da Giovanni M. Ripoli | Mar 30, 2022
Per eventi misteriosi e inconcepibili la luna esce dall’orbita terrestre e rischia di schiantarsi sul nostro amato pianeta con prevedibili disastrose conseguenze. Fortuna che la NASA vigila e prima di lei un appassionato cospirazionista, astronomo improvvisato. Si crea dunque un’improbabile “ammucchiata” di esperti e dilettanti che insieme all’ex astronauta Jo Fowler intuisce una soluzione e ahinoi ce la propina…
Se è vero che la prima scena di un film di azione targato USA può costare quanto un medio film di casa nostra, è altrettanto vero che, nel caso di cui trattasi , il livello di scempiaggini raggiunto è direttamente proporzionale ai costi. In generale, non sono incline alle stroncature, ma se, per errore, ci si imbatte in pellicole come Moonfall, l’etica professionale impone una severa censura e un affettuoso sconsiglio. La doverosa premessa non esclude naturalmente che ci siano state e ci siano pellicole di genere (fantascienza, disaster movies, fantasy, super eroi) pienamente riuscite e altamente spettacolari. Non così Moonfall, peraltro diretta da un buon artigiano come Roland Emmerich che senza essere Kubrick ci aveva regalato il godibile Indipendence Day.
Questa volta il pateracchio è completo e dal menù estraggo a caso pagine di complottismo che neanche un no vax, ansie artificiose che neanche Crepet…, teorie scientifiche che neanche Paperino sotto allucinogeni (la Luna, tutt’al più si allontana dalla terra…). Purtroppo non esagero nel segnalare che per due ore e dieci minuti, confortati – si fa per dire- da un commento sonoro assordante e distonico ci si sottopone alla visione di un campionario misto che va dall’incredulità, all’impossibile transitando per una ingenuità fanciullesca. Se quanto sopra non bastasse a dissuadervi da insani propositi (lo so, non è che al cinema ci sia tanto in questo periodo!), e sorvolando sulla trama per decenza, non posso che evidenziare lo scarso contributo dei poveri attori, il premio Oscar, Halle Berry e John Bradley, sbiaditissima copia del grande Paul Newman, immeritatamente coinvolti nella scombicchieratissima e irresponsabile sceneggiatura e incapaci di dare un sia pur minimo spessore ai personaggi. Ma, almeno gli effetti speciali? Non mancano e non oso pensare a quanto siano costati, ma sono lì anche loro come un corpo estraneo, confusi e slegati, roboanti ma poco coinvolgenti come purtroppo tutto il film.
data di pubblicazione:30/03/2022
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da Giovanni M. Ripoli | Mar 2, 2022
C’è del marcio a Gotham City e di questo Bruce Wayne ne è ben conscio, anche se è solo da due anni che veste i panni di Batman. Si trova comunque ad affrontare un pericoloso serial killer, l’Enigmista anche lui a caccia di influenti concittadini di Wayne (corrotti?). Qualcuno, nuovi e vecchi alleati, gli darà una mano a scoperchiare la rete di corruzione che attanaglia la città.
La sceneggiatura di The Batman si basa originariamente sui fumetti di Bob Kane, ma lo stile del regista Matt Reeves (Cloverfield, Il Pianeta delle Scimmie) che l’ha scritta insieme a Peter Craig (Hunger Games), sembra attingere più a quello del miglior Frank Miller di Sin City . Questo per restare nel campo dei cultori dei comics. Fortunatamente, questo The Batman, ennesimo episodio di un super eroe già visto n volte sugli schermi con esiti non sempre memorabili (a parte la notevole trilogia di Nolan, s’intende) ambisce ad entrare nel grande cinema tout court, attraverso una pellicola ricca e sfaccettata di grande impatto visivo ed emotivo.
Uno spettacolo che abbraccia più generi e che non si sottrae nell’affrontare problematiche anche scomode (la povertà diffusa, la corruzione dilagante, il razzismo sociale) amalgamandole all’interno di un tessuto “noir” quando non “horror”. Sin dalle prime immagini il film si preannuncia dark: atmosfere cupe che riportano al miglior Blade Runner, una Gotham City post- industriale ripresa , non a caso, sulle note di, Something in The Way dei Nirvana. In quel contesto fa la sua apparizione il nuovo Cavaliere Oscuro che in sella alla sua bat-moto, sussurra: Io sono la vendetta! suggerendo il filo conduttore della trama.
Se si mettono da parte pregiudizi sul genere (ma quale nella circostanza?) ci si trova a cospetto di una pellicola di tre ore girata con grande mestiere, pregna di invenzioni e soluzioni visive altamente coinvolgenti, con un quadro psicologico quantomai attento ai vissuti dei protagonisti. Oltre il fumetto dunque, seppure con la stessa accurata ricerca dei particolari e dell’estetismo dei migliori disegnatori, ma con scelte cromatiche, colonna sonora, sensazioni più dei dialoghi, personaggi, anche colpi di scena, in grado di creare/ricreare nello spettatore atmosfere che bene rappresentano lo spirito di Gotham City, una città che vive di notte e con la pioggia, ricettacolo di criminali e corruzione. In questo mondo batte il cuore di Wayne/Batman, il più “nero” dei Batman mai visti al cinema, un personaggio dilaniato perché sin da ragazzo, costretto a fare i conti con un passato avvolto nel mistero. Robert Pattison, con ciuffo nero e occhi diabolici incarna bene il nostro eroe, accanto a lui un cast eccezionale in cui ritroviamo, Paul Dano (già apprezzato in 12 Anni Schiavo) nel ruolo dell’Enigmista, Zoe Kravitz (Big Little Lies) l’alleata enigmatica Catwoman, il misurato Jeffrey Wright (No Time to Die) nei panni del tenente Gordon e ancora John Turturro, il mafioso Carmine, Falcone, Colin Farrell, il Pinguino e Andy Serkis, l’affezionato maggiordomo Alfred.
Nel nostro caso e in conclusione, si può affermare che la vera grande protagonista è la città, non la Napoli o la Roma di Sorrentino, ma un’ immaginaria Gotham City che sembra esistere solo nella pioggia e nella notte come e più della Los Angeles di Ridley Scott, e nel ricordo degli spettatori.
data di pubblicazione:02/03/2022
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da Giovanni M. Ripoli | Feb 27, 2022
La serie ambientata a partire dal 1958 descrive il percorso di emancipazione femminile di Miriam “Midge” Maisel, giovane donna della buona borghesia ebrea newyorchese decisa ad affermarsi come cabarettista in un mondo fino allora a forte prevalenza di ruoli maschili.
La serie, prodotta da Amazon Studios, giunta alla sua quarta stagione, è in assoluto una delle più premiate della categoria fra Golden Globe e SAG Awards, diversamente distribuiti ad attori, attrici, sceneggiatori etc, e riconosco una delle più riuscite (seconda forse alla sola Breaking Bad, peraltro di diverso genere). Tecnicamente si definisce un dramedy ed è una creatura della coppia di sceneggiatori Amy Sherman e Daniel Palladino (già famosi negli USA per la serie Una Mamma per Amica, di cui non so…). Certamente si tratta di una complessa rappresentazione, ora decisamente divertente, ora drammatica-ma-senza- esagerare (gli americani si sa amano i drammi ma solo con il lieto fine), sempre intelligente ed arguta, come la sua splendida protagonista, la fantastica signora Maisel del titolo, interpretata dalla bella, brava e soprattutto, spontanea Rachel Brosnahan. Una ragazza che ha sempre fatto tutto bene, gli studi, il matrimonio, la mamma e la moglie, almeno finché non viene a conoscenza di un tradimento del suo ex perfetto maritino Joel , aspirante cabarettista. Tutto cambia e Midge non trovando l’auspicato conforto nelle famiglie (la sua e quella dell’ex marito) si ritrova al Gaslight, luogo reale del mitico Village di New York, e dopo la conoscenza di Lenny Bruce (altra reale figura carismatica di quegli anni) s’improvvisa cabarettista caustica e sboccata, Con la trama mi fermo e per due ragioni, la prima perché non avrebbe senso raccontare quattro stagioni ricchissime di eventi che è meglio scoprire guardando le diverse stagioni, la seconda perchè, se vogliamo, non sono gli accadimenti il pregio maggiore della serie che ha in ben altro i suoi punti forti. Ovvero, in primis, i dialoghi mai banali, direi, piuttosto brillanti e “deliziosamente” colti o inevitabilmente spinti. I personaggi: non solo la deliziosa Midge, ma certamente la sua amica-promoter Susie (Alex Borstein, tanto rozza quanto incontenibile) come i suoi incredibili genitori Abe e Rose Weissman, splendidamente caratterizzati da Tony Shalhoub (il padre) e Main Hinkle (la madre) due amabili snob, per (non) tacer del marito, Joel Maisel (un Michael Zegen, misurato e credibile) e dei suoi tipici genitori ebrei alla woodyallen ,Moishe Maisel (Kevin Pollak) e Shirley Maisel (Caoline Aaron). Che dire poi dell’ambientazione, perfetta in ogni dettaglio, dai cappellini di Midge ai locali fumosi del Greenwich, dalle canzoni e musiche d’epoca alle località di villeggiatura, tutto ci permette di calarci appieno negli anni a cavallo fra il ‘50 e il ‘60.
Qualche limite? Quello di tutte le serie : il graduale peggioramento nel senso di “già visto” che inevitabilmente affiora man mano che le stagioni vanno avanti. E’ quindi troppo facile dire che le prime due siano state certo le migliori,ma, altrettanto, onestamente va riconosciuto che il livello generale si sia mantenuto comunque sempre molto decoroso. Da non perdere!
data di pubblicazione:27/02/2022
da Giovanni M. Ripoli | Dic 4, 2021
La vicenda ruota intorno al faticoso viaggio in auto cui si sottopone per gratitudine, un arzillo vecchietto (?) ex campione di rodeo per riportare dal Messico in Texas il figlio di un suo datore di lavoro. Il ragazzo va sottratto alla madre messicana alcolizzata. Durante il viaggio fra i due nascerà un rapporto di solidale complicità.
Credo, nell’occasione (l’uscita del 40esimo lungometraggio di Eastwood), che buona parte della critica si sia fatta condizionare dalla statura del grande regista californiano, perdendo di vista, in buona sostanza, la modestia complessiva di Cry Macho. Da GranTorino in poi, a mio parere, il suo ultimo grande film, è iniziata una dignitosa ma inevitabile parabola discendente dell’ormai novantunenne attore e regista, vera icona della cinematografia e giustamente insignito di ben quattro Oscar. Non so se Cry Macho segnerà il suo definitivo congedo dal set, ma per non inficiare una carriera spettacolare attraverso un finale con pellicole insignificanti forse sarebbe giusto fermarsi qui. Sulla scia di, The Mule, ma con ancora meno frecce al suo arco, Clint, regista e attore, ripropone stancamente la favola del vecchietto ex qualcosa (qui cow boy ex stella di rodei) che compie atti eroici e/o sciagurati alla ricerca di nuovi stimoli. Ascrivibile al genere western moderno, Cry Macho (Macho non è lui ma il nome del gallo del ragazzo) ne riprende alcuni tratti: le fughe, gli inseguimenti, le scazzottature, naturalmente i cavalli, qualche paesaggio, il tutto condito da po’ di country music Le modalità non divergono molto da quelle di The Mule, ma qui il fiato si fa più corto, alcune scene sono imbarazzanti (il fascino che esercita sulle donne…) o improbabili ( quando monta cavalli imbizzarriti o sferra cazzotti degni di Mohamed Alì). La trama poi, quanto mai melensa, è degna del peggior Muccino: il giovane Rafo (l’attore messicano Eduardo Minett, bravino) con il suo gallo da battaglia Macho (sua la migliore interpretazione…) spera di ritrovare il padre e il sogno americano oltre il confine e Mike Milo (un Eastwood inevitabilmente insecchito e ingobbito) rappresenta la sua ultima speranza. Milo ha una grande sensibilità verso gli animali (si offrirà come veterinario in un piccolo villaggio messicano) e le vedove (flirterà con la padrona di una posada) e questo offre al regista momenti di pause nel viaggio on the road verso il Texas . Tratto dal romanzo del ‘75 scritto da N. Richard Nash, Cry Macho, tocca dirlo, è il peggior film di Eastwood ma non cambia il giudizio complessivo sulla sua straordinaria carriera (un titano come lo fu John Ford), ma ne segna una evidente battuta d’arresto che a oltre novant’anni gli si può comunque perdonare.
data di pubblicazione:04/12/2021
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da Giovanni M. Ripoli | Ott 21, 2021
Si racconta degli inizi, della vita, della crescita e del talento di Zlatan Ibrahimovic, icona del calcio mondiale. Si parte dalla sua infanzia nelle periferie svedesi. Una famiglia di immigrati balcanici che a fatica va avanti senza togliere peraltro ai figli la possibilità di studiare e praticare sport. La scuola non è l’attività preferita del piccolo Zlatan che trova invece nei campi di calcio la ragione di vita…fino a diventare un giovane campione e passare dal Malmo all’Ajax e poi alla Juventus… ed è a questo punto che la pellicola s’interrompe, dal momento che il resto è … “storia di successi” che ancora continua.
Chi si aspettava un docu-film sul famoso attaccante (uno che ha vinto quasi tutto nelle più prestigiose squadre del mondo di calcio) potrebbe rimanere deluso dalla pellicola di Sjogren, regista pubblicitario con al suo attivo diversi film in Svezia (mai distribuiti da noi). Il calciatore compare, in realtà, solo nei titoli di testa e di coda e in poche immagini di repertorio. Sono invece attori, anche molto espressivi, a interpretare il campione nelle diverse età della vita: bambino e giovinetto di belle speranze. Siamo quindi di fronte al “solito” film su uno sportivo (ma potrebbe essere una rock star) che parte da situazioni problematiche: ambiente, famiglia, scuola, coach, fidanzate, avversari per trovare, infine, la strada più congeniale ed esprimere il proprio innegabile talento. Personaggio non facile, poco incline a sottostare alle regole, l’esistenza del piccolo Zlatan, per come la racconta lui stesso nella sua biografia (Io, Ibra) e Sjogren in un racconto onesto seppure benevolo, non è stata una passeggiata, ma la forza interiore, la voglia di emergere, certamente il desiderio di riscatto sociale e naturalmente le sue doti ne hanno fatto il campione che tutti conoscono. I meriti del regista vanno ascritti a una narrazione sobria, a riprese di eventi sportivi (le partitelle fra ragazzi e poi quelle fra i team svedesi) assolutamente credibili, alla scelta degli attori protagonisti dai nomi impronunciabili (Granit Rushiti e Dominic A. Bajraktani) e dei loro comprimari (padre e madre del nostro) tutti perfetti nei rispettivi ruoli. E’ legittimo porsi una domanda: può interessare un pubblico vasto ed eterogeneo? Non saprei, ma ai giovani tifosi che conoscono e amano il calcio, certamente il film piacerà e credo anche per fanatismo/fideismo agli adulti tifosi di Juve, Inter e Milan, …che, da noi, non sono pochi. Altro è chiedersi se I Am Zlatan, sia un film da Festival o Festa del Cinema, e lì qualche dubbio rimane.
data di pubblicazione:21/10/2021

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