da Giovanni M. Ripoli | Set 18, 2021
Nella polimorfica bibliografia dei libri sugli ultrà si inserisce un volume che ha aspirazioni di completezza e di attualità. Perché, partendo dalle scaturigini (il fenomeno hooligan, il delitto Paparelli) allarga il cerchio fino alla trasformazione del ruolo del tifoso estremo in capo a due anni di pandemia. Gli ultrà, esclusi per lungo tempo dagli stadi, si sono riversati nelle piazze, strumentalizzati e/o strumentalizzando il progetto di sovversione anti-Stato su sponde di estrema destra. Figure come quelle di Roberto Fiore o Giuliano Castellino sono emblematiche a riguardo. Ma il personaggio più citato del congruo volume di oltre 300 pagine è Diabolik Piscitelli, l’ultrà laziale, vittima di un killer, nel momento più alto di una intensa carriera criminale, quando ambiva a diventare uno dei ras mafiosi della capitale. Sulla sua uccisione gli inquirenti sono arrivati alla convinzione che sia difficile rintracciare il mandante mentre per quanto riguarda l’esecutore dovrebbe trattarsi di un albanese a sua volta perito in patria nel corso di un regolamento di conti.
Il libro contiene due interessanti e uniche appendici. Una silloge di tutti i film e le opere teatrali in cui si parla di ultrà e un elenco aggiornato di vittime del tifo, per casualità, violenze e, spesso, futili motivi.
Curioso rintracciare nel libro anche ultrà progressisti che si sono battuti per un ritorno in sicurezza nel calcio o che, nella lunga crisi del Covid, si sono prodigati alla ricerca di beneficenza. Da ricordare anche gli ultrà del Cosenza che continuano a onorare la memoria del “calciatore suicidato” Bergamini, all’inesausta ricerca di verità.
Il testo è un saggio ma si legge come completo romanzo criminale. Sotto la demagogia del tifo, si celano crimini (soprattutto spaccio di droga, vedi Diabolik) e ideologie pericolosamente sovversive, con una chiara accentuazione verso la riesumazione del fascismo se non addirittura del nazismo.
La definizione dell’identikit dell’ultrà è il progetto più ambizioso del volume.
Data di pubblicazione: 18/09/2021
da Giovanni M. Ripoli | Set 4, 2021
“Tratto da una storia vera”, il film narra la vicenda di un piccolo uomo d’affari inglese, Greville Wynne coinvolto, suo malgrado, in un’attività spionistica contro l’URSS a favore del blocco occidentale (Cia, Oss etc) nell’ambito dei drammatici giorni della crisi dei missili cubani, in piena guerra fredda.
In tempi abbastanza grami per il Cinema ante Festival di Venezia, ci si accontenta di quello che passa il “convento”, ovvero le differenti piattaforme streaming. Su Sky viene trasmesso dallo scorso primo settembre L’Ombra delle Spie, presentato al Sundance del 2020, visto da pochi intimi all’ultima Festa del Cinema di Roma. Preceduto da altre pellicole che hanno indagato nel bene e, in genere, nel male l’atmosfera che si respirava nei paesi d’oltre cortina, la pellicola di Dominic Cooke (1966) cui si deve il solo Il Segreto della Notte del 2017, è un buon film: attinge a piene mani al copioso genere delle spy stories tanto di fantasia (Ipcress) quanto storiche ( Il Ponte delle Spie). La vicenda parte lenta attraverso una puntuale e credibile presentazione dei personaggi sia del campo “atlantico” sia di quello “sovietico” (ben costruito il personaggio di Oleg Penkowsky grazie all’interpretazione di Merab Ninidze) e si snoda in un crescendo di tensione che miscela storia e fiction senza esagerazioni e colpi di teatro. Il bravo Cumberbatch (Greville), gigioneggia meno del solito e mantiene la sobrietà che il personaggio richiede e Emily Donovan (la ragazza della CIA, Rachel Brosnahan) dimentica di essere stata la “fantastica signora Maisel” ed offre una prova da brava comprimaria. Perfette come si richiede scenografia e location: sembra di rivivere gli anni ’60! Giusti i ritmi e adeguata la colonna sonora, per un film che, senza essere un capolavoro, ha molte frecce al suo arco nell’ambito di un intelligente intrattenimento con un occhio alla storia.
data di pubblicazione:04/09/2021
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da Giovanni M. Ripoli | Apr 26, 2021
Libera accattivante esemplificazione della vita di Leonardo da Vinci in una serie TV di produzione internazionale destinata al grande pubblico. Ha debuttato il 23 marzo su Rai 1
Ai tanti che a torto o a ragione hanno storto la bocca di fronte alla serie incentrata sulla vita e le opere del grande artista accusandola di poca fedeltà storica, rispondo da umile scriba che di “fiction” trattasi/ trattavasi e come tale va/andava/ fruita.
Dalla scelta del fascinoso protagonista, l’attore irlandese Aidan Turner, un Leonardo ambizioso e permalosetto, alla comprimaria Caterina da Cremona resa credibile da Matilda De Angelis, in un personaggio che quasi certamente non è stato rilevante nella reale vicenda umana di Leonardo ( era, forse, solo una delle tante cortigiane del periodo), dalla trama romanzata alle attente scenografie, tutto è costruito per offrire un godibile spettacolo in tempi di pandemia a un pubblico internazionale. Naturalmente, a onore degli ideatori, Frank Spotnitz e Steve Thompson, va detto che non tutto è inventato, ma non era certo nelle intenzioni degli autori, seguire fedelmente le fonti storiche più accreditate limitandosi ad una rappresentazione del tempo e dei personaggi più noti incontrati da Leonardo nella sua vita. I meno giovani ricorderanno uno sceneggiato del ’71. La Vita di Leonardo da Vinci interpretato da Philippe Leroy nel doppio ruolo di Leonardo giovane e vecchio, ma l’ultimo “Leonardo” da ricordare era quello vestito da Paolo Bonacelli nel dissacrante e divertente, Non ci Resta che Piangere. Se confrontato poi con, Il Codice da Vinci, completamente privo di ogni verità storica, questo Leonardo, ripeto, seppure con molta fantasia e omaggi allo stile seriale ha alcune frecce al suo arco e si fa seguire con interesse. L’aria che si respira è la stessa dei, Medici( non a caso la stessa produzione Lux Vide più Rai), dietro ci sono 1900 ore di lavorazione, 3000 comparse, 2500 costumi, un significativo cast di attori italiani e stranieri, fra cui Giancarlo Giannini (Andrea del Verrocchio), Freddie Highmore (Stefano Giraldi) e i già citati protagonisti Aidan Turner e Matilda De Angelis, sempre più avviata ad una folgorante carriera da star internazionale. Sia Firenze che Milano sono state fedelmente ricostruite in studio ma appaiono credibili come suggestive sono le rappresentazioni dei momenti creativi e delle opere del genio del Rinascimento. Aggiungete una regia mai eccessiva (Dan Percival ex documentarista della BBC, pluri premiato), una trama “gialla” col nostro accusato ingiustamente di omicidio, qualche accenno alle sue perplessità sessuali, l’esistenza di un pargolo di dubbia paternità ed ecco che la miscela è perfettamente resa anche in vista di una seconda inevitabile stagione. Se della trama poco vi ho detto è per non togliervi il gusto di sintonizzarVi su Rai play per seguire tutti gli episodi. Per le verità storiche vi rimando a una biografia dello storico Charles Nicholl. Giudizio finale: potabile!
data di pubblicazione:26/04/2021
da Giovanni M. Ripoli | Apr 22, 2021
Stefano Bollani torna in tv con Valentina Cenni invitando gli spettatori nella loro casa di fantasia fra musica e cultura, aneddoti e ospiti dal lunedì al venerdì dalle 20.20 alle 20.45 su Rai tre, in onda dal 15 marzo.
Venticinque minuti per suonare, cantare, ma anche divertire e raccontare tante cose nuove sulla musica, sulla sua storia, sulle sue capacità di renderla un efficace antidoto “contro il logorio della vita moderna”. Quali migliori interpreti allora, per un intrattenimento rapido e intelligente se non Stefano Bollani e la sua deliziosa mogliettina Valentina Cenni, entrambi artisti di talento e coppia affiatatissima nel bucare lo schermo? Aneddoti scientifici, racconti di vita intersecati con cenni di filosofia, magia, esoterismo ma in primis musica di ogni luogo e tempo. Il tutto trattato con la leggerezza e l’ironia che è il tratto distintivo di Bollani, in grado di mescolare con il suo stile l’inclito e il colto, il rock e Mozart, la bossa nova e l’hip hop e l’innata grazia di Valentina Cenni, perfetta sparring partner che con garbo e celata malizia indaga gli aspetti più emozionali della musica, introduce e interroga gli ospiti ( mai banali) tiene in piedi il filo della narrazione della giornata e di tanto in tanto duetta col “maestro”. C’è poco da dire, una tantum, Rai “azzecca” un programma di livello in una fascia di non facile ascolto, mentre imperversano telegiornali di parte e telenovele infinite. Lo fa attraverso la musica e la costruzione di uno spartito accattivante e mai scontato, come detto, interpretato al meglio dal versatile e bravissimo Bollani e dalla Cenni, attrice, ballerina, cantante, entertainer di vaglia e i tanti ospiti, uno per puntata, che si affacciano nel salotto. Si va da Vinicio Capossela a Ornella Vanoni, da Cristina Donà a Checco Zalone, da Neri Marcorè a Edoardo Bennato, tutti rigorosamente dal vivo con Bollani al piano, ad accompagnare e reinterpretare i loro brani. Dunque, puro artigianato musicale, senza basi, senza applausi di figuranti per un autentico piacere destinato ad un pubblico raffinato e competente. In casi del genere vanno sottolineati i meriti ascrivibili alla produzione Ballandi e per Rai tre a Fosco D’Amelio, Giorgio Cappozzo, Rossella Ricci più i nostri Cenni&Bollani in collaborazione con gli autori Francesca Talamo e Marco Verdura. Il tutto per la regia di Alessandro Tresa. Ovviamente consigliato nella speranza che duri ancora a lungo.
data di pubblicazione:22/04/2021
da Giovanni M. Ripoli | Mar 21, 2021
Dopo aver lavorato a Legnano per cinque anni, il/la vice-questore Lolita Lobosco torna a Bari a dirigere la sua squadra, composta da soli uomini. Secondo gli autori sceglie di restare se stessa, non reprime il suo fascino e combatte la malavita e i pregiudizi.
Non sono per indole portato alle stroncature verso libri, film o sceneggiati che siano, come, in generale, nella vita. C’è tanto di bello che trovo inutile seguire cose che non catalizzino il mio interesse o peggio trasmettano emozioni negative. Ma, c’è sempre un “quando- ci- vuole- ci- vuole” come si giustificò quel cappellano dopo una bestemmia allorché fu colpito nei santissimi gabbasisi da una pallonata. La pallonata, per analogia, mi è stata inflitta da Rai Uno con la visione delle mortificanti, sconclusionate e banali, Indagini di Lolita Lobosco, ennesima serie che “più nazional popolare non si può” di recente ammannitaci in ben quattro episodi (ma, visto il successo destinata purtroppo a proseguire!). Chiarisco: ho dovuto vederla per una sola ragione. Si svolge a Bari (che ben conosco avendoci vissuto), e amici e parenti me l’hanno caldeggiata, quo ante, ovviamente. Come tutti sapete, le fiction tv sono ormai il terreno preferito per la caccia all’audience delle reti generaliste. Commissari, che a volte diventano vice-questori, carabinieri e carabiniere, ispettori /trici, magistrati e avvocati, assistenti sociali e malavitosi proliferano in tv più dei conigli, a volte, con conseguenze assai più devastanti. Ma torniamo alle ragioni della stroncatura che “rara avis” non fermerà certo il successo della serie. A proposito leggo su uno dei periodici esposti nelle edicole che la protagonista della serie, Luisa Ranieri “è la nuova Sophia Loren?” facendomi sorgere più di un dubbio sull’ordine dei giornalisti. Puntualizzo: la signora in questione, esordì nello splendore dei vent’anni e in virtù di un rigoglioso seno in un indimenticabile carosello (Anto’ fa’ caldo!), tra i suoi meriti c’è quello di essere sposa e madre dei figli del Commissario Montalbano, alias il simpatico Zingaretti, certamente una bella donna, purtroppo già incapace di recitare in italiano, meno che mai, nell’improponibile dialetto barese impostole dalla produzione (Lino Banfi sembra Gassman in confronto!). La meschina, la Lobosco della serie, dopo un soggiorno di cinque anni in terra di Lombardia, torna nella sua Bari e parla peggio dei suoi concittadini, è issata su tacchi vertiginosi e flirta con presunti indagati. La circondano macchiette da avanspettacolo tra cui si salvano i soli attori realmente pugliesi (la brava Lunetta Savino su tutti). Ma se la protagonista lascia a desiderare, peggio fanno gli sceneggiatori con dei plot che sembrano scritti da Paperino e direi che il de-merito maggiore va ascritto all’autrice dei romanzi (?), tale Gabriella Genisi (da Mola di Bari) che-beata lei- dichiara di vivere tra Bari e Parigi capace di pubblicare (prima da Marsilio-Sonzongo ) e far trasporre in sceneggiati Rai le sue deplorevoli stupidaggini che non sono né gialli né romanzetti rosa (persino Moccia in confronto sembra Shakespeare!). Tra le perle della mini-serie ne segnalo per decenza solo alcune: i baresi sono dei trogloditi, parlano ancora tutti col Voi fascista; in questura non c’è un poliziotto che parli italiano: il vice questore si muove su una Bianchina degli anni sessanta o si fa portare su un triciclo a motore; le magistrate sono a livello di Barbara D’Urso… Cosa salvare allora? Beh qualcosa da salvare c’è sempre, come insegna De Andrè (è dal letame che nascono i fiori!). Per esempio? i droni che riprendono il meglio della città e gli ameni luoghi circostanti di Bari e provincia. Qualche buon caratterista e qualche ricetta gastronomica. Veramente poco per una serie che può attrarre solo concittadini di bocca buonissima. I primi colpevoli di questa triste messinscena de-meritano di essere citati, in primis i produttori, Barbagallo, Rizzello e, si spiega, Luca Zingaretti (consorte della Ranieri), poi il regista, Luca Miniero, nonché gli sceneggiatori o presunti tali, Gaudioso, Gambaro e Reale, …della scrittrice già dissi . Se ne sconsiglia vivamente la visione!
data di pubblicazione:21/03/2021
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