da Antonio Jacolina | Giu 9, 2021
Noi che amiamo la lettura ed i libri, quante volte siamo entrati in libreria per comprare un certo libro e … siamo invece usciti “conquistati”, “comprati” da un altro libro che è riuscito a farsi notare, toccare, sfogliare, scegliere ed infine acquistare? Infinite volte! Ed ogni volta un piacere che molto spesso ci fa anche scoprire piccoli gioielli di cui non ci eravamo accorti.
E’ il caso di Amanti e Regine apparso per la prima volta nel 2005. Un saggio storiografico e biografico, interessante, brillante ed intrigante, mai pedante o didascalico, che, al contrario, diverte tenendo il lettore legato al racconto quasi fosse un romanzo, con cultura, brio, competenza, curiosità e dettagli piccanti che ci offrono un quadro prezioso delle corti dei Re di Francia dai primi decenni del XVI secolo alla fine del XVIII, unitamente alle vite, ai pensieri, alle passioni delle donne che li hanno amati affiancandoli o anche sostituendoli nell’esercizio del Potere.
La Craveri, studiosa e scrittrice affermata del mondo francese, ci offre una gradevole rilettura rapida della storia francese attraverso una serie di ritratti di donne accomunate tutte dal desiderio di arrivare al Potere (a quel Potere che spettava ai soli uomini) e … poi di mantenerlo, donne tutte fuori del comune e molto spesso avanti per l’epoca in cui vissero. Alcune hanno usato l’astuzia, altre la seduzione, altre l’intelligenza per riuscire a farsi spazio, tutte e senza remore alcuna hanno usato la loro bellezza per raggiungere il più alto livello. Siano esse state regine, reggenti, nobili, semplici borghesi favorite o amanti dei Re, tutte hanno segnato la Grande Storia ed anche la storia delle donne entrando nel Tempo e nell’Immaginario Collettivo (letterario e popolare) con le loro fortune e sfortune, virtù e pregi, vizi e difetti.
Scrive l’autrice: ”… in un’epoca in cui non era prevista per la donna altra identità all’infuori di quella di figlia, di moglie, di vedova, ci sono state delle donne che forti delle loro ambizioni sono riuscite a farsi valere approfittando delle circostanze loro favorevoli e delle debolezze maschili, e son state capaci di mantenere e difendere il ruolo acquisito …”. I loro nomi ci sono noti: Anna d’Austria, la Pompadour, Maria e Caterina de’ Medici, Diane de Poitiers, Maria Mancini, M.me du Barry, la Montespan ed infine Maria Antonietta.
Una galleria di ritratti, di destini spesso spettacolari, un excursus sul Potere fra intrighi, passioni e segreti che hanno fatto la Storia della Francia e dell’Europa fino alla Rivoluzione del 1789. Una brillante lezione di Storia attraverso la piccola storia e attraverso l’angolo di visuale delle donne che ci permette di meglio conoscere, capire o anche soltanto riscoprire fatti e retroscena storici.
La Craveri oltre che ben preparata e documentata ha anche il dono di saper scrivere bene ed in modo semplice, accattivante e divertente ed il suo è quindi un libro veramente piacevole a leggersi, non solo per gli appassionati di Storia ma anche per tutti coloro che non hanno bene a mente quei fatti e quei periodi e che potranno solo divertirsi a leggere il libro semplicemente come un romanzo appassionante che ci parla di storia e delle tante storie di donne che han fatto la Storia.
data di pubblicazione:09/06/2021
da Antonio Jacolina | Mag 25, 2021
Come il fratello Isaac Bashevis Singer vincitore del Nobel per la Letteratura nel 1978, anche Israel Joshua Singer è stato un grande scrittore, peccato che sia morto nel 1944 un anno dopo la pubblicazione del suo libro ed a soli 51 anni! Anche lui è stato prima giornalista e poi romanziere ed anche lui ha scritto prevalentemente in yiddish storie e vicende ispirate alla vita degli ebrei originari dell’Europa dell’Est. Ogni fratello ha saputo rendere magistralmente, a modo proprio, la personalissima testimonianza letteraria delle esperienze antiche e profonde che si portavano dentro i propri animi; per Isac Bashevis l’opportunità è stata La Famiglia Moskat ed il mondo ebraico-polacco, per Israel Joshua c’è stata invece La Famiglia Karnowsky.
Un grande affresco familiare di rara finezza e profondità, ricco e coinvolgente che si legge velocemente e con piacere grazie ad un sottile velo di distacco ironico e ad una scrittura fluida, bella e semplice, a tratti asciutta e severa, che rende sempre viva e vivida la storia narrata. Un romanzo corale che segue il destino di 3 generazioni di una stessa famiglia ebrea dalla metà dell’800 al 1940. Dalla Polonia fino agli ambienti ebraici berlinesi perfettamente assimilati nella cultura tedesca, fino poi alla fuga negli Stati Uniti al sorgere delle prime discriminazioni e persecuzioni razziali con l’affermarsi del nazismo dopo il 1933, per finire con il difficile reinserimento a New York.
Un romanzo corposo e robusto, realista e profondamente umano, una saga che va ben al di là di una mera narrazione letteraria per divenire, in effetti, una documentazione autentica di una società e di una umanità composita osservata, con sguardo imperturbabile da Singer, con le sue luci e le sue ombre, con dei personaggi realmente autentici visti nei loro pregi e nei loro difetti. Il tutto inserito in un contesto che lo scrittore rende in modo così vivo e vivace che sembra spesso di poter udire i rumori e le voci di quelle vie e di quelle piazze. Un racconto in cui si intrecciano abilmente la vita quotidiana della Famiglia Karnowsky e … la Storia. Ancora una volta, in modo mirabile, la piccola storia familiare si incrocia con la Grande Storia. Uomini e donne dalla complessa personalità, credenti e non, famiglie miste, commercianti, medici, intellettuali, idealisti e pragmatici … tutto ciò che caratterizza una collettività variegata per origini e credo religiosi in un contesto dietro al quale, in filigrana, con tocchi brevi ed incisivi, appaiono la Germania Guglielmina, la Berlino ricca e borghese, la prima Guerra Mondiale, la Repubblica di Weimar, la crisi economica, l’iperinflazione, le avanguardie culturali e la marea montante del nazionalsocialismo. Un piccolo mondo in un grande mondo ove si cerca di “…essere ebrei in casa e tedeschi in città …” in un percorso di assimilazione culturale tentando di confondersi nella massa e di riuscire, nel contempo, a salvare le proprie tradizioni ed identità.
Lo scrittore osserva gli eventi storici sempre solo attraverso gli occhi e le emozioni dei protagonisti. Ciò che conta non sono infatti gli avvenimenti in sé e per sé, ma, piuttosto, il modo con cui essi vengono vissuti, il che li rende poi ancor più reali agli occhi del lettore stesso.
Sotto l’apparente dolcezza e piacevolezza della sua scrittura chiara e precisa e del suo distacco ironico ed emotivo che accentua ancor più la gradevolezza del racconto, in realtà I. J. Singer intendeva regalarci, e in effetti ci regala, una testimonianza umana e letteraria di eccezionale intensità sul complesso destino del suo popolo, in un momento in cui ancora nulla si poteva conoscere dei terribili drammi portati dalla Guerra e dalla follia nazista.
data di pubblicazione:25/05/2021
da Antonio Jacolina | Mag 16, 2021
Anna (Amy Adams) è una psicologa che soffre di agorafobia e vive separata dal marito e dalla figlia a causa delle sue nevrosi. Reclusa di fatto nel suo vasto appartamento a New York, guarda annoiata dalla finestra i suoi vicini ed assiste ad un omicidio. Difficile sapere se ciò che ha visto sia realtà o sia piuttosto il frutto delle sue paranoie, agevolate anche dal suo eccessivo amore per il vino! …
Dopo varie vicissitudini realizzative/produttive e difficoltà legate non solo alla pandemia ma anche alle reazioni delle prime “proiezioni test”, La donna alla finestra un film con un cast a 5 stelle lungamente atteso dagli appassionati del genere thriller non uscirà in sala ma ha trovato ospitalità alla fine solo su Netflix. Valeva la pena di tanta attesa? Catastrofe o sorpresa?
Il libro da cui la pellicola è tratta faceva apertamente riferimento per situazioni ed atmosfere al capolavoro di Hitchcock: La finestra sul cortile. Joe Wright, più che apprezzato regista britannico (L’ora più buia 2017) si allinea quindi, fin da subito, in tutto e per tutto, allo stile ed ai ritmi hitchcockiani, anzi, ancor più, arricchisce le situazioni con un’infinità di dettagli, citazioni e rimandi cinefili di film noir degli anni ’40 per accrescere le sensazioni ansiogene e di oppressione. Così facendo il regista centra l’occhio dello spettatore sulla sua eroina e lo porta a vedere con gli occhi di lei e quindi a credere, dubitare ed entrare in tensione con lei e come lei. Un montaggio dinamico e serratissimo che impegna molto l’attenzione, un gioco di colori e di effetti sonori rendono ed accentuano poi, di volta in volta, le atmosfere di malessere, di angoscia, di incertezza che incombono nell’ambiente chiuso dell’appartamento. Ne emerge il ritratto di una donna costretta fra allucinazioni e realtà in un turbinio visuale a tratti anche delirante. Abile regia indubbiamente, ma soprattutto un’intensa interpretazione da parte di Amy Adams che conferma, una volta di più, tutta la sua bravura. Il film è tutto sulle sue spalle, anche se le danno una buona mano dei coprotagonisti di supporto del calibro di Gary Oldman e Julianne Moore.
Si potrebbe allora dire: buon regista, buona protagonista e buoni attori … ciò non di meno le traversie realizzatrici si sentono e si vedono tutte: poca logicità della storia, poca coerenza e continuo alto rischio di precipitare da un thriller classico ad un filmaccio ad effetti paranormali di serie B! La prima parte, il ritratto psicologico di una donna alla deriva sembra infatti reggere ed anche promettere bene, poi però la sovrabbondanza visiva diventa un mero estetismo, un esercizio di stile, un’effervescenza eccessiva che maschera in realtà una sceneggiatura con delle notevoli carenze ed un intrigo molto, molto flebile che talora sfiora quasi il banale se non addirittura il caricaturale. Peccato! Veramente peccato!
Ne risulta quindi un film che solleva parecchi dubbi, un film che ha parecchi difetti e che, al tempo stesso, è anche a tratti ammaliante come pure stancante. Un film cui non bastano una buona regia ed un’ottima interpretazione, perché privo di sincerità e schiacciato da una debolissima sceneggiatura. Un film sull’orlo di un pasticciaccio, che farà discutere e … si capisce bene allora perché non abbia avuto una distribuzione nelle sale e sui grandi schermi! Non valeva la pena di tanta attesa! Peccato!
data di pubblicazione:16/05/2021
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da Antonio Jacolina | Mag 16, 2021
Le 1000 realtà della Lettura!!… Può impegnare il pensiero e richiedere riflessione ma può semplicemente darci anche mera distrazione, svelandoci personaggi o storie, magari lontanissime dal nostro vivere eppure specchio di inquietudini o desideri che comunque ci appartengono. Ecco allora che girovagando per librerie può pure accadere di essere attratti da uno Stephen King! Un autore che è stato vittima della stessa “Sindrome” di Simenon: troppi libri pubblicati, troppi libri venduti, troppo successo, e … un’etichetta infamante incollata al suo nome! Se per Simenon era “poliziesco”, per King è “horror”!! Rifiutati dalla Critica Letteraria, entrambi hanno però proseguito nel loro cammino. La Storia ha già dato ragione a Simenon, vedremo se sarà lo stesso anche per King. Per giudicarlo occorre saper andare oltre le apparenze e considerare che è un autore che non si ferma solo all’horror di superficie, ma in realtà studia ed analizza, a modo suo, la Società, i comportamenti umani, le eterne paure, le follie unitamente alle inquietudini ed ai desideri repressi che tutto muovono e tutto condizionano.
22.11.63 ci offre proprio l’opportunità di scoprire un King molto lontano dai suoi racconti orrorifici che, lasciando in sordina i meccanismi della paura, si cimenta invece, con discreti risultati in un ampio ma fluido racconto in cui si alternano momenti di tensione narrativa e momenti di maggior respiro sempre governati in un giusto equilibrio. King affronta con successo la rischiosa sfida dei “viaggi nel Tempo”, una versione alternativa della Storia, mettendo credibilmente in scena un tranquillo professore di una cittadina del Maine del 2011 che, per casi fortuiti, grazie ad un “passaggio temporale” si ritrova nel 1958 e che si dà come missione salvare alcuni destini e … soprattutto salvare il Presidente Kennedy!! Siamo lontanissimi dall’ennesimo libro sull’uccisione di J.F.K. o da una delle tante inchieste sulla scomparsa del carismatico Presidente. La vicenda offre allo scrittore solo l’opportunità di spalancare le porte della sua fervida immaginazione per poter descrivere con forza e piacere l’America degli anni ’50 e ’60. L’originalità del libro è oltre che nella suspense legata all’obiettivo storico, proprio nel confronto/ricostruzione fra l’americano di oggi e gli americani della metà del ‘900. King, senza mai cadere nella “nostalgia del buon tempo antico”, sottolinea l’evoluzione dei costumi e della morale, il perbenismo e l’innocenza della gente comune di quei decenni. Si pone e pone al lettore la vera domanda “ma in fondo quella era poi vera innocenza??” per gli Americani come pure per noi Europei?? In realtà, al di là dei miti, era un’epoca tanto bella quanto pure brutta! Un romanzo interessante ed accattivante con sullo sfondo una possibile versione alternativa della Storia … “cosa sarebbe successo se Kennedy non fosse morto?” Meglio o peggio??
Lo scrittore sa andare molto al di là di un racconto a tesi predefinita e, trascendendo dai fatti storici reali o anche ipotizzati, costruisce con apprezzabile abilità un romanzo coinvolgente che riesce a mantenere la suspense fino all’ultimo. Certo, su ben 768 pagine ci sono indubbiamente delle lungaggini e non sempre mantiene la stessa intensità, ciò non di meno la scrittura e lo stile intervallato da accelerazioni folgoranti, riescono a catturare la fantasia e la curiosità del lettore e a regalargli una buona occasione di distrazione con anche qualche spunto di possibili riflessioni.
data di pubblicazione:16/05/2021
da Antonio Jacolina | Mag 14, 2021
Daniel (Gérard Meyland) esce di prigione dopo molti anni e ritorna nella sua Marsiglia, Sylvie (Ariane Ascaride) la sua ex moglie gli ha fatto sapere che sua figlia Matilde ha appena partorito la piccola Gloria. Il tempo è passato, ognuno si è ormai rifatta una propria vita barcamenandosi fra difficoltà, ambiguità ed equilibri precari. Daniel, spaesato, non avendo più una propria ragion d’essere e non avendo più nulla da perdere, cercherà di aiutare a modo suo….
Colpa o merito della Pandemia? Esce ora sugli schermi un film presentato e visto a Venezia 2019 ove l’Ascaride è stata premiata con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile. (Quanto sembrano lontani i tempi in cui si proiettavano in sala film come: Ad Astra, Joker, Storia di un matrimonio, L’ufficiale e la spia … ed oggi ci si è invece ridotti a far festa per un più che senile Woody Allen o per un quasi normale film coreano …).
Va detto subito, questo 21° film del regista e sceneggiatore francese, autore del recente e molto apprezzato La casa sul mare (2017), è un film amaro, cupo e melanconico, privo di quel filo di humour e di quei tratti di poesia che avevano accompagnato tutti i precedenti lavori del cineasta.
Guédiguian è un autore notoriamente arrabbiato ed impegnato, l’equivalente francese del britannico Ken Loach. Non è un caso che come Loach nel quasi contemporaneo Sorry we miss you, entrambi i registi emettano la stessa disperata diagnosi sullo stato del Mondo. La vittoria dell’ultraliberismo alla Uber e la sconfitta dei lavoratori, la perdita della solidarietà di classe, il vacillare anche dell’ultimo rifugio: la famiglia. I due film si assomigliano tantissimo, ma Guédiguian con uno stile diverso dal collega inglese preferisce centrarsi sui sentimenti, sul dramma e sulla constatazione/denuncia dei mutamenti della realtà marsigliese e … della Società tutta. Un quadro nerissimo, equilibri ambigui e precari, il mondo è veramente cambiato in peggio! Ovunque prevale il neoliberismo, l’interesse ed il fascino del denaro. Amara constatazione, davanti alla “Società dell’apparire”, quella che è costretto a fare un regista impegnato socialmente e politicamente, dopo anni di militanza, testimonianza e lotta. Per il regista la società e la famiglia nelle sue varie componenti, soprattutto i giovani, per poter sopravvivere, sono ormai sempre più privi di valori morali e sempre più attratti dai soli valori materiali. La frattura sociale è irreversibile!
Un film duro, realista, una denuncia a tratti disperata ove solo le vecchie generazioni provano a fare quel che sanno fare o che possono.
Però, come Woody Allen, come Ken Loach, anche Guédiguian invecchia ed ha perso lo smalto, la zampata graffiante, l’ironia ed il lampo geniale e creativo, perché il film, al di là delle atmosfere, pur assistito dal solito gruppo di buoni e fedelissimi attori, tutti generosi e precisi nei loro ruoli, risulta come privo di vitalità, prevedibile, discontinuo e con tratti eccessivamente melodrammatici.
Un risultato inferiore alle aspettative ed uno sguardo molto, molto triste sulla “gloria del mondo”.
data di pubblicazione: 14/05/2021
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