da Elena Mascioli | Ott 2, 2016
La condanna dei numeri uno, dei primi della classe, e sfido chiunque a non considerare Woody tra questi, è il fatto che tutti abbiano delle aspettative molto elevate su tutto ciò che questi numeri uno producono o debbano produrre, e quindi, se entrando in un cinema e vedendo l’ultimo film di Woody Allen, non si assiste a quel capolavoro che ci si aspetta (sarebbe da definire, poi, aprioristicamente, ciò che abbia rango per una simile definizione), ecco che si intasano i social network con frasi alludenti alla “delusione Woody”, “è sempre lo stesso gioco e la stessa cosa” etc etc senza ovviamente argomentare e guardare davvero il film.
“Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo giorno e un giorno ci azzeccherai” afferma la mamma del protagonista. “Peccato che noi ebrei non abbiamo un’aldilà…avremmo molti più clienti”. Sempre il solito Woody!Sempre le solite battute piene di humour, sempre riprese impeccabili, così come perfette scelte di attori (Steve Carrell I love you!, ndr), costumi, ambientazioni, la musica, il jazz.! Il tutto condito con il già abusato amore per New York in contrapposizione ad Hollywood, e l’amore puro e vero che non vince ma che, come nel migliore cliché per il club degli ultimi dei romantici a cui la sottoscritta appartiene, anche se si sono fatte scelte più ciniche e realistiche, passa e si declina attraverso lo sguardo smarrito e nostalgico dei due protagonisti lontani, fermi nel tempo e nello spazio mentre intorno accade il frastuono di due feste di Capodanno.
Un finale di una levità e dolcezza straordinaria. Ebbene, se anche voi volete dire basta a tutta questa bellezza, che ha stampato un sorriso ebete e sognate sul volto della spettatrice che vi scrive, ecco, allora non andate a vedere l’ennesimo film di Woody Allen fatto così bene. Regalatevi un brutto film ma che abbia il carattere dell’unicità, dell’originalità a tutti i costi assurta ormai a valore assoluto, anche nel campo dell’estetica: i cinema ne sono pieni.
data di pubblicazione: 02/10/2016
Scopri con un click il nostro voto:
da Elena Mascioli | Mag 23, 2016
(Teatro Vascello – Roma, 18/22 Maggio 2016)
“Ho scelto di lavorare su Metamorfosi di Ovidio per l’evidente impossibilità a farlo”. Su questo assunto si sviluppa l’adattamento e la regia che Roberto Latini fa di quel “materiale vasto, ricco e traboccante, dal sapore del non finito, del non finibile” che le Metamorfosi di Ovidio rappresentano. Come detto nel breve scambio di parole avuto con l’artista dopo la rappresentazione, la Metamorfosi del testo di partenza diventa essa stessa forma, in mutamento (“come aveva detto di farlo, Roberto?”), in uno spettacolo che nei primi due giorni si presenta, per singolo episodio, ad uno spettatore per volta e poi, nelle sere successive, si declina in undici episodi, raccolti in tre tempi. La metamorfosi che attraversa gli episodi e gli attori che, di volta in volta, tra gli altri, sono Ecuba, Narciso, gli Argonauti, Teseo, il Minotauro e soprattutto lo splendido Orfeo, non interessa invece i costumi e il trucco: una teoria di clown, dalle improbabili pance finte e parrucche, dalle lunghe e colorate scarpe e, soprattutto, con un finto naso rosso che diventa propaggine dell’alluce, anello, gioco di scambio con il pubblico nelle incursioni in sala che gli attori fanno, a mo’ di tendina cinematografica, tra un episodio e l’altro. Latini conferma la sua scelta di un teatro “della relazione possibile e non della convenzione stabilita”, come aveva affermato a proposito del suo Ubu Roi, e qui, nelle note di regia dello spettacolo, parla infatti di “attrazione”, quale punto di partenza, e non di “astrazione”. La stessa attrazione che il pubblico fedele a Latini sente per il suo teatro, mai convenzionale ma neanche convenzionalmente off, un teatro che attiva cuore e cervello, che scardina, costringe a sentire e a pensare e in cui, tuttavia, c’è sempre un ritorno a casa reso da quei segni ormai distintivi e imprescindibili della messinscena di Latini, il microfono, fedele amplificatore della sua voce possente, la corsa con cui il regista circoscrive i suoi attori e la sua scelta di regia, il corpo, i corpi, i corpi nuovi in cui sono mutate le forme, in questo e in tutti gli spettacoli che mette in scena. E poi c’è Orfeo, ad accompagnarci nel viaggio poetico della vita e nell’Ade:“Non bagnatevi nel buio e nel sangue. È facile. Noi crediamo ancora nell’amore. Siamo ancora capaci di provare pietà”. Gli spettatori de le Metamorfosi hanno deciso di seguire Orfeo/ Roberto Latini ogni volta che salirà su un palco, per bagnarsi di teatro, d’arte, di bellezza e di emozioni pure e intellettive.
data di pubblicazione:22/05/2016
Il nostro voto:
da Elena Mascioli | Mag 9, 2016
(Cinema Farnese Persol – Roma, 5/10 Maggio 2016)
Il variopinto menu del festival spagnolo si è arricchito, nella proiezione di sabato pomeriggio, del colore e del sapore di un thriller. El desconocido di Dani della Torre, presentato alle Giornate degli autori di Venezia 2015, ha tenuto incollati gli spettatori per tutta la sua durata. La tragedia personale di un uomo, seduto, insieme con i suoi figli, su una bomba, diventa la tragedia collettiva di una società ormai al collasso, esplosa sotto il fuoco incrociato della crisi economica, delle banche, di un sistema che alla fine coinvolge tutti, indistintamente, con la stessa ferocia. Il senso di impotenza che attanaglia il protagonista nello svolgersi della vicenda è lo stesso che imprigiona tutti coloro che, impotenti, si vedono sottratta ogni possibilità di vita: il lavoro, i soldi, la famiglia, la possibilità di scegliere. Il ritmo incalzante della scrittura si unisce a quello della regia, regalando un thriller-action movie con qualche tocco retorico ma nel complesso con un buon risultato. Soprattutto, magnifica e determinante la scelta dell’intenso volto di Luis Tosar nel ruolo del protagonista. Tutt’altro il clima del film successivo, Isla bonita, che ha registrato il tutto esaurito e la solita, splendida coda fino ai piedi di Giordano Bruno. Ad accompagnare il film il regista e protagonista del film, Fernando Colomo, che ha allietato la sala raccontando della lavorazione sul set. Nessun guión, non un copione scritto, ma il racconto, leggero e divertito, dell’incontro di tipi umani nel contesto di una Isla bonita. Tutti, fondamentalmente, alle prese con gli stessi problemi di sempre: le relazioni umane, l’amore. Un tocco di freschezza, un protagonista un po’ spaesato e buffo nel suo raccontarsi anche attraverso spezzoni di suoi film precedenti, inseriti ad hoc nel contesto della storia, un misterioso ragazzo svizzero dal nome Tim che non parla una parola di spagnolo, una scultrice e sua figlia, un vecchio amico alle prese con un discorso sulla regina e il contorno di una splendida isola ad illuminare il tutto. Prossima destinazione: Minorca.
data di pubblicazione:09/05/2016
da Elena Mascioli | Mag 7, 2016
(Cinema Farnese Persol – Roma, 5/10 Maggio 2016)
La fila che sul far del tramonto si snoda dal Cinema Farnese fino alla statua di Giordano Bruno, a Campo de’ Fiori, è ormai un rito consolidato delle serate del Festival del cinema spagnolo. Il pubblico è in attesa di vedere Magical Girl (vincitore come miglior film e miglior regia al Festival di San Sebastian), opera seconda di Carlos Vermut che, come ci spiega Federico Sartori, uno degli organizzatori del festival, trae ispirazione dalle atmosfere dei Manga e dell’anime giapponese. Un film, come da lui annunciato, che divide, che si fa amare od odiare. Ed infatti, alla fine della proiezione, ci si guarda con gli altri spettatori alla ricerca di un confronto, quasi a chiedere: tu da quale parte stai? La fotografia del film è essa stessa veicolo della storia: algida, dona un’atmosfera rarefatta, spegne ogni colore, apparentemente ogni emozione, il vissuto stesso dei protagonisti, anche l’abito colorato di Magical Girl che Alicia sogna di indossare. Ma Alicia ha anche un altro sogno: vivere fino all’età di 13 anni. Le vicende dei vari protagonisti si intrecciano e si incastrano nel puzzle che il regista costruisce insieme ad uno dei personaggi: un puzzle che, per tutti, sembra avviarsi verso la composizione finale e a cui, tragicamente, nel momento in cui si pregusta la soddisfazione del compiuto, manca un ultimo, apparentemente insignificante e piccolissimo pezzetto. Un film spiazzante, inquietante, straniante che ci lascia in mano una sola verità: che due più due farà sempre quattro, a prescindere da ciò che accada alla Storia e alle storie degli uomini. Da puro festival. Imperdibile.
data di pubblicazione:07/05/2016
da Elena Mascioli | Mag 6, 2016
(Cinema Farnese Persol – Roma, 5/10 Maggio 2016)
Quale sarà La flor de mi secreto del Festival del Cinema Spagnolo, giunto alla sua nona edizione, al Cinema Farnese Persol a Campo de’ Fiori, e in programma successivamente a Milano (27-29 Maggio) e Triste (30-31 Maggio)? Probabilmente la grande varietà di sapori e colori spagnoli, il giallo de La Nueva Ola, il verde degli eventi, il rosso Spagna, composti in un programma che stuzzica ogni palato cinematografico. Il fucsia degli omaggi, partendo appunto dal titolo già citato di Almodovar (La flor de mi secreto, 1995) con la splendida protagonista Marisa Paredes, ospite del festival la prossima sera del 10 Maggio, alla proiezione del film El Espinazo del diablo. “Dovrebbero proibire la realtà” dice ad un certo punto uno dei personaggi del film di Almodovar, e il regista gioca con il pubblico, facendolo ridere e sorridere pur raccontando il dramma e la beffa di una scrittrice di romanzi rosa che ormai tinge la sua penna di nero a causa di un matrimonio in fallimento. Amanda Gris ormai sta stretta negli stivaletti in cui ha vissuto finora e ha bisogno dell’aiuto dei personaggi che la contornano per uscirne: letteralmente dalle scarpe e dalla precedente vita. I personaggi recitano le proprie vite, diventano Rick e Ilsa di Casablanca, bevono, ballano (troviamo anche Joaquín Cortés nel cast), si odiano, si amano, insomma: vivono. Una delizia d’annata. A seguire, terzo film della prima serata, A cambio de nada, esordio alla regia di Daniel Guzmán. Già noto come attore in Spagna, ospite a Roma e fresco vincitore di 2 Premi Goya 2016 (Miglior Regista esordiente e Miglior Attore Rivelazione per Miguel Herrán), Guzmán ha raccontato la lunga vicenda produttiva del film, che lo ha visto impegnarsi e combattere, come faceva un tempo sul ring nei suoi esordi di boxer, per ben 10 anni prima di riuscire a realizzare la sua opera prima. L’intento? Innanzitutto quello di fare un film con la sua abuela, sua nonna, strepitosa novantunenne che affianca egregiamente tutti gli attori del film, tra cui spicca Luis Tosar, oltre al giovane e premiato protagonista Miguel Herrán. Un film autobiografico di cui non vogliamo raccontarvi la trama, invitandovi a non perderlo nella replica di sabato pomeriggio, ma che potremmo sintetizzare con le parole del regista stesso alla domanda del pubblico sul perché del titolo: A cambio de nada (Nulla in cambio il titolo italiano, distribuito nelle sale italiane da EXIT Media) per me significa “amistad”, amicizia. L’amicizia, il contatto, il bisogno di un rapporto umano, di qualcuno con cui parlare, con cui vivere, fare una festa, per non sentirsi soli. Un bisogno che appartiene, trasversalmente, a tutte le età, a tutti i protagonisti del film e certamente, se riuniti in un sala insieme ad altre 300 persone, davanti ad un bel film, anche a tutto il pubblico presente ieri sera a questo primo intenso momento di cinema e umanità.
data di pubblicazione 06/05/2016
Pagina 1 di 1412345...10...»Ultima »
Gli ultimi commenti…