da Antonio Jacolina | Mag 5, 2022
Si preannuncia una nuova serie di polizieschi ambientati in Francia a firma di Pierre Martin. Dietro questo nome che più “francese” non può essere, si cela in realtà ancora una volta, un autore tedesco che con questo pseudonimo ha già firmato dieci gialli di gran successo in Germania. Tutti ruotano attorno alla figura di Madame le Commissaire, il Commissario Isabelle Bonnet, alla Provenza, alla Costa Azzurra ed alle indagini. Il vero “giallo” sarebbe in realtà poter scoprire se questo nuovo “nom de plume” nasconda sempre lo stesso scrittore tedesco che firmandosi Jean Luc Bannalec ha già inanellato successi e successi con le inchieste del Commissario Dupin in terra di Bretagna e di cui abbiamo già recensiti i primi tre volumi. Le affinità narrative sono veramente tante ed è quindi facile pensare a lui come primo sospettato, potrebbe però anche essere sua moglie che sviluppa il coté femminile di una ricetta vincente. Oppure un’altra scrittrice che si è inserita nel ricco filone? Vedremo. Sia quel che sia, la ricetta “indagini poliziesche, contesti ed atmosfere incantevoli e poi cucina e colore locale”, vale a dire “mistero e turismo” funzionano ancora molto bene, soprattutto se lo sfondo è quello francese, la Provenza in particolare, se le trame sono poi anche costruite con garbo, intelligenza, vivacità ed ironia e se ancor più l’io narrante ed indagante è una donna.
Al centro di questo primo romanzo (dei due appena pubblicati in italiano) è, per l’appunto, Isabelle Bonnet ex capo della squadra antiterrorismo di Parigi che, costretta ad un periodo di riposo per ritemprarsi dopo le ferite riportate nello sventato attentato al Presidente Francese, torna in un delizioso paesino provenzale, nell’entroterra della Costa Azzurra. Invece che riposarsi, si trova, per ordini superiori, coinvolta nelle indagini su un delitto avvenuto proprio nella piccola cittadina. Abituata a ben altro, sembrerebbe una temporanea sinecura per un banale delitto di provincia. La realtà si scopre essere ben diversa e l’inchiesta si fa intrigata e coinvolgente.
Questo primo capitolo ci presenta una protagonista tanto insolita e riluttante quanto altresì interessante e ben caratterizzata nelle sue sfaccettature e psicologie. Un’ancor giovane donna “vissuta”, brillante, volitiva e disinibita. Il libro ha il leggero fascino del poliziesco classico basato sul ragionamento investigativo piuttosto che sull’azione o sull’intreccio. Quasi un’inchiesta vecchia maniera ove l’interesse è tutto sui fatti, sulle deduzioni, sulle indagini e sui luoghi … la Provenza.
Come dicevo il “rimando” ai libri di Bannalec ed al suo commissario Dupin sorge spontaneo, stesso stile da buon vecchio giallo, indagine e lento processo di disvelamento della realtà frutto di logica ed intuizione. Però tanto il commissario Dupin è “maigrettianamente” serio e rigido, tanto è invece dinamica, duttile, intuitiva ed ironica madame le commissaire Bonnet.
Dunque un gradevole poliziesco con personaggi tutti ben caratterizzati e reali nelle loro sfaccettature ed azioni, un buon intrigo ed un’ottima ambientazione. Un piccolo polar ben scritto, un romanzo di puro intrattenimento a tratti anche ironico e dal ritmo pacato che, senza pretese particolari, mantiene le sue promesse: agganciare il lettore fino al finale brillante e non scontato ed offrire qualche ora di svago. Sarà interessante vedere come evolverà Madame le Commissaire.
data di pubblicazione:05/05/2022
da Antonio Jacolina | Apr 26, 2022
James (Rupert Friend) politico in carriera, ministro ed amico, fin dai tempi di Oxford, del Primo Ministro Britannico e Sophie (Sienna Miller) sua devota moglie, conducono con i figli, una vita tranquilla e privilegiata. Tutto va però in pezzi quando la breve relazione del marito con la sua assistente viene a conoscenza della Stampa. Ancora peggio poi quando c’è anche una denuncia di stupro da parte della stessa ex amante. Scatta il processo in cui la rappresentante dell’accusa, l’inflessibile Kate (Michelle Dockery) farà di tutto per evidenziare la verità dei fatti …
David E. Kelley creatore di Serie di successo come Big Little Lies e The Undoing unitamente a Melissa J. Gibson (House of Cards) hanno apprezzabilmente adattato per la televisione il buon romanzo omonimo. Come nelle sue precedenti produzioni anche questa volta Kelley ripropone al centro della narrazione il mondo delle classi più abbienti, delle élites sociali e politiche, quel mondo di privilegiati disabituati a sentirsi dire di NO! I loro scheletri si celano nei loro ricchi armadi: bugie, omissioni e manipolazioni sottilmente violente delle Verità e delle altrui Volontà.
La Mini Serie si articola su sei episodi di ca. 40 minuti, tutti ben dosati e può essere quindi divorata quasi in un sol boccone. In un’epoca di Post Me Too il tema di fondo della Violenza e del Consenso trova un’eco particolare e si incentra sia sul punto di vista della moglie ignara e devota che prende progressivamente coscienza delle conseguenze dello scandalo sulla coppia, sia sul contemporaneo impegno della rappresentante dell’accusa di mettere in evidenza durante il dibattito processuale il tema dello stupro e quello delle tante possibili sfumature della Verità a seconda della diversa interpretazione di un SI’ o di un NO. Più il processo procederà più si svelerà l’intima natura del giovane politico e ciò che egli effettivamente è sotto la superficie accattivante del suo passato e delle sue relazioni: un uomo che sa, da sempre, manipolare senza scrupoli la realtà per i suoi fini.
Un Mini Serie di sicuro accattivante ma, che, sia ben chiaro, va letta e valutata non con parametri cinematografici ma piuttosto con la sola ottica delle produzioni televisive che si rivolgono per definizione ad un pubblico generalista, transgenerazionale e di gusti facili. Produzioni quindi che hanno una propria tipicità di narrazione, di ambientazione e di definizione dei ritmi e della messa in scena. Prodotti ove i caratteri seguono canoni convenzionali molto semplici ed in cui le sfumature ed i percorsi psicologici troppo sottili non sono affatto previsti.
Tutto ciò chiarito, si può osare dire che Anatomia di uno Scandalo è un buon mélange fra Thriller e Legal Drama, intimo ed accattivante che mantiene le sue promesse e che punta più che sulla suspense sulla finezza della sceneggiatura, sulla sobrietà dei colpi di scena, su una buona regia e su una realizzazione visiva ricca di virtuosità tecniche. Il ritmo è quello proprio delle Serie e quindi i tempi sono dilatati ma un buon montaggio riesce a mantenerlo pur sempre intrigante e coinvolgente. La trama poi è lineare e ben definita e assume un respiro più ampio quando si entra nell’aula del Tribunale in un balletto rituale di scontri verbali per definire la sottile linea di frontiera di quando scatta il dissenso. I dialoghi pur non proprio cesellati alla perfezione non sono però mai banali e sono ben resi dalla più che discreta qualità degli interpreti. Sienna Miller è sempre bella, impeccabile, intensa ed umana, Michelle Dockery (la Lady Mary di Downton Abbey) di contro si conferma attrice interessante.
In conclusione, pur con qualche difetto sulla definizione delle psicologie, con qualche difficoltà di riuscire a trasmettere le emozioni degli eventi narrati e pur con un uso eccessivo dei flashback, la Serie intrattiene con efficacia e spinge lo spettatore a cliccare su “episodio seguente”. L’orizzonte delle altre offerte pur numeroso è d’altra parte di così scarso appeal che la nostra Mini Serie non può non distinguersi.
data di pubblicazione:26/04/2022
da Antonio Jacolina | Apr 19, 2022
Vienna 2012, terroristi mediorientali dirottano un aereo e ne prendono in ostaggio tutti i passeggeri. La sezione della CIA operante presso l’Ambasciata Americana non riesce a gestire correttamente la vicenda e ad evitare la strage. La coppia di agenti americani Henry (Chris Pine) e Celia (Thandie Newton), pur amandosi, non riesce a reggere all’impatto del dramma e si lasciano. Celia scompare. Dieci anni dopo, nuove informazioni inducono a pensare che all’interno della stessa CIA a Vienna ci fosse una talpa. Lo stesso Henry è incaricato di indagare per scoprire chi era stato l’informatore …
Dimenticatevi i bei tempi di Ian Fleming o di John le Carré i cui libri allorchè portati sugli schermi, pur se se ne conosceva la trama, continuavano ad affascinare, coinvolgere ed intrigare gli spettatori grazie all’ottima resa cinematografica delle sceneggiature, alla qualità degli attori, ai ritmi, all’abilità dei montaggi e soprattutto delle regie!
La Cena delle Spie è un modesto adattamento cinematografico del romanzo omonimo ed è l’opera seconda del modesto regista danese di Borg/ McEnroe (2017). Lo stile, il tipo di riprese, la luce, le atmosfere iniziali sembrano voler preannunciare un thriller di spionaggio come quelli degli anni d’oro del Genere … ahinoi, in realtà nulla di più lontano! La messa in scena è molto convenzionale ma manca comunque qualcosa, quel qualcosa che riesce a coinvolgere veramente lo spettatore. Mancano totalmente la suspense, la tensione drammatica, la profondità e l’intensità dei fatti narrati, dell’intreccio e dei personaggi. Ogni sviluppo è prevedibile, il finale è scontato, opache e poco empatiche le interpretazioni.
Lo spunto letterario poteva pur essere buono e forse mani più salde e capaci avrebbero potuto sviluppare la storia e l’idea del senso di colpa con risultati migliori. La narrazione delude proprio da un punto di vista filmico, registico, narrativo e tecnico priva come è di ritmo, azione ed emozioni, poco sostenuta poi da una sceneggiatura dal giusto respiro cinematografico. La vicenda è appesantita da troppe deviazioni, troppi personaggi che hanno l’unico effetto di confondere lo spettatore e spezzare i tempi della narrazione. Ne risulta un film ove si mescolano stereotipi del genere spionistico con elementi melodrammatici, il tutto infarcito di flash back eccessivi, in una totale assenza, come dicevamo, di azione e tensione emotiva. Purtroppo un prodotto che appare artefatto, poco credibile, a tratti banale e troppo spesso scontato per chi apprezza il buon Cinema ed il Genere.
Chris Pine è bello e prova ad atteggiarsi come Pierce Brosnan, ma sia lui che la Newton privi di adeguata direzione e non sostenuti da uno script adeguato sono incerti, poco incisivi e poco credibili. Peccato poi veder coinvolto e sottoutilizzato un attore del calibro di Jonathan Pryce.
La Cena delle Spie è dunque, ahinoi, un prodotto con pochi pregi e molti difetti che come il junk food eviterei di assaggiare per doverlo poi gettar via nel cestino, un “video movie” usa e getta che nemmeno la necessaria pausa post prandiale dopo le abbondanti tavolate pasquali può giustificare!
data di pubblicazione:19/04/2022
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Apr 6, 2022
Ritornando a curiosare fra i libri di nicchia abbiamo trovato il bel libro di Pierre Assouline, giornalista, storiografo ed autore letterario molto noto oltr’Alpe e ben apprezzato anche in Italia.
Assouline con Hotel Lutetia uscito in Francia nel 2005 ed edito da noi solo nel 2017, mette in mostra tutto il suo talento narrativo di giornalista, biografo e storico. Difatti, con una notevole erudizione, frutto evidente di un profondo lavoro di ricostruzione d’archivio e di ricerche, senza mai scadere nel noioso o pedante, dimostra di saper ben miscelare ed amalgamare in modo fluido e gradevole la realtà storica con il piacere della fiction.
Ancora una volta la piccola storia incontra la Grande Storia grazie alla capacità dell’autore di creare con il suo stile letterario inconfondibile un microcosmo, un universo a sé: l’Hotel Lutetia, ove sfruttando tutte le possibili cifre della finzione il lettore è portato a fare un viaggio nel tempo ed in un luogo: in un periodo ricompreso fra il 1938 ed il 1945. Un’Epoca tra le più drammatiche nella storia dell’Umanità.
Le vicende vengono viste e vissute dietro le quinte del palcoscenico, vale a dire dietro le porte vetrate del Lutetia. L’unico Grand Hotel posto sulla rive gauche di Parigi. Fuori c’è l’Europa, la Francia, Parigi, l’Umanità. L’io narrante, il coprotagonista oltre all’Hotel stesso, è Edouard Kiefer, un uomo discreto, solitario e riservato. Di origini alsaziane ha fatto il poliziotto a Parigi ed ora è il responsabile della sicurezza del Lutetia (ove vive) e dei suoi clienti. Una persona attenta, abituata ad analizzare a fondo la realtà e le persone, che, dal suo “osservatorio” ci descrive con tono pacato una Società che va verso il dramma totale. Kiefer è uno di quegli eroi modesti e pudichi, è profondamente umano e non è né rassegnato né impegnato. Tramite i suoi occhi e le sue riflessioni, l’autore con mano salda e prosa asciutta ci fa rivivere le vicende di quegli anni. L’atmosfera ancora gioiosa e serena di prima della Guerra quando la clientela dell’Hotel è fatta di artisti, poeti, politici, nobili e ricchi habitué. Il periodo dell’umiliazione, del terrore e delle delazioni quando, sconfitta la Francia nel 1940, il Lutetia diverrà per 4 lunghi anni la sede dei Servizi Segreti della Wehrmacht, tutt’attorno spoliazioni, retate, arresti, torture, antisemitismo e collaborazionismo. Infine, liberata Parigi, quasi catarticamente nel 1945, l’albergo diviene centro di raccolta delle migliaia di prigionieri, di deportati e di sopravvissuti di ritorno dai campi di prigionia e di sterminio.
Alcuni momenti non vanno raccontati ma solo letti tanto sono toccanti. Testimonianza storica e racconto divengono tutt’uno!
Assouline sa dare vita ai suoi personaggi ed al mondo che li circonda sia nella parte romanzata che nella parte storiobiografica. Ha indubbiamente una bella penna, una scrittura raffinata ed elegante, sa ben cesellare le parole ed è un piacere leggerlo. Il suo stile è chiaro ed il tono è giustamente sobrio, il ritmo narrativo poi segue correttamente l’evolversi degli eventi storici. Hotel Lutetia è dunque un bel libro: una biografia/ un romanzo/ una ricerca storica molto interessante che si legge con passione e velocemente. Un libro che dalla hall di un Grand Hotel ci porta piano, piano, senza mai uscire fuori dalle sue porte, dritti, dritti nella Grande Storia.
data di pubblicazione:06/04/2022
da Antonio Jacolina | Mar 30, 2022
Per singolare coincidenza, quasi a volersi scusare con i cultori di Simenon della “colpa” di aver recentemente dato alle stampe una raccolta di raccontini: Il capanno di Flipke che più che appunti di un grande scrittore sono da considerarsi invece solo veri e propri Scarti d’Autore o Avanzi di Cassetto, la casa editrice Adelphi si riscatta pubblicando ora un bel libro del nostro scrittore belga. Un libro già apparso in Italia nel 1964 nella celebre collana della Medusa. Questa volta si tratta di un vero Roman Dur o Roman Roman come amava definirli l’Autore stesso. Un vero romanzo scritto nel 1939, appartenente quindi, per periodo ed ispirazione, proprio alla stagione più creativa dello scrittore, quella che ha dato i migliori frutti letterari Il periodo in cui Simenon definisce magistralmente, libro dopo libro, il suo universo. Un mondo in cui ogni lettore poteva e può ancora identificarsi in una galleria di personaggi autentici, senza tempo e quindi universali. Poco importa che siano francesi, cittadini, paesani o come questa volta, piccoli professionisti di provincia, su tutti grava, ieri come oggi, il Destino da cui non si può sfuggire!
Bergelon è un piccolo medico di quartiere in una cittadina di provincia. Coglie al volo l’allettante offerta di un suo collega più fortunato di intascare l’intero onorario previsto per la degenza del primo paziente che farà ricoverare nella clinica di lusso gestita dal collega e poi di dividersi metà e metà gli introiti dei successivi. Il mediocre Bergelon fa ricoverare una sua paziente prossima al parto. Purtroppo per colpa del collega che era ubriaco durante l’intervento, sia la puerpera che il neonato muoiono. Il giovane vedovo, venuto a conoscenza della realtà dei fatti, decide di vendicarsi su Bergelon per il cattivo consiglio. Il “dottorino” si sente responsabile e… fugge. Fugge senza una vera meta, fino ad Anversa… fugge dal rimorso della morte che ha causato… fugge dal marito assetato di vendetta… fugge soprattutto da una vita, la sua, segnata dalla mediocrità e dal fallimento professionale… fugge dalla sua famiglia… fugge per provare a cambiare vita, per sfuggire al Destino, o… almeno provarci! Ma … il “dottorino” apprenderà che nulla si può fare e che arriva sempre il momento in cui si devono pagare le proprie colpe! Apprenderà altresì che alcune punizioni sono ben peggiori della morte!!
Più che un noir Il Dottor Bergelon è un dramma psicologico, un racconto diretto ed oggettivo, scritto in modo magistrale con la solita bella prosa scorrevole, asciutta ed essenziale. Al centro di tutto è la provincia francese, eguale però a tutte le province quale che sia la loro latitudine o l’epoca. Un mondo fatto di aspirazioni frustrate e di mediocrità, un mondo sempre sospeso fra il sogno ed il bisogno di un cambiamento con le connesse illusioni e poi le amare rassegnazioni. Simenon ne riproduce i contesti esistenziali, le persone, i loro pensieri e le atmosfere con tocchi realistici e naturalistici. Da profondo conoscitore della natura umana, al di là dei fatti narrati, i suoi veri protagonisti sono gli animi e le coscienze dei vari personaggi. Coscienze che Simenon svela progressivamente con la sola forza della sua capacità analitica. Il romanzo delinea infatti una duplice analisi psicologica: da una parte quella di Bergelon sconvolto dalla presa d’atto della propria meschina esistenza e dello squallore di tutto il suo ambiente, dall’altra quella del giovane vedovo cui il dramma subìto innesca la constatazione del proprio fallimento esistenziale. Due crisi umane frutto della propria superficialità e fragile essenza.
Il Dottor Bergelon è un romanzo che risponde in pieno alla giusta fama che merita Simenon! Molto più di un giallo o di un noir! E’ una vera opera narrativa, un romanzo che si divora fino alla fine pur con una crescente sensazione di turbamento e di inquietudine, proprio come Simenon voleva che dovesse essere leggendo della Realtà.
data di pubblicazione:30/03/2022
Gli ultimi commenti…