da Antonio Jacolina | Ott 17, 2021
Inghilterra 1924, Festa delle mamme, come da tradizione alcune famiglie aristocratiche si incontrano per un pic-nic, su tutti aleggia il dolore per la perdita dei figli nella recente Grande Guerra. La servitù ha un giorno di vacanza e la giovane domestica Jane (Odessa Young) poiché orfana ne approfitta per incontrarsi con il suo amante segreto Paul (Josh O’Connor). Sarà il loro ultimo incontro perché Paul è ormai prossimo a sposarsi per convenienza con un’aristocratica come lui che lo aspetta con i genitori al pic-nic. Un attimo di quiete sospesa della Vita per entrambi gli amanti prima che il dramma metta in moto eventi che cambieranno la vita di Jane …
La Husson, giovane e talentuosa attrice, sceneggiatrice e regista francese ha già presentato (con differenti apprezzamenti) il film a Cannes 2021 ed ora è qui, fuori concorso, alla 16ma Festa di Roma. Questo suo quarto lungometraggio è una produzione britannica che è tratta dall’omonimo romanzo di Graham Swift al cui adattamento cinematografico ha collaborato la stessa Husson.
Avrebbe potuto essere l’ennesimo classico film inglese inizi ‘900, stile “Dowton Abbey” tutto centrato sulle diverse classi sociali, le convenzioni aristocratiche, mondanità, falsi pudori e matrimoni contrastati, ma il lavoro della sceneggiatura porta invece sensualità e vitalità al contesto, togliendo polvere e ragnatele al genere, dandogli un tocco più moderno sia scomponendo e ricomponendo la storia e le varie sottostorie, sia decidendo di giocare più sulle possibili risonanze emozionali degli spettatori piuttosto che sull’ambientazione o sull’intrigo delle vicende.
Sia ben chiaro, l’universo cinematografico della “Vecchia Inghilterra” fatto di magioni di campagna, di nobili famiglie, di prati ed angoli idilliaci c’è sempre, anzi, all’inizio le riprese dei campi, dei raggi di sole fra il fogliame degli alberi, l’erba bagnata, i fiumi e la voce narrante che sussurra fanno addirittura pensare a Malick. La regista però non pensa affatto alla bellezza dell’Inghilterra o del mondo e, con un taglio non convenzionale gioca con classe e coraggio sugli stilemi, sulla storia, sul montaggio, sul ritmo e la fotografia. Il racconto viene infatti frammentato con risultati forti ed efficaci grazie ad un montaggio alternato che diviene così elemento significativo della narrazione filmica stessa, intercalando immagini e scene appartenenti ad altri momenti della vita di Jane. La regista si avvale di un ritmo ora vertiginoso nei grandi momenti della vita della protagonista, ora rallentato quasi a sottolineare invece i momenti di pace sospesi nel tempo. La fotografia poi è veramente splendida e contribuisce a dar forza ed a sottolineare, con il variare dei toni e dei colori, le diverse situazioni emozionali e l’intensità drammatica delle scene.
Il film è un viaggio elegante e brioso nel tempo e nella vita di Jane sotto le vesti di una storia d’Amore/Amori, con un velo di mistero. Un mosaico di frammenti di vita e di film con il mistero che si svela solo nel finale. Un racconto ben scritto e ben diretto, impreziosito da prove attoriali perfette: nei ruoli di supporto ci sono attori del calibro di Colin Firth ed Olivia Colman, un cameo finale della grande Glenda Jackson ed ovviamente i due giovani protagonisti.
A voler trovare dei difetti andrebbero rilevate alcune incongruenze nel casting nei secondi ruoli ed alcuni temi o personaggi avrebbero meritato un maggiore approfondimento, ma, nel complesso si tratta di un film dalla forte singolarità. Un film che non si piange addosso, tutt’altro, perché sono le donne a sopravvivere e sono loro che scrivono le loro Storie e la regista si conferma indubbiamente come un’autrice da seguire con attenzione nei prossimi anni.
data di pubblicazione:17/10/2021
da Antonio Jacolina | Ott 16, 2021
Shauna (Fanny Ardant) ancora splendida 70nne, vive la sua vita senza più porsi problemi sentimentali, ma inaspettati l’Amore e la Passione sono in agguato, incontra infatti un uomo di 45 anni, Pierre(Melvil Poupaud) affermato oncologo che aveva brevemente incrociato 15 anni prima che la desidera e l’ama con passione … La vita non smette mai di farci sorprese, e, per ogni bella sorpresa c’è però spesso un prezzo da pagare!…
Perché andare a vedere questo film si domanderà giustamente qualche spettatore che preferisce il mero “disimpegno”? Perché condividere le emozioni della vicenda narrata?
Superato l’immediato turbamento emotivo che la visione del film può generare, decantate le reazioni emotive “di pancia”, abbiamo più risposte razionali alla domanda iniziale … Perché, innanzitutto, non avremmo fatto una piega se la stessa storia avesse riguardato una bella e giovane donna 45nne che desidera ed ama un uomo 70nne con tutti gli aspetti fisici connessi con la sua età. Perché ogni tanto, si possono vedere anche film che rappresentano la Vita, e, nella Vita c’è l’Amore inaspettato a qualsiasi età, come c’è l’invecchiamento e … c’è anche la Malattia. Perché si tratta di un film che può sì molto commuovere e molto coinvolgere ma è ben diretto e magnificamente interpretato e perché infine ci tratteggia, al femminile, con delicatezza e con uno sguardo tenero e pudico, una bella figura di donna ricca di personalità e di sentimenti e molto autentica.
In questo suo 5° lungometraggio la quasi cinquantenne regista e sceneggiatrice francese ci racconta per l’appunto la storia di un colpo di fulmine reciproco, che tutto e tutti travolge, fra una donna di 70 anni, raffinata, libera, indipendente ed ancora bella ed un uomo di 45 anni felicemente sposato, padre di famiglia ed impegnato nella sua professione. La passione e la tenerezza esplodono quando e là dove nessuno se lo aspetta. L’autrice con la collaborazione di una splendida, brava ed intensa Fanny Ardant disegna sensibilmente la figura di una donna che fatica a credere e ad accettare, lei per prima, di poter vivere un Amore tanto bello e vero quanto quelli dei suoi primi batticuori ma con in più la consapevolezza del Tempo che fugge, l’esperienza, la sensibilità degli anni già vissuti che, se hanno molto segnato il fisico, hanno però di contro, molto arricchito l’anima. Lo sguardo della regista è tenero, imbarazzato e complice ed evita, al di là degli sviluppi della vicenda, tutti i possibili prevedibili clichè, per concentrarsi con delicatezza nel racconto di una passione senza tempo ed età, capace di superare tutte le resistenze, quelle della stessa protagonista per prima. La sceneggiatura equilibrata, unitamente ad un montaggio sapiente, dà al film un ritmo rapido e la regista dirige con mano attenta e non convenzionale governando il susseguirsi di situazioni senza mai soffermarcisi un secondo più del dovuto evitando intelligentemente di cadere nel banale melò. I dialoghi sono poi cesellati nella realtà. Un film d’autore supportato da un’ottima interpretazione. La Ardant recita con sensibilità e charme e con la sua bellezza ancora seducente di donna matura, confermando con la sua passione interpretativa tutto il suo talento. Accanto a lei Popaud regge il confronto ed è altrettanto bravo ed intenso quanto tormentato e credibile.
Un film francese che esplora i sentimenti e l’intimità come solo i francesi sanno fare. Una storia molto francese per eleganza, ma universale al tempo stesso, come universale è l’Amore a tutte le età.
Va anche detto però, ad essere onestamente un po’ maliziosi ed ipercritici … che, per quanto sia stata abilmente resa e costruita la “sospensione dell’incredulità”, si potrebbe anche legittimamente ravvisare nel tutto una bella strizzatina d’occhio ad un certo pubblico femminile agée e che si sia scientemente calcata un po’ la mano con gli eventi negativi che mettono alla prova un Amore già di per sé di certo non facile.
data di pubblicazione:16/10/2021
da Antonio Jacolina | Ott 16, 2021
New York anni’20 del 1900, essere neri non era certo affatto facile. Irene(Tesse Thompson)una donna nera benestante vedrà il suo mondo, i suoi equilibri e la sua famiglia sconvolti a seguito dell’incontro con una sua vecchia ed esuberante amica: Claire (Ruth Negga). Entrambe hanno sangue misto ed il colore della loro pelle è abbastanza chiaro, Claire ha lasciato Harlem da anni”passandosi” per bianca fino a sposarsi con un bianco del tutto ignaro delle sue vere origini.
L’inglese Rebecca Hall, figlia d’arte, quasi quarantenne ma già talentuosa ed affermata attrice prediletta da registi di fama, sceneggiatrice e scrittrice di successo, ha deciso di esordire nella regia con Passing riadattandone personalmente anche il soggetto dalla novella di Nella Larsen. “Passing” è un’espressione gergale americana che si riferisce a quegli afroamericani che “pretendono/provano a passare in tutto e per tutto per bianchi”.
Il film è in formato 4:3 come i vecchi film Hollywoodiani degli anni’40 e ’50 ed è in bianco e nero. Un bianco e nero splendido, e … non è un caso, è piuttosto una scelta narrativa esplicita perché proprio di “essere bianchi o di essere neri”, di quale identità razziale sentirsi parte è tutta l’essenza stessa del film. Irene e Claire vivono due realtà diverse, entrambe paiono benestanti, realizzate nelle loro famiglie, nei loro mondi e contesti, ma è solo una fragile apparenza. Tornando a frequentarsi le due donne, riparte fra loro un’attrazione fatta anche di silenziosa competizione, Irene invidia l’apparente felicità di Claire, e Claire a sua volta lo status ed i saldi principi di Irene arrivando quasi ad insidiarne il marito con la sua carica vitale. Le performances delle due protagoniste sono di alta qualità e recitano con charme ed eleganza, brillanti ed intense nei rispettivi ruoli, circondate a loro volta da uno stuolo di ottimi secondi ruoli.
Ciò non di meno qualcosa non va, il film pur se da un punto di vista estetico è indubbiamente elegante e raffinato appare però narrativamente squilibrato e fin da subito perde la fluidità necessaria per mantenere ciò che sembrava promettere all’inizio. Difatti i vari spunti di tensione, gli aspetti sociali, l’identità e l’appartenenza razziale, l’attrazione fra le due donne non evolvono ed in breve addirittura evaporano nel vuoto estetico senza mai essere veramente affrontati. Il ritmo narrativo poi, volutamente lento all’inizio per dar modo ai personaggi di svilupparsi, non si modifica affatto nel prosieguo ed i tempi diventano eccessivi, monotoni e ridondanti. La ricerca dell’intimismo psicologico implode di fatto in un eccesso di estetismi e simboli.
Peccato! Un peccato però perdonabile perché è indubbio comunque il talento dell’attrice dietro la cinepresa. Pur promettendo bene è però ancora imperfetta e dovrà, nel futuro, lavorare più sulla sostanza che sull’eleganza formale e molto più ancora sulla sintesi ed imparare a non perdersi in molteplici rivoli narrativi.
data di pubblicazione:16/10/2021
da Antonio Jacolina | Ott 15, 2021
Oro Bretone è l’ultimo dei tre libri di J. L. Bannalec finora tradotti in italiano e recentemente “rilanciati” per i tipi ISBN. In realtà, dal suo esordio nel 2012 ad oggi, l’autore ha pubblicato con successo crescente ben 9 romanzi con al centro le inchieste del suo Commissario Dupin. Non sappiamo quindi come siano nel frattempo evoluti il romanziere ed il suo personaggio, possiamo solo constatare per ora, sul filo di questi suoi primi tre racconti, che sia lo scrittore sia Dupin hanno indubbiamente e progressivamente assunto una loro ben definita personalità, le storie sono narrate con mano sempre più sicura e realistica, il ritmo e l’azione hanno una crescente dinamicità ed efficacia e … la Bretagna, pur restando il magico sfondo di tutte le indagini, è divenuta sempre meno banalmente cartolina illustrata e sempre più parte delle storie stesse.
In quest’ultima terza inchiesta Dupin si trova, suo malgrado, coinvolto in una sparatoria e poi costretto ad operare fuori dalla sua zona; a Guérande. La vicenda gira infatti attorno all’Oro Bianco delle sue saline naturali, celebri per il fleur de sel. Un caso dalle caratteristiche molto diverse e molto più dinamico e d’azione dei precedenti. Un’indagine in cui poi si inserisce autorevolmente (mettendo quasi in ombra lo stesso Dupin) un nuovo personaggio femminile dalla forte personalità, efficiente, dinamico, intelligente, sornione e determinato: la Commissaria Sylvaine Rose con cui “il nostro” deve fare squadra per poter risolvere le ricerche in corso.
Intelligentemente Bannalec evita la banalità di una relazione fra i due Commissari e privilegia invece il gioco degli opposti o delle somiglianze nella diversità, fra i due e fra i loro diversi ma pur sempre efficaci metodi di indagine. Dall’incontro le qualità di Dupin non si perdono affatto, anzi, al contrario, la sua figura ne guadagna in personalità, umanità e simpatia. Narrativamente la coppia funziona molto bene e se ne giovano sia il ritmo che diviene più serrato ed avvincente, sia la costruzione ed evoluzione della storia e le sue atmosfere.
In conclusione le inchieste del Commissario Dupin sono una piacevole scoperta/riscoperta, una gradevole lettura e dei buoni piccoli polizieschi. Le storie sono indipendenti l’una dall’altra ma, di sicuro, leggerle in sequenza le rende ancor più avvincenti. Dupin si conquisterà sicuramente anche in Italia il suo pubblico perché di libro in libro diviene più simpatico: un orso un po’ rude, burbero e poco comunicativo ma che è intuitivo, empatico, fascinoso senza saperlo e che sa anche apprezzare le cose belle della vita. E poi c’è la Bretagna … ricca di angoli meravigliosi, di ristorantini, bar sfiziosi, piccoli hotel … affascinante che viene voglia, potendo, di visitarla o di tornare a visitarla.
data di pubblicazione:15/10/2021
da Antonio Jacolina | Ott 14, 2021
Stati Uniti, anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, Tammy Faye (Jessica Chastain) ed il suo carismatico marito Jim Baker (Andrew Garfield) si fanno spazio nel mondo dei televangelisti affascinando l’America profonda e creando dal nulla un network televisivo che estende i suoi interessi in molteplici attività. Un busines che va ben al di là della diffusione delle parole di Fede. Chi manipola? Chi è manipolato?Tutto è ambiguo! Fino a quando …
Pandemia Anno Secondo! Ma, nonostante tutto, la Festa del Cinema di Roma torna per la 16ma volta consecutiva! Certo, a primo acchito, sembra essersi un po’ persa, complici i tanti vincoli imposti dal Covid e l’obbligo di prenotazione on line dei film con relativa assegnazione automatica dei posti, quella bella atmosfera da Kermesse e di Festa, di improvvisazione e di scelte istintuali tipiche di un Festival, di una Festa di popolo, quasi “de noantri” come era poi Roma. Ci si andava per vedere film ma anche per ammirare attori ed attrici e per farsi notare fra la folla. Oggi, almeno per ora, ci sono solo i film! E … non è affatto poco! pensando a quanto abbiamo temuto di perderlo!
Il film con cui si è aperta la nuova edizione, diciamolo subito, non resterà certo negli annali, ma potrà essere semmai ricordato essenzialmente per l’ottima interpretazione della Chastain in uno di quei ruoli “totali ed immersivi” che in America spesso portano dritti, dritti all’Oscar. La Critica autorevole dà infatti già per scontata, almeno una sua nomination per la sua intensa interpretazione.
La Chastain dà infatti vita e sostanza al percorso esistenziale ed alla personalità atipica, complessa, fragile e, nel contempo, determinata di Tammy Faye disegnando un ritratto eccezionale ed affascinante di una donna dal carattere dai tanti risvolti. La Chastain scompare letteralmente sotto il trucco e le protesi per riapparire come Tammy Faye a suo totale agio recitativo. E’ in scena costantemente e tutto il film poggia sulla sua magnifica interpretazione che, a tratti, sembra quasi intenzionalmente sfiorare la caricatura, riuscendo però a discostarsene con un solo sguardo intenso che riesce a far emergere tutta la fragilità ed i tormenti interiori che si nascondono nel fondo di un personaggio complesso le cui esperienze familiari e personali giovanili hanno influenzato le sue attese, la religiosità e la Fede. Una Fede che resta in sostanza, fortemente ingenua ed infantile condizionata da nodi irrisolti. Un essere umano che pur dietro un look ed atteggiamenti eccessivi e caricaturali, merita simpatia piuttosto che pietà e disprezzo, e … gli occhi della Chastain lavorano magistralmente per ricordarcelo! Una performance recitativa ed interpretativa veramente rimarchevole, tutta centrata sul contemperamento degli eccessi della personalità con l’interiorità.
Basato su un documentario di egual titolo il film è un classico dramma biografico sulla storia della coppia di telepredicatori, un ritratto forse troppo lusinghiero e compassionevole, un’ambiguità maggiore avrebbe infatti meglio rispecchiato la realtà, ma, soprattutto, avrebbe dato alla narrazione anche un tocco di complessità e realismo maggiore. La regia, supportata da una forte sceneggiatura, è sapiente ed equilibrata, evita di cadere nelle possibili sbavature od eccessi e dimostra una buona capacità di direzione artistica in un film centrato tutto sulle esuberanze recitative e sa ben evitare, pur rasentandolo, il kitsch.
Sullo sfondo, ma non marginale, la religione dei telepredicatori come business, il ruolo dei circoli religiosi, veri organismi corporativi che operano secondo le regole delle grandi imprese capitaliste. I conflitti di idee, di interessi, le relazioni politiche, il controllo delle masse, delle donazioni, dei voti e le collusioni con il Potere. Oltre ad Andrew Garfield il carismatico marito, ed allo stuolo di eccezionali secondi e terzi ruoli, va segnalata poi anche Cherry Jones (nei panni della mamma di Tammy) che con la sua capacità recitativa fa da contrappunto di concretezza nel delirio di illusioni.
data di pubblicazione:14/10/2021
Gli ultimi commenti…