da Antonio Jacolina | Mag 9, 2021
Non è facile mantenere viva, dinamica ed avvincente una serie letteraria così a lungo come ha fatto finora la Penny. Indubbiamente delle doti ci devono pur essere!! Se il suo penultimo lavoro Un Uomo Migliore (qui recensito nel Novembre scorso), aveva però manifestato degli evidenti segni di affanno, questo suo nuovo romanzo, il 16°!!! è finalmente una vera boccata d’aria fresca per l’autrice, per i personaggi e per l’evoluzione dell’ormai lunga storia. Siamo molto lontani dal mitico ed idilliaco villaggio di Tre Pini (un microcosmo forse troppo mitico e troppo idilliaco) e dai suoi troppo folcloristici personaggi di contorno. Siamo fuori dal suo piccolo mondo, siamo lontani dal Canada, siamo invece nella più fascinosa location che si possa desiderare, anche se viene vista e raccontata con occhi un po’ troppo provinciali e con quello sguardo un po’ sognante ed ingenuo che hanno in genere solo gli americani quando sono a … Parigi. Sì, siamo a Parigi! Anzi, Parigi stessa è uno dei protagonisti di questa nuova e vivace avventura dell’Ispettore Capo Gamache.
Diversa l’ambientazione e … sensibilmente diverso anche il mood narrativo!!
…”L’Inferno è vuoto ed i diavoli sono qui”, “Qui a Parigi…” anche la Ville Lumière ha le sue ombre ed i suoi demoni!! Gamache è appena arrivato con la moglie nella capitale francese per far visita ai due figli ed ai nipotini che qui lavorano e vivono e qui incontrare anche il suo anziano padrino, l’uomo che proprio a Parigi, lo aveva allevato allorché rimasto orfano a soli 9 anni. Quelli che dovevano essere solo giorni di gioia e reincontri familiari si trasformano invece in una vicenda frastornante che ci porta lungo le vie, le piazze ed i giardini nascosti dei quartieri centrali della città, fra segreti, ambiguità, doppi giochi, sospetti e pericoli incombenti. Un incubo che coinvolge, suo malgrado, tutto il clan familiare ed a cui Gamache può far fronte solo affidandosi ai propri valori, al proprio istinto ed alla propria “forza tranquilla”.
Come sempre la Penny è attenta e scrupolosa nella costruzione della trama e delle sottostorie, e, nonostante qualche eccesso di colore locale, qualche banalità, qualche inverosimiglianza ed un finale eccessivamente sdolcinato, il plot è però sostanzialmente interessante e si muove con accettabile equilibrio e plausibilità fra storie di corruzione globale, misteri locali e caratteri dei personaggi. La vicenda è ben raccontata con una scrittura intensa e ricca, un ritmo narrativo che si mantiene costante fino ad accelerare poi negli ultimi capitoli. La scrittrice, si sa, eccelle in modo particolare nell’esplorazione degli aspetti dei caratteri dei suoi personaggi, quindi le varie psicologie sono tutte attentamente esaminate fin nel più profondo dell’intimo perché, in effetti, il romanzo, nonostante gli omicidi ed incertezze è essenzialmente una storia di legami familiari, di amore e di amicizia. Un Polar insolito che parla anche di come la vita non sia influenzata solo dalle emozioni e dai fatti, ma anche da come scegliamo di ricordarli e da quanto si possa essere anche disposti a sacrificare di sé per le persone che si amano.
Pur essendo questo nuovo romanzo insolitamente ricco di azione e colpi di scena, quasi come un normale poliziesco, la Penny non potrà mai essere qualcosa di diverso da ciò che è e da ciò per cui una gran parte dei suoi lettori la apprezzano, quindi, quel che prevale restano pur sempre le emozioni, le suggestioni, le riflessioni esistenziali e l’umanità di Gamache. L’aria di Parigi ha però dato un’inaspettata e graditissima piccola scossa ed un’accelerazione al ritmo generale ed una nuova vitalità.
Accontentiamoci di questi attimi, lontani, per una volta, dal … solito “ritmo … di valzer lento”.
data di pubblicazione:09/05/2021
da Antonio Jacolina | Mag 5, 2021
Se è vero che di un grande scrittore come Simenon non si butta via niente, nemmeno le briciole, ci domandavamo alcuni mesi fa quale potesse essere il limite delle briciole da volere e potere pubblicare, e la risposta l’avevamo trovata in quei lampi di eccellenza, in quelle atmosfere ed in quei guizzi affascinanti che davano slancio e valore potenziale anche a quelle briciole, giustificandone così la lettura. Briciole su cui gli appassionati in attesa di un suo vero “Roman Dur” si gettano sempre famelici, festeggiando ogni volta l’uscita di un Simenon anche se “minore”.
E … la Casa Editrice lo sa molto bene! Eccome se lo sa!
Si tratta, anche questa volta, di una piccola raccolta di 10 brevi raccontini che, come per il recente Annette e la Signora Bionda, sono quasi articoli di costume, quadri di quotidianità, piccole storie scritte velocemente da Simenon, quasi “a tempo perso” nel 1940, subito dopo la disfatta francese, per il settimanale politico- letterario Gringoire, fatta eccezione dell’ultimo racconto apparso invece sulla rivista femminile Notre Coeur.
Sono quasi dei bozzetti di maniera che, come abbiamo già scritto, possono sembrare, a prima vista, semplici, poveri e banali e che richiamano proprio l’esistenza di tutti i giorni, una quotidianità popolata da personaggi che si muovono quasi ai margini della Società, un’umanità piccola con le sue illusioni, i suoi drammi, le sue meschinerie. Su tutto e tutti, come sempre in Simenon, regna l’eterna assurdità del Destino, l’ineluttabilità dei destini che i singoli non riescono a cambiare nonostante ci provino e lottino per riuscirci e lo desiderino ad ogni costo. Il desiderarlo non è sufficiente a modificare l’esistenza delle persone osservate perché spesso manca loro il denaro o le capacità di sfruttare le occasioni. A Simenon basta un tratto veloce, un breve cenno, poche righe, un lampo di eccellenza, un guizzo di qualità … ed eccolo ancora una volta catturare subito i suoi lettori ricreando abilmente situazioni che portano alla luce gli infiniti ed eterni risvolti umani dei suoi personaggi e delle sue figure femminili, gli angoli oscuri dell’animo umano ed il gioco del Fato.
Intrigante, spietato ed affascinante come sempre! come intrigante ed affascinante è la lettura dei raccontini che volano via in un attimo, piccoli bozzetti che se sviluppati sarebbero potuti divenire splendidi romanzi. Come le altre volte la scrittura è quella di Simenon: asciutta, fluida e veloce senza alcuna pretesa letteraria, e, a maggior ragione, con un taglio molto giornalistico pur restando magistrale nel disegnare atmosfere dolceamare di un mondo ormai scomparso di cui solo lui sa renderci, con due tratti, tutta l’essenza.
data di pubblicazione:05/05/2021
da Antonio Jacolina | Mag 3, 2021
Torna in libreria in una nuova edizione riproposta, questa volta, da E/O, il breve racconto di Mathias Enard che era già stato pubblicato nel 2013 per i tipi Rizzoli. Avevamo avuto l’opportunità di leggerlo in francese già nel 2010 quando era appena uscito ed aveva vinto il Premio Goncourt dei Liceali. L’autore in questi 10 anni si è affermato poi come uno dei più significativi scrittori francesi ed ha vinto il massimo premio letterario: il prestigioso Goncourt nel 2015 con La Bussola.
Già il titolo del racconto è magnifico di per se stesso! Un titolo poetico che è come un’invocazione, una richiesta di poter ascoltare una bella storia affascinante che unisca mito e realtà e che finisca col trascendere fra il vero, il verosimile e l’auspicabile e che faccia sognare fra finzione e ricostruzione storica. Questo breve ma intenso romanzo è proprio il racconto del possibile incontro di Michelangelo, Uomo del Rinascimento ed Artista con la magia e la bellezza ambigua del mondo orientale. Enard si impadronisce infatti con talento di alcune settimane della vita del Buonarroti dimenticate dalla Storia, e … sulla base di un dettaglio, inventa una storia affascinante.
13 Maggio 1506, Michelangelo sbarca a Costantinopoli conquistata dai Turchi poco più di cinquanta anni prima, nel 1453. Nonostante il divieto di Papa Giulio II, ha lasciato di nascosto Roma perché irritato per il mancato riconoscimento dei giusti compensi per le sue prestazioni artistiche. E’ passato per Firenze, e … lì ha accettato l’invito del Gran Sultano di recarsi a progettare un ponte sul Corno D’Oro, progetto su cui aveva già lavorato Leonardo da Vinci ma che era stato giudicato inidoneo dal Sultano stesso. Costantinopoli, pur in mano Turca, è tornata ad essere una delle più grandi città dell’epoca. Ancora fortemente impregnata di cultura greca e latina ha un aspetto cosmopolita a cavallo fra Occidente ed Oriente, fra mondi, culture e religioni diverse ed è luogo di grandi commerci e ricchezze. Una città sensuale e carnale le cui atmosfere l’autore rende a meraviglia così come ci disegna anche un ritratto toccante dell’artista in preda dei suoi dubbi, delle sue curiosità e della sua passione creativa. Un uomo quello disegnato da Enard che, al di là delle sue ambizioni artistiche, si lascia incantare e turbare dal fascino ambiguo della città di cui scopre monumenti e taverne, inebriandosi di bellezza, di versi e di danze sensuali. Costantinopoli vibra e respira come viva sotto la penna dello scrittore, un mondo spaesante ma pieno di poesia e profumato di mille sentori di voluttuosità esotica e di scoperta dell’altro da sé. L’autore porta così i lettori in un racconto sempre più affascinante come fascinante poteva ancora essere ed apparire Costantinopoli agli occhi di un occidentale. Michelangelo si perderà ammaliato piano, piano in questa città. Una storia di desideri, di dubbi e di tormenti alla ricerca dell’estasi creativa, dell’amore e del bello.
Una scrittura piacevole e fluida quella di Enard, precisa e ricca di immagini. Un racconto cesellato come un pezzo di oreficeria, a tratti cupo ed a tratti luminoso, impregnato di mistero. Un testo breve ma dalla forza poetica incredibile, ove le parole, al di là di alcuni eccessivi simbolismi, trovano sempre il loro giusto posto per dare musicalità a tutto il racconto. Un piccolo libricino piacevole a leggersi che lascia il lettore in un’atmosfera indefinita ed ovattata, con un leggero senso di incompiutezza perché avremmo voluto tutti restare in queste atmosfere ancora un po’ più a lungo.
data di pubblicazione:03/05/2021
da Antonio Jacolina | Mag 3, 2021
Due donne mature, Nina (Barbara Sukowa) e Madeleine (Martine Chevallier) hanno nascosto a tutti il profondo, delicato e vivo amore che le lega da anni e vivono felicemente la loro storia in due appartamenti contigui sullo stesso pianerottolo. Agli occhi di tutti, compresi i figli adulti di Madeleine, sono solo due amiche, vicine di casa. Un drammatico imprevisto sconvolge però gli equilibri ed i non detti….
La bellezza ed il senso stesso dei Festival e di eventi come la Festa del Cinema di Roma, sono talora le occasioni per gli appassionati del Buon Cinema di scoprire dei piccoli gioielli. Esce finalmente, nelle poche sale che hanno riaperto, quella che era stata una felice scoperta nel 2019 e che finora non aveva avuto occasioni di programmazione (la dice lunga sulla nostra distribuzione!!).
Una scoperta resa ancor più bella perché imprevista in quanto si tratta di un’opera prima di un giovane regista. Il gioiellino è Deux ed il regista è Filippo Meneghetti, italiano di nascita ma che vive e lavora in Francia ove, finora, si era distinto solo come autore di cortometraggi. La Francia, giustamente, lo ha già prescelto per concorrere come “miglior film straniero” agli Oscar del prossimo anno. Ne ha tutti i titoli, anche se ovviamente è troppo presto per far previsioni.
Deux è il debutto di Meneghetti come regista e come cosceneggiatore. E che debutto! Un nome il suo da tenere ben in evidenza per il futuro, perché il suo piccolo film è bello, delicato, ottimamente sceneggiato, finemente interpretato ed abilmente diretto mostrando stile, talento ed eleganza.
Al cuore dell’opera è l’Amore e l’Universalità del sentimento, la sua forza, il desiderio, la tenerezza che tutto superano e tutto travolgono. Che poi la storia si centri sulla relazione fra due donne nulla cambia ai valori espressivi, anzi la rende solo più innovativa, viva, tenera ed originale.
L’abilità dell’autore è proprio nel saper accompagnare lo spettatore lungo la vicenda senza mai scadere nel facile bozzettismo, nei clichè o nel patetismo. Il dramma poteva scivolare nel melodramma, invece il Meneghetti sa mantenere ben saldo il film nella realtà facendoci vivere tutta una gamma di emozioni e sentimenti reali: ora divertente, ora bello, ora malinconico, ora dolce-amaro, ma mai triste o disperato, senza alcuna scena superflua, aiutato in questo da una sceneggiatura essenziale ed intelligente, con un ritmo narrativo teso e vivace ottimamente costruito. Coadiuvano il regista un cast di attori perfetti nei secondi ruoli e poi, soprattutto e sopra tutti, ci sono loro, le due ottime protagoniste, una più brava ed intensa dell’altra. Il film, in effetti, è tutto loro dalle prime inquadrature fino alla dolce, poetica e tenera scena finale. Superbe e penetranti entrambe nel gioco recitativo fatto di soli sguardi ed emozioni e sentimenti legati tutti al filo di un amore e di un dolore tanto pudichi quanto commoventi per la loro ammirevole forza.
Siamo lontani dal pur garbato americano Carol (2015), ed anni luce dal francese Vita di Adele (2013) o da un racconto sul perbenismo di facciata della “provincia profonda” francese con atmosfere alla Chabrol che l’ambientazione potrebbe richiamare. Siamo invece in un film in cui luoghi e circostanze sono solo lo spunto per un racconto d’amore dolce, senza età, poetico e tenero ma mai sdolcinato. Tutt’altro!
Andate a vederlo, Deux è una splendida storia d’amore tanto tenera e poetica quanto altresì complessa; proprio come tenera , complessa e misteriosa è la Vita e con lei anche l’Amore. Sempre! Un piccolo bel film senza pretese che catturerà tutti gli spettatori sensibili. Ad averne di piccoli film così!
data di pubblicazione:03/05/2021
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da Antonio Jacolina | Apr 26, 2021
Anno di crisi del Cinema e delle sale cinematografiche 2020/21! Anno di mestizia e di illusioni! …
Quella che sembrava dover essere solo la consacrazione ufficiale dello strapotere produttivo/realizzativo e distributivo di Netflix negli anni della Pandemia con la più che attesa vittoria del “suo” pluricandidato Mank (ben 10 nomination, in buona parte meritate perché resta comunque un bel film), è risultata invece … una “prevista sorpresa” a conferma che il Cinema è ancora vivo e che Hollywood e gli Oscar sono sempre imprevedibilmente prevedibili e che gli “americani” ragionano sempre in modo diverso da noi “europei” (il che non vuol assolutamente dire che poi ragionino sempre male!). La “prevista sorpresa” è proprio la più scontata possibile buona alternativa …
Vince infatti gli Oscar per il Miglior Film, la Migliore Regia e la Migliore Attrice Protagonista proprio il film che aveva già vinto a Venezia, a Toronto ed era già stato premiato con i Golden Globes! Parliamo ovviamente di Nomadland di Chloé Zhao con Frances McDormand.
Un film da vedere assolutamente in sala e sul grande schermo, un film che, quasi sulle orme di Furore di Steinbeckiana e Fordiana memoria, ripropone, ovviamente con tempi, ritmi, modi, panorami e segni diversi, il tema molto americano delle migrazioni interne lungo le strade dell’America Profonda di un variegato e non sempre dolente popolo di bisognosi alla ricerca di occasioni di lavoro. Bisognosi ma pur sempre gelosi della propria libertà! Uno dei miti fondanti degli Stati Uniti e del suo Cinema. Un film voluto, amato e magnificamente interpretato dalla bravissima (chi può più provare a negarlo?) Frances McDormand che ha così fatto tris dopo i riconoscimenti per Fargo e per Tre manifesti a Ebbing, Missouri raggiungendo nell’Empireo delle tre volte premiate: Ingrid Bergman e Meryl Streep ed ha davanti a sé anche tutto il tempo per raggiungere Katharine Hepburn con le sue 4 statuette. Un film coinvolgente, lirico ed al contempo fortemente impegnato sul piano sociale, un film corale perché attorno e con la McDormand recitano e vivono i veri protagonisti di questa nuova “terra di nomadi”.
Altrettanto meritatissimo non poteva che essere l’Oscar per il Migliore Attore Protagonista andato ad Anthony Hopkins per The father, adattamento di una piéce teatrale già portata sullo schermo nel 2015 dal francese Philippe Le Guay in “Florida” con l’indimenticabile Jean Rochefort. Storia tenera e drammatica di un processo inarrestabile di demenza senile che di avvisaglia in avvisaglia incide sul rapporto fra un padre ed una figlia.
L’attesissimo Judas and the black Messiah che in anni di dominante politically correct e di attenzione alle minoranze sembrava essere predestinato a grandi trionfi, si è dovuto accontentare degli Oscar per il Migliore Attore Non Protagonista e per la Migliore Canzone. Grande delusione poi, ancora una volta, per le attese della pur brava e meritevole Glenn Close cui è stata preferita come Migliore Attrice Non Protagonista la coreana Yoon Yeo-jeong nel ruolo della nonna nel film Minari già apprezzato al Sundance Film Festival e dai Golden Globe. Per concludere con i “grandi premi”, l’Oscar per il Miglior Film Straniero è andato infine ad Another Round del danese Thomas Vintenberg .
L’Italia, il Cinema italiano, al di là delle tante chiacchiere e delle facili montature ed esaltazioni giornalistiche, non aveva candidature di rilievo o in aree significative, nulla vince nemmeno nelle due uniche piccole nomination marginali. Abbiamo forse bisogno di ulteriori conferme del processo di crescente marginalizzazione del nostro cinema? Abbiamo motivo di ripetere ed elencare ancora una volta le tante cause della nostra crisi? Direi proprio di no!
Dunque, Oscar insoliti e forse un po’ sottotono, ma sappiamo che buona parte dei film proposti hanno avuto scarsa circolazione fra il pubblico e poi … che i veri big non sono usciti affatto!!
data di pubblicazione:26/04/2021
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