo televisivo. Parliamo di un prodotto che non sarà né vuole essere un capolavoro, ma che, nel suo genere, è assolutamente efficace, innovativo, intelligente, pieno di colpi di scena e ben costruito. Lupin è infatti una miniserie di 5 puntate che ha tutto ciò che serve ad una serie TV per avere successo: saper arrivare a toccare un pubblico vasto, essere intrigante, divertente, elegante ed al tempo stesso familiare ed intergenerazionale.
Arsenio Lupin non appare mai in carne ed ossa, ma vi appare di continuo come soggetto/oggetto di fascinazione per il protagonista. E’ questa l’idea geniale! Piuttosto che rifare il “ladro gentiluomo” creato nel 1905 dal francese Maurice Leblanc, o di riproporlo in epoca moderna, gli sceneggiatori hanno invece immaginato un personaggio qualsiasi affascinato dalle avventure del personaggio letterario, Assane Diop, un immigrato di origine Senegalese, un “uomo normale” che passa inosservato, quasi invisibile perché è un immigrato che vive “normalmente” in un milieu modesto. Un ladro dalla morale ribelle e dall’intelligenza vivace, brillante e contemporaneo che di episodio in episodio, seguendo alla lettera le storie del vero Arsenio Lupin di cui è appassionato lettore fin dall’adolescenza, conseguirà il suo obiettivo: affermare la Verità e avere Giustizia. Sullo sfondo una Parigi odierna sempre più splendida.
La serie creata da George Kay con la regia, per le prime tre puntate, di Louis Leterrier, ricorda per fascino e magnetismo iniziali: Ocean’s 11 di Soderbergh, scene di azione impeccabili, dialoghi pungenti e ben calibrati, una messa in scena di alto stile, un ritmo incalzante, un ottimo montaggio che non lascia spazio a tempi morti, ogni attimo ha suspense e tensione.
Un insieme molto piacevole e, a tratti, divertente legato dal filo scuro della ricerca della Verità e dalla Vendetta. Si potranno certo perdonare alcuni personaggi di contorno disegnati in modo superficiale o manicheo, soprattutto fra i “cattivi” ed i poliziotti, oppure la mancanza di complessità degli intrighi o il sorvolare su temi sociali più seri.
Al centro di tutto, affabile e sorridente, Omar Sy dà personalità allo humour ed alla seduttività, quasi insolente, di un personaggio letterario come il “ladro gentiluomo”, rendendolo vivo e simpatico anche a coloro che non lo conoscevano affatto. Attorno a lui un cast femminile di qualità: Ludivine Saigner e Nicole Garcia.
Cinque puntate, una mini serie elegante e vivace che sarà senza dubbio uno dei successi televisivi di questo inizio anno.
data di pubblicazione:19/01/2021
da Antonio Jacolina | Gen 15, 2021
Dopo la complessa vicenda di Suez la Gran Bretagna piomba in una profonda crisi economica e politica. Elisabetta II deve affrontare anche gravi difficoltà in famiglia: l’irrequieto marito, la sorella Margaret, le critiche sempre più crescenti contro la Monarchia, segno pressante dei “nuovi tempi”, l’affare Profumo ed infine i Kennedy a conclusione dei suoi primi 10 anni di regno …
Dopo una prima Stagione stupefacente ed emozionante anche la Seconda si conferma altrettanto coinvolgente e di elevata qualità. Impeccabilmente realizzata, è “bella” senza essere mai “finta”!!
Il taglio resta difatti squisitamente molto cinematografico, il frutto di un continuo lavoro di cesello sulla messa in scena con il supporto di dialoghi veri ed intelligenti e di un ritmo narrativo costante. Certo, una parte dell’emozione e dell’interesse iniziale può anche diminuire nel corso dei nuovi 10 episodi perché, da una parte ci si abitua a tutto, anche alla qualità, e, dall’altra perché, venuto meno un coprotagonista del calibro di Winston Churchill, alcuni episodi sono ineguali in funzione del personaggio su cui l’episodio è centrato. Ciò non di meno siamo nella più piena continuità della eccellenza della scrittura e della realizzazione. Si sente veramente tutta la passione di Peter Morgan per il soggetto. L’evoluzione della Regina è infatti magistralmente delineata. Con brevi ed incisivi tocchi si assiste alla sua progressiva “maturazione” davanti alla necessità di dover far sopravvivere un’Istituzione portandola a “democratizzarsi” adattandola ad un incontro fra Tradizione ed urgenza di Modernizzazione.
Questa 2° Stagione è quindi all’apparenza più intimista e tenuta insieme dal filo rosso del rapporto personale fra la Regina ed il Principe Filippo e l’irrealizzata sorella Margaret. Evidenziando le debolezze e le frustrazioni all’interno della Famiglia Reale e le complesse relazioni personali ed istituzionali, il regista valorizza l’umanità dei suoi personaggi reali pur a fronte della fastosità che li circonda. Umanizza così facendo l’Istituzione!!
Gli attori tutti sono sempre giusti e perfetti, soprattutto il vasto coro dei coprotagonisti. Claire Foy continua a rendere sempre più magistralmente la fragilità esteriore e la forza interiore di questa figura insondabile che è Elisabetta II, le si affianca Vanessa Kirby bella e formidabile nei panni della principessa Margaret di cui, con pochi gesti, sa renderci tutta l’amara irrequietezza e fragilità emotiva.
The Crown conferma quindi, anche in questa Seconda Stagione, di essere ben al di sopra della massa delle altre serie tv per qualità cinematografica e capacità narrativa e di sapere affascinare il pubblico raccontando la Storia intrecciando, con grazia tutta “british”, la “piccola” con la “grande”.
La si gusta in ogni episodio come una buona tazza di ottimo tè inglese con i giusti pasticcini!
data di pubblicazione:15/01/2021
da Antonio Jacolina | Gen 13, 2021
Cantava Dalla ”… la televisione ha detto che il Nuovo Anno sarà 3 volte Natale e Festa tutto il giorno …”. Le “FESTE”… un’opportunità in più per chi ama leggere, per chi ama regalare e ricevere libri: … i libri, “messaggi o illusioni di segnali di affetto/amore per l’altra/o”, oppure per se stessi. Più prosaicamente … un regalo ricevuto è anche un’opportunità per decidersi finalmente di leggere un libro di cui si era tanto sentito parlare ma che si era finora snobbato con supponenza.
Tu Sei Il Male, il romanzo di esordio di Costantini nel 2011, è il primo volume della “Trilogia del Male” ed è stato accolto fin da subito da un coro unanime di consensi. Il libro è una piacevole sorpresa! va ammesso, sia pure con anni di ritardo!
Un thriller poliziesco italianissimo, di rara intensità che ci regala anche uno spaccato dell’Italia degli ultimi 30 anni, un’Italia in noir, un’inchiesta fra politici cinici, cardinali ambigui, assassini crudeli e belle donne insondabili. Quale è il limite fra il Bene ed il Male? Il limite fra un assassino ed un giustiziere, è forse il motivo per cui si uccide? Questi sono gli interrogativi che ci pone il romanzo.
Per gli appassionati del genere viene spontaneo il confronto con gli Americani, certo siamo lontani dai ritmi serrati ed avvincenti ove azione ed investigazione si succedono fluidamente senza sosta. Siamo lontani dalla dinamicità aggressiva degli Ellroy, dei Deaver, dei Connelly! Paragonare Costantini a loro è forse eccessivo perché lui punta semmai sulla complessità della trama, ma … ma, a dir la verità, in un confronto con Connelly il nostro potrebbe però reggere fino al 12° round e perdere con molto onore solo ai punti! Non male per un italiano, per di più esordiente. Non male affatto! Anzi, molto bene! Al centro del libro e della Trilogia c’è il commissario Balistreri che ricorda moltissimo l’Harry Bosch di Connelly (ricorda, non imita!). Come l’americano anche Balistreri è un personaggio bipolare, un solitario, un antieroe forse antipatico ma che poi attrae per le sue umane debolezze. Bosch è tormentato dal passato oscuro e dal Vietnam ed è cinico e arrabbiato, altrettanto Balistreri è segnato da colpe lontane, profugo della Libia ove è cresciuto fino alla presa di potere di Gheddafi, una giovinezza violenta, ex fascista, ex collaboratore infiltrato dei Servizi ed infine recuperato come commissario di polizia, oggi è divenuto l’uomo che non avrebbe mai voluto divenire.
Costantini è bravo nel creare un protagonista che sfiora i clichè del poliziotto segnato dalle delusioni ma è tanto intelligente da riuscire a restarne fuori, disegnando invece una figura umana e professionale molto interessante. Una figura con una sua personalità, un uomo che ha sprecato il suo passato, che evita il presente, che non ha nulla al di fuori del suo lavoro e che senza una visione lucida della vita sbaglia spesso e non sempre riesce a cogliere il cuore dei problemi perché è un superficiale che però non si arrende nel ricercare la verità, una Verità. Attorno a questo protagonista l’autore ha saputo costruire, con una scrittura fluida, uno stile semplice ed una buona capacità narrativa, un bel plot, un meccanismo intrigante che mantiene sempre costante il livello di tensione. Le storie di Costantini partono sempre dal passato per arrivare poi al presente, costruite come una tela di ragno su una trama complessa ma molto accurata nell’ambientazione e nella delineazione dei personaggi e degli eventi. Sullo sfondo: Roma, l’Italia, la nostra Società, quanto si nasconde dietro la facciata imbiancata del nostro quotidiano sociale, politico e parapolitico. Non mancano certo i difetti: un’eccessiva lunghezza, qualche lentezza, troppi personaggi inutili, alcune contraddizioni logiche, un finale un po’ forzato. Peccati veniali per un esordiente!
Nel complesso Tu sei il Male è una lettura piacevole e coinvolgente, un romanzo ben confezionato, credibile ed efficace che non delude le aspettative che genera e tiene legato il lettore per tutto il percorso investigativo. Un buon poliziesco. Occorre ora leggere gli altri due romanzi della trilogia.
data di pubblicazione:13/01/2021
da Antonio Jacolina | Gen 8, 2021
Ascesa al trono nel 1952, a soli 25 anni, dell’inesperta ed insicura Elisabetta, costretta a farsi carico dell’onore e dell’onere di dirigere la più celebre monarchia del mondo. L’Impero Britannico ha vinto la II Guerra Mondiale ma ne è uscito spossato, il mondo politico è smarrito, il mondo sta cambiando velocemente, le tradizioni vacillano, i punti di riferimento vengono meno, una giovane donna sale sul trono più importante, all’alba di una nuova Era …
Complice il protrarsi della chiusura dei cinema, abbiamo alfine ceduto alle lusinghe delle “Piattaforme” ed abbiamo affrontato di petto un vero colosso, uno dei “gioielli della corona” di NETFLIX. Abbiamo visto la Prima Stagione di The crown, i 10 episodi già usciti sul finire del 2016 (la Seconda è uscita nel’17 e poi, dopo una pausa di due anni in corrispondenza del cambio del cast ed al salto narrativo temporale, nel’19 la Terza ed infine nelle scorse settimane la Quarta). Una creazione anglo-americana con un impegno economico stratosferico di ca. 120 milioni di dollari per ciascuna serie, su un progetto di ben 6 Stagioni. I risultati sono ampiamente all’altezza dell’investimento, il prodotto ha infatti un’innegabile qualità cinematografica: colonna sonora, ambienti, abiti, locations grandiose e sfarzose che fanno da giusto sottofondo ad immagini di uno splendore raramente visto in TV, si passa così da Malta al Kenya, dalla Scozia all’Australia, con ricostruzioni ed ambientazioni minuziose ed affascinanti fin nei più piccoli dettagli.
Una Prima Stagione di gran classe e bellezza. I tempi ed i ritmi sono molto “inglesi”, lenti e sobri ma altrettanto raffinati. La messa in scena è precisa ed accurata ed è evidente il gran lavoro di ricerca e rielaborazione dei fatti narrati: per la maggior parte reali e veritieri. Veramente un’eccezionale risultato narrativo da parte del creatore e sceneggiatore della serie: quel Peter Morgan già autore di The Queen (sugli schermi con Hellen Mirren nel 2006) che continua abilmente a svelare gli aspetti sensibili della Corona Britannica ed a scrivere “partiture” a volte forse un po’ lente ma nel complesso sempre belle e mai banali. Dietro alla cinepresa c’è poi Stephen Daldry, il collaudato e sensibile regista di Billy Elliot (2000), The Hours (2002) e di The Reader (2008) che filma, da par suo, con taglio molto cinematografico, con ritmo ed una scrittura sempre precisa e rapida che delinea benissimo i vari soggetti e contesti.
Una grande serie storica che seduce perché sa trovare la giusta angolatura per abbordare con ottimi risultati un soggetto già affrontato più volte. Vale a dire, saper raccontare con leggerezza l’inizio del regno di Elisabetta II entrando nell’intimità dei personaggi, unendo intelligentemente la “piccola” e la “grande” Storia.
Come nella celeberrima Dowton Abbey lo spettatore è trasportato infatti dietro le quinte dei Reali, dei Nobili e dei Politici alla scoperta delle loro vite così deliziosamente old-fashioned, ma qui però gli autori invitano lo spettatore a saper leggere con intelligenza fra le righe il vero senso di tutto: la sovrana è al centro di un contesto sociale, politico e soprattutto simbolico. E’ un’Istituzione! La Monarchia! Come può una monarchia sopravvivere davanti ai tempi moderni e come può un individuo medio come è Elisabetta trasformarsi da persona a Funzione? Su questo interrogativo, fra l’essere ed il dover essere, fra la perennità dell’Istituzione e le debolezze di chi deve incarnarla si pone tutta la vera essenza della serie. L’altra grande forza è poi il centrarsi anche sulla parallela storia della Gran Bretagna, un affresco storico su quei primi anni 50 in cui un leone come Winston Churchill è tornato pesantemente sulla ribalta politica e vuole restarvi nonostante l’età! Elisabetta e Winston sono due metafore: l’una troppo inesperta che deve sapersi confrontare con il “nuovo”, l’altro troppo pieno di esperienze che non si possono però più riproporre utilmente con il “nuovo”. Tutto attorno a loro e nello sfondo le loro vite private: il principe consorte Filippo di Edimburgo, la sorella Margaret, i vari politici ambiziosi …
Il casting è eccezionale: Claire Foy non cade nella trappola dell’imitazione della regina ma … è la Regina! Jon Lighton è un credibilissimo Churchill, bravo Matt Smith nei troppo stretti panni del principe consorte, perfettamente caratterizzati, come sempre, i comprimari ed i personaggi di 2° e 3° piano.
Questa Prima Stagione va detto è veramente una vera gemma! Si impone quindi il piacere di dover vedere e valutare anche le stagioni successive.
data di pubblicazione:08/01/2021
da Antonio Jacolina | Dic 28, 2020
Pianeta Terra anno di disgrazia 2049! Peggio, molto peggio del 2020!! George Clooney è un astrofisico che ha deciso di restare solo nella base astronomica antartica nell’estremo tentativo di intercettare via radio un’astronave inviata in missione sul lontano satellite K23 di Giove, per verificarne la vivibilità e colonizzazione. Deve riuscire assolutamente ad evitare che rientri sulla terra ove ormai non c’è più speranza per il genere umano!
NETFLIX, approfittando delle crescenti difficoltà delle varie case di produzione e distribuzione americane, attrae sempre più i cineasti desiderosi di realizzare qualche loro progetto. E’ oggi la volta di Clooney ad essere catturato dalle opportunità offerte dalla Piattaforma per la sua nuova prova come regista e protagonista. Vi domanderete “… ma ancora la solita vecchia storia della fine del Mondo? Una storia che va avanti ormai dalla notte dei tempi?!?…” Poco importa, poteva pur sempre restare un buon soggetto, o meglio, un buon modello da riempire con nuovi contenuti e poi riproporre in mille nuovi ed interessanti modi. Nel nostro caso non è però il modello il problema vero! Il problema è che quello riproposto da Clooney, pur senza essere brutto, non è interessante, non è nuovo né ha qualità particolari. Semmai è piuttosto una riproposizione un po’ comune, un po’ squilibrata, un po’ banale ed un po’ minimalista. Un lavoro che si può vedere senza troppo dispiacersi ma anche senza mai assolutamente riuscire ad emozionarsi.
Clooney giunto ormai alla sua settima regia firma, in effetti, due film in uno. L’autore cerca infatti di far collimare due generi e due universi cinematografici ben diversi fra loro e più che ampiamente sfruttati da Hollywood. Il primo è un racconto di “sopravvivenza” fra la solitudine, la natura ostile e la malattia individuale e collettiva; l’altro è “l’odissea spaziale” dell’equipaggio dell’astronave che ritorna verso la Terra ignaro di tutto. In ciascuna delle trame che procedono per buona parte del film in parallelo, evidentissime sono le molteplici impronte di altri film recenti. Come non pensare subito a Solaris di Soderbergh, a Gravity di Cuaron, a Interstellar di Nolan ed a Revenant di Inarritu? Tanto per citarne alcuni. Quel che distingue però il lavoro di Clooney dai suoi modelli è la sua scarsa spettacolarizzazione e l’approccio intimista, quasi metafisico, sul genere umano e sul suo destino individuale e collettivo. Questa “domanda” sul senso della vita, dà sostanza al film e vorrebbe anche potergli dare una dimensione poetica di speranza, facendone quasi un racconto esistenziale. Un racconto che però, a dirla proprio tutta, risulta essere ben poco in linea con la necessità di noi tutti di trovare semmai, certezze per un sorriso o per uno spunto di serenità. Clooney attore, dimagrito, spiritato, irriconoscibile sotto una gran barba da sopravvissuto, corre, lotta, soffre, rimpiange e spera, un ruolo certamente lontano dalla sua immagine di sex symbol. Una buona interpretazione, ricca di intensità e malinconia che rende tutto il peso della solitudine e del dramma esistenziale del singolo e dell’Umanità. Al film manca però qualcosa, quella scintilla che gli possa consentire di decollare veramente e di andare oltre la mera rappresentazione formale. Forse è troppo lungo, forse troppo appesantito da elementi introspettivi, da cadute di ritmo e tensione, come se il film, malgrado il soggetto grave e cupo, non riuscisse mai a trovare il modo di comunicare le emozioni vere e scivolasse invece nel sentimentalismo cosmico. Un film che non dispiace ma nemmeno riesce a piacere e che ci conferma che il nostro cineasta non è ancora al livello di sensibilità, di maestria e di poetica di due suoi colleghi passati dietro la cinepresa: Robert Redford né tantomeno il “giovanissimo” Clint Eastwood. Ne dovrà passare ancora di tempo!!!
data di pubblicazione:28/12/2020
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