da Elena Mascioli | Set 7, 2015
Marguerite di Xavier Giannoli, è un delizioso gioco di rimandi, di evocazioni, sin dal nome della protagonista, Marguerite Dumont. Il film racconta la storia di un facoltosa dama che, negli anni ’20 a Parigi, costringe amici e conoscenti a subire i suoi azzardati gorgheggi sulle note delle più famose arie d’opera, seguendo la passione che negli anni l’ha portata a collezionare partiture originali, suppellettili delle più grandi rappresentazioni d’opera e ahimè, ad imitare, cantando, le grandi cantanti liriche. Quando le note della Regina della notte echeggiano nella stanza e sullo schermo, quello che si ascolta è più vicino alle urla emesse dal pavone appena spiumato per decorare l’abito di scena di Marguerite che a qualcosa che Mozart abbia mai potuto scrivere. Il ridicolo entra in scena, e Marguerite lo cavalca senza alcun timore, senza limiti e senza nessuna apparente consapevolezza. Ma lo spettatore scoprirà ben presto che l’amore di Marguerite non è in realtà quello per la musica. L’amore che ella cerca, insegue, e per il quale è disposta a coprirsi di ridicolo è quello per suo marito. Un marito assente quanto l’intonazione in Marguerite, e anzi, potremmo dire in misura direttamente proporzionale. Ed ecco il primo filo rosso…Marguerite porta il nome della figura letteraria che ha ispirato la celebre Violetta de La Traviata. Come Marguerite Gautier e Violetta, ella si prostituisce, vendendo, per un po’ di attenzione e di amore, non il suo corpo, ma la sua dignità. A servirla ed assecondarla in questo gioco al massacro nella finzione di una velleità artistica, un maggiordomo che non può non far pensare alla figura di Eric Von Stronheim in Sunset Boulevard. Ad un certo punto, al tema della musica e dell’amore, se ne aggiunge un altro: la verità. È il caso di rivelare a Marguerite la verità che nessuno osa dirle, toglierla dall’imbarazzo del ridicolo (imbarazzo di chi l’ascolta!)? Quale delle due opzioni la più crudele? E soprattutto, esiste una verità sull’amore? Come dice il personaggio di Luchini nell’altro delizioso film francese in concorso, L’hermine, non siamo qui per stabilire la verità, ma per far rispettare la legge. Ma qual è la legge, in amore? Una delizia per gli occhi e per il cuore (orecchie a parte) da gustare il versione originale.
data di pubblicazione 07/09/2015
da Elena Mascioli | Set 5, 2015
Tremano i polsi a scrivere di Francofonia, il film di Alexander Sokurov in concorso alla Mostra di Venezia 2015. Un timore reverenziale dovuto alle vertiginose altezze raggiunte dal film e da tutta la produzione artistica del regista russo, e di cui, da spettatori estasiati, sentiamo di cogliere un frammento di luce, di godere della riflessione ma anche della pura visione, con la consapevolezza di non essere in grado, forse, di prendere a piene mani tutte le citazioni e sollecitazioni che l’opera vorrebbe suggerire. Ma il regista ci viene incontro, e in una conferenza stampa gremita spiega che il suo film mira ad aiutare tutti noi spettatori a sentire, capire, reagire, mira a creare un subbuglio nella testa, un subbuglio del cuore e nel cuore. Perché – continua Sokurov – la forza del cinema è quella di rivolgersi ai cuori, ma soprattutto alle vostre anime. La ricerca del regista, per sua stessa affermazione, si è spostata dalla forma al significato, nel tentativo di trovare risposte ai quesiti con cui il nostro mondo si scontra. Le risposte semplici sono finite, le domande sono complesse e non hanno trovato risposta nei politici che non sono, o forse non sono mai stati in grado di fornire tali risposte. Non sono cambiati gli atteggiamenti, neanche da parte degli artisti, dei registi. Forse la scelta di mettere il proprio volto, la propria voce di narratore, da parte di Sokurov, all’interno del film, e non solo di far parlare l’opera artistica, è un segno di questa incessante volontà di impegno e ricerca in prima persona, con nuovi linguaggi, nuovi personaggi, come, in Francofonia, il Louvre. Sokurov, e i russi con lui, amano l’individualità delle culture diverse, dell’Italia, della Francia. Francofonia è una dichiarazione d’amore per la Francia, la sua individualità, i suoi valori…ma qui Alexander esita ed aggiunge: ma forse non esistono più. L’arte quale strumento di conoscenza – la pittura ci permette di capire noi europei – l’arte che va salvata dal naufragio cui assistiamo nei primi momenti del film, anche se la scelta tra la vita dell’individuo e l’arte stessa rimane una scelta soggettiva ad una domanda cui sembra impossibile dare risposta. Non resta che immergersi nelle immagini di repertorio, nelle splendide circumnavigazioni dei piani sequenza intorno alle opere del Louvre, nei costumi impregnati di ironia del Napoleone di turno o nella immaginazione di cosa accadde al Louvre mentre Parigi era città aperta, per regalarci un subbuglio del cuore. Astenersi spettatori in cerca di trama.
data di pubblicazione 05/09/2015
da Elena Mascioli | Set 4, 2015
L’inverno del titolo è quello tra il 2013 e il 2014, il fuoco quello delle gomme e dei mobili bruciati per proteggere le barricate create dal milione di cittadini scesi in piazza, a Kiev, allo scopo di garantire un futuro alla nazione e alle giovani generazioni, ponendo fine ad un regime fintamente democratico, corrotto. Una protesta iniziata degli studenti per chiedere maggiore integrazione europea e poi sfociata in una rivolta contro la corruzione e lo stato delle cose in Ucraina. Una rivolta ormai nota come “della Dignità”, che ebbe piazza Maidan come luogo di svolgimento e simbolo. Il documentario non ci risparmia nulla, morti, feriti, persone scomparse, le storie di gente comune che decide di scendere in piazza perché sa che se non lo fa in quel momento non potrà farlo mai più. Le cariche della polizia e infine la fuga del presidente Yanukovic, la lotta sanguinosa, ancora una volta, per ottenere diritti fondamentali, tutto raccontato dalle immagini ma anche dalle voci dei veri protagonisti, che se ne fanno dunque anche narratori. Un documentario che colpisce al cuore portando alla nostra attenzione fatti così vicini e recenti che però forse abbiamo solo distrattamente seguito nelle notizie da 30 secondi. Molto efficaci le scelte musicali, che ci raccontano un paese attraverso la sua musica tradizionale, ed emozionante la voce unica di un milione di persone che canta l’inno nazionale a Piazza Maidan. Commossa tutta la delegazione del film davanti all’applauso, commosso e sentito del pubblico della Sala Grande. Da vedere munendosi di fazzoletti e voglia di saperne di più della nostra storia, del presente intorno a noi.
data di pubblicazione 04/09/2015
da Elena Mascioli | Set 3, 2015
La dilatazione del tempo e dello spazio sono i due assi cartesiani su cui si sviluppa Looking for Grace, il film australiano presentato in concorso. Se lo spazio dilatato è proprio dell’ambientazione del film, le grandi distese australiane della zona del cerchio del grano, quella del tempo è certamente una volontà della regista, anche se, per la verità, ella stessa non ha saputo dar gran conto delle proprie scelte in conferenza stampa. Alla domanda sull’evento finale del film, ha risposto che così è la vita, le cose accadono senza un perché. E il giornalista l’ha rimbeccata dicendo che si, è così nella vita, ma nella sceneggiatura che lei ha scritto, le cose accadono o non accadono per un perché! Uno a zero per la stampa. Ad un altra domanda sulla famiglia protagonista del film, molto sopra le righe e con comportamenti assurdi e distanze glaciali nei rapporti, la regista, cadendo dalle nuvole, ha ribadito la propria convinzione che le famiglie siano tutte così. Per fortuna la sappiamo in torto. L’elemento che poteva essere interessate è la scelta di raccontare, in sequenza, antecedenti della storia comune , ad illustrare i singoli protagonisti nel loro percorso fin lì, fino al punto in cui le strade si incrociano. Ma, dopo aver visto lo splendido uso del flashback, prima sonoro e poi visivo, del film di Prà, Un mostro de mil cabezas, con cambio del punto di vista narrante, espediente che conferiva al film un ritmo strepitoso, il tentativo della Brooks sembra piuttosto ingenuo e non sempre riuscito secondo le intenzioni. Non manca qualche risata da battute degne dell’umorismo nordeuropeo, ma il risultato generale si avvicina più o meno alla sufficienza. Looking for the next.
data di pubblicazione 03/09/2015
da Elena Mascioli | Set 2, 2015
“Non ne parlo mai, perché parlare di film invisibili è una sorta di lutto”. Queste le parole di Orson Welles a proposito de Il mercante di Venezia, film incompiuto e poi, apparentemente perduto anche nei suoi frammenti, fino a ieri in Sala Darsena, a Venezia. Una grande anteprima, dunque, per la serata del primo settembre 2015 al Lido, per la 72 ^ Mostra del cinema di Venezia, con la proiezione di ciò che si è riusciti a ritrovare, restaurare, e ricostruire grazie alla collaborazione di Cinemazero presso la Cineteca del Friuli, Cinemateque Francaise, il Filmmuseum di Monaco di Baviera e la Cineteca di Bologna. Una ricostruzione ottenuta sostituendo il rullo sonoro perduto con la registrazione di un Mercante di Venezia diretto e recitato a teatro dello stesso Welles. Ad aprire la serata, destinata come da tradizione, per la gran parte, al pubblico di Venezia, tramite i coupon comparsi sui quotidiani locali, il saluto del presidente della Biennale, Paolo Baratta, e del direttore artistico del settore cinema, Alberto Barbera. A seguire, nella sua prima esecuzione dal vivo a cura dell’orchestra classica di Alessandria, la partitura originale inedita del Mercante di Venezia di Angelo Francesco Lavagnino, autore delle musiche di molti film “shakespeariani” di Welles. Il successivo regalo fatto al numeroso pubblico accorso è stata poi la proiezione dell’Otello di Welles, nella versione doppiata in italiano che nel 1951 avrebbe dovuto concorrere al Lido. La copia, all’epoca, non arrivò. Qualcuno degli addetti al settore storceva il naso, ieri sera, sulla versione doppiata, e normalmente concordo, ma la voce e l’interpretazione del doppiatore Gino Cervi sono riuscite a rendere profondamente la forza dello sguardo di Welles e delle parole del Bardo.
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