da Antonio Jacolina | Nov 20, 2024
In un futuro distopico prossimo venturo dominato dall’Intelligenza Artificiale gli esseri umani devono alleggerirsi di tutti i condizionamenti legati alle emozioni, ai sentimenti e alla paura. Gabrielle (Léa Seydoux) si sottopone ad un trattamento che la porterà a rivivere una relazione complessa con Louis (George MacKay) un giovanotto da lei conosciuto in tre diverse reincarnazioni nel 1910, nel 2014 e nel 2044 …
Bonello molto apprezzato in Francia è un talentuoso regista che è espressione della cosiddetta cinematografia postmoderna. Il suo è un cinema spiazzante, cerebrale, attento all’eleganza formale ed alla perfezione delle immagini. Un cinema autoriale che i Cinefili duri e puri possono anche amare ma che il pubblico non francese non sempre riesce a gradire fino in fondo. Il minimo che si può subito dire di The Beast, suo undicesimo lungometraggio, presentato a Venezia 2023 è che il cineasta non si è di certo scelto un soggetto facile. Una vicenda articolata su tre piani temporali – passato, presente e futuro prossimo– fra loro estremamente intrecciati che rischia di porre in difficoltà lo spettatore medio ormai abituato a storie più lineari. Si tratta di un film distopico ed al tempo stesso di una favola romantica che attraversa il Tempo. Un’opera che seduce per la sua messa in scena precisa ed elegante e per l’audace fusione di più generi: thriller, film d’epoca, horror, science fiction e mélo. Un lavoro ricco di rimandi e citazioni da Resnais agli universi cinematografici di Lynch e Cronenberg. Il regista ci invita a riflettere su un tema attualissimo: l’amore ai tempi dell’Intelligenza Artificiale e su tutto ciò che ci rende ancora esseri umani: i turbamenti, i ricordi e la paura. La paura è infatti la Bestia che simbolicamente minaccia la nostra Società. Il timore di una catastrofe imminente che Bonello abilmente mantiene astratta ed incorporea. Chiave di volta del film oltre alla regia sono anche la buona sceneggiatura ed il montaggio. Apprezzabili i due protagonisti, in particolar modo la Seydoux che sostiene il film quasi da sola ed è brava nell’incarnare con sentimento tutta la difficoltà del vivere. Le fa da contrappunto il vibrante MacKay.
The Beast è senz’altro un lavoro ambizioso che non manca di una certa originalità. Eppure nonostante i vari pregi non mantiene le sue promesse e si perde lungo il cammino. Si frammenta, si squilibra, gira in tondo su se stesso, perde ritmo, diviene troppo complesso, sovraccarico di immagini ed eccessivamente lungo. Paradossalmente è un film che pone al suo centro il rifiuto inconscio di perdere le emozioni ma che, a sua volta, è tutto meno che emozionante e coinvolgente. Potrà di sicuro esercitare una certa fascinazione formale ma purtroppo resta troppo intellettuale, estetizzante e distaccato. Questa è tutta la grande qualità ma, al contempo, anche il principale limite di questo film molto particolare.
data di pubblicazione:20/11/2024
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da Antonio Jacolina | Nov 13, 2024
Justin (Nicholas Hoult) ha conosciuto e superato momenti difficili. Ama la moglie e presto sarà padre. Viene prescelto come giurato per un processo molto mediatizzato di violenza domestica con omicidio. Durante il dibattito scopre inaspettatamente che può essere implicato nella vicenda. Come far “fare giustizia” senza porre anche se stesso in pericolo? Tacere o liberare la propria coscienza? Quale sarà la cosa giusta?…
Clint è un grande narratore. Sa sicuramente come raccontare una storia complessa e renderla una “Buona Storia”. Questo giovane autore di appena 94 anni, uno degli ultimi Grandi Maestri del Cinema Americano ancora attivo, ci regala oggi il suo 41° lungometraggio. Non un capolavoro indimenticabile ma di sicuro un buon film di notevole vitalità ed intelligenza sulla Giustizia negli Stati Uniti e su un dramma morale individuale di eccezionale ambiguità. Eastwood dirige con il suo inconfondibile stile minimalista, con un approccio sobrio, scarno ma solido. Una messa in scena semplice, lineare, quasi classica. Perfetto il montaggio e il dosaggio dei tempi fra velocità, concisione e chiarezza. Osserva con acutezza i vizi e le virtù dell’America, cattura ogni attimo di tensione ed orienta le emozioni dello spettatore. Pur con modi ogni volta diversi, il regista prosegue con passione, lucidità e coerenza tematica il suo percorso sul concetto di individuo. L’uomo normale, il singolo posto di fronte a situazioni impreviste ed eccezionali. Una riflessione continua sulla vita e sulle scelte talora contraddittorie che ognuno può trovarsi a dover fare. Il dilemma morale di assumersi o meno la responsabilità delle proprie azioni.
Giurato numero 2 è un courtroom drama, un film di aula giudiziaria. Clint, sulla scia di capolavori del passato come La parola ai giurati (1957) e Anatomia di un omicidio (1959), rivisita e rinnova a modo suo il genere processuale. Dietro l’apparente classicismo c’è un approccio nuovo e un originale ribaltamento della suspense sull’esito del dramma di coscienza del nostro giurato e sul rapporto Verità e Giustizia. Il film impressiona per la sua efficacia, per il ritmo e per il taglio con cui sono rappresentati avvocati d’ufficio, procuratori ambiziosi, giurati condizionati dai propri pregiudizi e dalla fretta di tornare ai propri affari. Come potrà mai trionfare la Giustizia? Il film stesso è il processo e lo spettatore che, come il nostro giurato, sa la Verità, assiste impotente, avvinto alla poltrona in un crescendo di incertezza fino all’ultimo fotogramma.
Il sottile lavoro del regista è ben supportato dalla scelta di un casting impeccabile. Hoult buca lo schermo con la sua fragilità e ricorda il giovane Henry Fonda. Perfetti come sempre nei film americani i secondi ruoli e i coprotagonisti. Su tutti spicca Toni Collette.
Giurato numero 2 è un thriller psicologico introspettivo che coinvolge dall’inizio alla fine. Uno dei lavori più maturi di Eastwood. Un film apparentemente “normale”, ove tutto è normale e complicato come nel quotidiano. Per sapere fare molto bene una cosa così si deve essere davvero un Maestro del Cinema!
data di pubblicazione:13/11/2024
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da Antonio Jacolina | Nov 6, 2024
New York. Anora (Mikey Madison) lavora in uno strip club. Qui incontra Ivan giovane figlio di un oligarca russo. Il ragazzo la fa entrare nel suo universo di lusso e denaro facile. Dopo una settimana vissuta in esclusiva con lei a suon di dollari, se ne invaghisce. Anora accetta entusiasta un precipitoso matrimonio a Las Vegas. I ricchi genitori alla notizia volano con il loro jet dalla Russia a New York e nel frattempo mandano i loro scagnozzi a porre fine all’improbabile storia…
Contro tutti i pronostici e confermando il tradizionale disaccordo fra Giuria e Critica, lo sceneggiatore e regista americano Sean Baker ha vinto la Palma D’Oro a Cannes ’24 con il suo settimo lungometraggio Anora. Come già con Red Rocket, presentato a Cannes e a Roma nel 2021, il cineasta prosegue la sua personale ricerca. Lo sguardo cinematografico di Baker continua infatti a posarsi sugli esclusi dall’american dream. Il suo script si concentra irridente su un Paese ormai corrotto dal desiderio del denaro facile. La sua è una colorita esplorazione dell’America marginale ed una riflessione arguta sull’inconciliabile incontro fra chi vive sulla soglia del benessere e chi invece è straricco. La Società che descrive è un contesto in cui ormai le differenze di classe sono insormontabili ed i due universi sono lontani anni luce fra loro. La forza del denaro non trova più confini. In una notte si può arrivare dalla Russia in America per esercitarvi con indifferenza le proprie prepotenze con l’arroganza di chi avendo i soldi ne ha anche il Potere.
Per Baker non è più tempo di favole o di sogni. Non siamo ad Hollywood né negli anni ’90. La Pretty Woman e la Cenerentola del Nuovo Millennio sono molto lontane dal loro precedente romantico ed ottimista. Non c’è più un Richard Gere innamorato ma un ragazzo inetto, viziato menefreghista che passa il suo tempo a divertirsi.
Al centro del film, vero punto di svolta narrativo di accelerazione del ritmo e cambiamento dei toni, c’è uno stupendo piano sequenza. L’incontro scontro comico e surreale fra Anora e gli inetti sgherri mandati dai genitori russi. Gli fa seguito una corsa notturna per le vie di New York alla ricerca di Ivan, splendido rimando a Tutto in una notte di J. Landis. Complice attento del regista è un cast perfetto sia nei primi che nei secondi ruoli. Su tutti brilla per simpatia, bravura e tempi comici la giovane Mikey Madison.
Anora è una commedia vivace con un ritmo serrato e frizzante in crescendo che fa ridere e anche riflettere. Ben scritto, ben diretto e ben interpretato è un film gradevole che mantiene ciò che promette ed intrattiene piacevolmente.
data di pubblicazione:06/11/2024
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da Antonio Jacolina | Ott 25, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
New York. Anora (Mikey Madison) lavora in uno strip club. Qui incontra Ivan giovane figlio di un oligarca russo. Il ragazzo la fa entrare nel suo universo di lusso e denaro facile. Dopo una settimana vissuta in esclusiva con lei a suon di dollari, se ne invaghisce. Anora accetta entusiasta un precipitoso matrimonio a Las Vegas. I ricchi genitori alla notizia volano con il loro jet dalla Russia a New York e nel frattempo mandano i loro scagnozzi a porre fine all’improbabile storia…
Contro tutti i pronostici e confermando il tradizionale disaccordo fra Giuria e Critica, lo sceneggiatore e regista americano Sean Baker ha vinto la Palma D’Oro a Cannes ’24 con il suo settimo lungometraggio Anora. Come già con Red Rocket, presentato a Cannes e a Roma nel 2021, il cineasta prosegue la sua personale ricerca. Lo sguardo cinematografico di Baker continua infatti a posarsi sugli esclusi dall’american dream. Il suo script si concentra irridente su un Paese ormai corrotto dal desiderio del denaro facile. La sua è una colorita esplorazione dell’America marginale ed una riflessione arguta sull’inconciliabile incontro fra chi vive sulla soglia del benessere e chi invece è straricco. La Società che descrive è un contesto in cui ormai le differenze di classe sono insormontabili ed i due universi sono lontani anni luce fra loro. La forza del denaro non trova più confini. In una notte si può arrivare dalla Russia in America per esercitarvi con indifferenza le proprie prepotenze con l’arroganza di chi avendo i soldi ne ha anche il Potere.
Per Baker non è più tempo di favole o di sogni. Non siamo ad Hollywood né negli anni ’90. La Pretty Woman e la Cenerentola del Nuovo Millennio sono molto lontane dal loro precedente romantico ed ottimista. Non c’è più un Richard Gere innamorato ma un ragazzo inetto, viziato menefreghista che passa il suo tempo a divertirsi.
Al centro del film, vero punto di svolta narrativo di accelerazione del ritmo e cambiamento dei toni, c’è uno splendido piano sequenza. L’incontro scontro comico e surreale fra Anora e gli inetti sgherri mandati dai genitori russi. Gli fa seguito una corsa notturna per le vie di New York alla ricerca di Ivan, splendido rimando a Tutto in una notte di J. Landis. Complice attento del regista è un cast perfetto sia nei primi che nei secondi ruoli. Su tutti brilla per simpatia, bravura e tempi comici la giovane Mikey Madison.
Anora è una commedia vivace con un ritmo serrato e frizzante in crescendo che fa ridere e anche riflettere. Ben scritto, ben diretto e ben interpretato è un film gradevole che mantiene ciò che promette ed intrattiene piacevolmente.
data di pubblicazione:25/10/2024
da Antonio Jacolina | Ott 24, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Iran. Iman dopo anni di attesa viene nominato giudice istruttore al Tribunale Rivoluzionario di Teheran. La sua promozione porterà benefici a tutta la famiglia. Dovrà però subire le forti pressioni politiche e sottoscrivere condanne a morte. Scoppiano le proteste giovanili in tutto il Paese e scatta la repressione. La dura realtà entra anche nel suo nucleo familiare. Aumentano i contrasti, le paure, i sospetti. Tutto implode quando …
L’ultimo lungometraggio di Rasoulof merita ampiamente il Premio Speciale assegnatogli a Cannes 2024. Si tratta di un ottimo lavoro! Tra i migliori dell’anno. È un film di fattura classica ed altamente lirico in cui storia privata e vicende pubbliche si incrociano drammaticamente. Ottimo per la sua forza intrinseca, la sua intensità e la sua energia narrativa che non si diluisce né si riduce nonostante la durata di quasi tre ore. Un’opera rigorosa sul processo di disumanizzazione che i sospetti, le ambiguità e la violenza incombente possono produrre sugli affetti familiari, sui singoli e sulle masse. The seed of the sacred fig è scritto e diretto con mano ferma ed interpretato da un trio di attrici eccezionali. Stilisticamente attraversa scientemente tutti i generi cinematografici per evidenziare le tante contraddizioni dell’Iran di oggi. È una cronaca familiare, un dipinto sociale, un film politico, un road movie, un poliziesco, un thriller una denuncia ed un grande poema di dolore.
Al centro di questo lungo e lento fluire narrativo c’è la piccola famiglia del giudice, facile metafora di una parte per il tutto. Cuore pulsante e determinante sono invece tre donne, la madre che mantiene l’equilibrio domestico e le sue due giovani figlie una universitaria e l’altra adolescente. Al compiacimento iniziale per la promozione del capo famiglia subentra presto la presa di coscienza dei tanti condizionamenti che la cosa comporterà per essere ligi e conformi alle regole e ai valori ritenuti consoni dal Potere. Questa presa d’atto, la contemporanea esplosione delle grandi proteste giovanili, la violenta repressione e la cruda realtà che entra in casa tramite i social media usati dalle ragazze innescano un crescendo di tensione. La pressione aumenta fino all’implosione quando scompare la pistola di servizio assegnata al padre. Tutto precipita.
Paura, sospetti, interrogatori e paranoia. Il film, con una messa in scena degna dei migliori film d’azione americani, cambia all’improvviso dimensione, ritmo e stile. Si trasforma da studio psicologico che era in un thriller schizoide con un padre divenuto orco che sequestra le sue donne, le incarcera, le insegue… Un crescendo in cui il regista lancia il suo messaggio politico di speranza sull’intelligenza e le infinite risorse delle giovani iraniane.
The seed of the sacred fig è un’opera che con il suo stile, i suoi tempi, i suoi ritmi affascina lo spettatore, lo cattura per lasciarlo con il fiato mozzato nel superbo finale. Un lavoro d’autore i cui echi ci risuoneranno dentro a lungo.
data di pubblicazione:24/10/2024
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