LIMONOV di Kirill Serebrennikov, 2024

LIMONOV di Kirill Serebrennikov, 2024

Come scrive Emmanuel Carrère nel suo fortunato romanzo: Limonov non è un personaggio inventato. Onestamente si fa fatica a crederlo vista la marea di avvenimenti che ha contraddistinto la vita di Eduard Limonov. Dopo un parto travagliato il film, liberamente tratto dal romanzo, è approdato sugli schermi del Festival di Cannes ed è ora nei nostri cinema.

Si accennava alle difficoltà incontrate nella trasposizione cinematografica della brillante opera di Carrère. Inizialmente il film doveva essere diretto da Saverio Costanzo, pare non in totale sintonia con l’ideologia del personaggio da trattare. Ecco allora intervenire, successivamente Pawel Pawlikowski, regista polacco già premio Oscar (Ida e Cold War) e infine Kirill Serebrennikov, film maker russo, dissidente, certamente più incline a una migliore comprensione e caratterizzazione del personaggio, della Russia (ancora URSS) e dei suoi concittadini. Non era certo facile condensare in poco più di due ore una trama e una personalità così eccentrica e magmatica. Serebrennikov ci riesce in buona misura, sposandone l’anima più irridente e trasgressiva, realizzando una pellicola visionaria, quasi punk, estetizzante ed eccessiva, ma per molti versi affascinante. Chi era Eduard Limonov, pseudonimo di Eduard Veniaminovic Savenko? Scrittore di romanzi fortemente auto-biografici e scandalosi, ma anche raffinato poeta, ladro e squattrinato nelle malfamate strade di New York (quelle sottolineate dai brani di Lou Reed) e maggiordomo di un ricco e influente personaggio. Perennemente alla ricerca di assicurazioni affettive anche promiscue (assai cruda e disturbante la sequenza di un rapporto gay tra il nostro e un barbone di colore). Politico rivoluzionario co- fondatore di un improbabile partito nazional-bolscevico (opportunamente messo a bando), guerrigliero nella guerra civile jugoslava al fianco dei Serbi, e troppo, troppo altro ancora. Il film ce lo presenta in molte di queste avventure ai confini tra il fallimento e il successo. Nel film, lo vediamo di seguito, esule dalla Russia, arrangiarsi in tutti modi nella Grande Mela, innamorato respinto, aspirante suicida, maggiordomo a Manhattan. Ancora scrittore di buon successo in Francia (in un caffè di Parigi c’è un cameo dello scrittore Carrère), rivoluzionario fallito pro e anti Putin, al suo ritorno nella Russia non più sovietica. Personaggio a suo modo consapevole della sua genialità e del clamore che la sua esperienza ha saputo suscitare in tutti i paesi che ha attraversato. Temperamento votato all’assoluto, in perenne contrasto con tutti e tutto, autodistruzione e appetiti sessuali voraci e tenerezza, tutto questo, Serebrennikov è riuscito a rappresentare sullo schermo a metà strada fra il visionario e il reale in situazioni che si ribaltano di continuo. Il registro scelto dal regista ha un ritmo serrato, quasi esasperato, e la narrazione è scandita da una splendida colonna sonora che ripercorre la storia del rock e del punk dei rispettivi paesi. Il film può dirsi riuscito per la capacità del regista di offrire non solo il ritratto di Limonov, ma anche una lucida panoramica del mondo, in primis, URSS, USA, Francia e nuova Russia, mostrandone anche gli aspetti più deteriori, con uno sguardo non ideologico. Detto dell’ottimo montaggio (Juriij Karich), della strepitosa colonna sonora (Sex Pistols e Lou Reed a gogò), la pellicola trova la completa realizzazione grazie alla straordinaria interpretazione di Ben Wishshaw, perfetto nel ruolo del “Bukowski” di Russia. Sorprende sapere che nessuna scena è stata girata a New York, ricostruita negli studios di Riga in Lettonia e pochissime in Russia per le divergenze intervenute fra il regista e Putin al momento dell’invasione dell’Ucraina.

Di minore rilevanza se non per chi scrive, il fatto che nel corso dell’edizione di “Più libri più Liberi” ho conosciuto personalmente Eduard Limonov, ormai nelle vesti di un tranquillo vecchio scrittore che amabilmente autografava i suoi libri.

data di pubblicazione:08/09/2024


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HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

Il passato della Frontiera Americana, a partire dal 1856. Tante storie intrecciate: coloni alla ricerca della Terra Promessa, nativi- nella specie- Apaches, in difesa dei territori dei loro padri, fuorilegge, cacciatori di scalpi, giacche azzurre, donne di poca virtù ed eroine indomite. Il tutto a comporre la prima parte di un affresco sull”innocenza e la violenza di terre ostili negli anni che precedono la Guerra Civile.

Terreno da sempre battuto con esiti altalenanti da attori e registi USA, il Western torna alle sue migliori origini in una eclatante produzione, grazie a Kevin Costner. L’attore e regista, già vincitore di sette premi Oscar col suo Balla coi Lupi, ha un’evidente predilezione e direi autentica passione per il genere. Lo testimoniano precedenti riusciti episodi del suo percorso artistico, su tutti, il suo già citato blockbuster del 1990, ma, seppure meno fortunati al botteghino, gli ottimi Wyatt Earp del 1994 e Open Range del 2003. Con Horizon però, Kostner si è giocato tanto (pare abbia ipotecato anche il suo ranch) per un progetto ambizioso e coraggioso. I risultati economici, ovviamente, prescindono da un discorso critico e, francamente, non ci riguardano. Da spettatori non possiamo che apprezzare lo straordinario spettacolo che ci viene offerto in 3 ore, emozionanti e mai noiose E siamo solo alla prima parte di una trilogia! Nel film c’è l’America delle origini, c’è il racconto del Sogno Americano che troppe volte si trasforma in incubo, c’è “la c.d. questione dei nativi”, affrontato in termini asettici, quindi senza retorica pro o contro. Torna, soprattutto, l’iconica tradizione dei grandi vecchi western del passato. Primo riferimento, anche per la costruzione del plot è certamente, La Conquista del West, anch’esso composto da più episodi che trovavano poi un loro denominatore comune. Ma anche altri grandi cult del passato sono affettuosamente citati: L’uomo che uccise Liberty Valance, Sentieri Selvaggi (vedi alcune inquadrature da interno verso l’esterno che richiamano il capolavoro fordiano), e ancora Il Grande Sentiero, o Gli Inesorabili (ricordato nella drammatica scena iniziale con il tetto della casa incendiato e gli Apaches pronti a irrompere).

Naturalmente la nuova regia di Costner non è solo una rilettura nostalgica dei film e dei registi che ha amato. La straordinaria produzione ha infatti permesso estetismi e locations di tutto rispetto: una fedeltà nei dettagli, quasi maniacale e una sceneggiature ricca e variegata che troverà naturale sviluppo nei successivi episodi, il secondo dei quali previsto per il prossimo 15 agosto. Bisogna dunque lasciarsi immergere in questo effluvio di straordinarie immagini, farsi catturare dalle storie (troppe dice qualcuno?), dal formidabile cast di attori messo a disposizione dalla produzione (Coster, Howard Kaplan e molti altri coraggiosi investitori). Tra i protagonisti, Costner nel ruolo di Hayes Ellison, un lupo solitario che si trova coinvolto in vicende rischiose, Sienna Miller, splendida madre di due figli tra dolori e amori, l’asciutto Sam Worthington, nel ruolo del tenentino progressista, Abbey Lee-Marigold, ragazza disinvolta dal cuore gentile, Luke Wilson nel ruolo del rude capo carovana. Impossibile citarli tutti. Plausi particolari, di certo, vanno al direttore della fotografia J.Michael Muro, allo scenografo R.Hill, e, dulcis in fundo, a John Debney, già premio Oscar, autore delle musiche classiche e possenti. La sceneggiatura se la dividono l’eclettico Cosner e Jon Baird. A loro va l’innegabile merito della gestione di una storia troppo grande per essere raccontata in un solo film, nonché di aver saputo costruire con rigore “ storico” un nuovo evento da immettere nel solco del Grande Cinema. Qualcuno ha osservato che, forse un tale intrico di storie poteva meglio trovare il suo naturale sfogo nelle serie TV, dove i tempi sono forzatamente più rilassati, ma, consiglio da cinefilo, credetemi, il grande schermo continua a mantenere il suo fascino e per un’impresa del genere ne rappresenta il medium più congruo e affascinante.

data di pubblicazione:05/07/2024


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RIPLEY serie in 8 episodi – NETFLIX, 2024

RIPLEY serie in 8 episodi – NETFLIX, 2024

Tom Ripley vaga senza meta e senza un vero lavoro nella New York dei primi anni 60. Si arrangia come può con piccoli imbrogli alla ricerca del colpo che potrebbe cambiargli la vita…La sua natura è inquieta ed è quella di un truffatore, ingegnoso, ma privo di scrupoli. Un incontro casuale con un investigatore e un equivoco gli offriranno la tanto attesa svolta.

Trattandosi dell’ennesima versione del primo e più famoso romanzo di Patricia Highsmith Il Talento di Mr.Ripley, la storia vi sarà certamente nota. Nel 1960, Renè Clèment portò sullo schermo, Delitto in Pieno Sole con Alain Delon, Maurice Ronet e Marie Laforèt. Nel 99, Anthony Minghella, girò un piccolo capolavoro, Il Talento di Mr.Ripley, liberamente tratto dal romanzo e splendidamente interpretato da Jude Law, Matt Damon e Gwyneth Paltrow. Per il cinema vennero girati in seguito altri episodi tratti dai romanzi della Highsmith, sempre incentrati sulla figura dell’inquietante Ripley.

In quasi sessanta anni, dunque, Tom Ripley ha assunto differenti incarnazioni a seconda della sensibilità dei registi e degli attori che si sono cimentati nella trasposizione del complesso thriller della scrittrice di Fort Worth. L’ultimo adattamento viene ora proposto dalla piattaforma Netflix, e va detto subito: si tratta di un prodotto di altissimo livello. La garanzia sull’affidabilità della serie, interamente girata in un affascinante bianconero nasce dallo script e dalla regia di Steven Zaillian e dalla fotografia di Robert Elswit ovvero due autentici fuoriclasse della moderna cinematografia. Il primo abituale frequentatore della Academy, vincitore nel ’94 dell’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale per, Schindler List e candidato in altre numerose occasioni (Risvegli,1991, Gangs of New York, 2003, The Irishman, 2020). Il secondo premio Oscar per Il Petroliere nel 2007. Riconosciuti i meriti autoriali, cerchiamo di spiegare perché questo, Ripley è una grande miniserie vicina alla perfezione stilistica e, in assoluto, tra le più belle mai viste. Evidente che la possibilità offerta dalla serialità di diluire e al tempo stesso approfondire la psicologia dei personaggi, rende, Ripley la versione più contigua al romanzo primigenio. Ed è in questo rigoroso alveo che Zaillian si è mosso, cercando nei limiti del possibile di essere il più aderente alle torbide atmosfere del bestseller della romanziera texana. Un noir che ha tutti i crismi del genere, sviluppato in otto episodi della durata di 45 minuti. Episodi che raccontano: una trama originale in continua evoluzione, persino nei momenti più statici, l’Italia degli anni 60, personaggi diversi e abilmente sfaccettati. La bellezza delle location mozzafiato, i paesini della costiera amalfitana, ma anche Roma, Napoli, Firenze, Sanremo, Venezia, la raffinatezza degli interni, la sobrietà degli attori, l’essenzialità dei dialoghi e su tutto una meravigliosa fotografia in B/N , rendono unica la serie. A voler cercare un difetto gli si potrebbe imputare un eccesso di formalismo a scapito della sostanza ma, vivaddio, ce ne fossero prodotti così curati in ogni dettaglio, Tutto funziona a meraviglia all’interno delle otto puntate che fanno presagire un necessario e auspicabile seguito nella prossima stagione. Nel perfetto ingranaggio, particolarmente azzeccati risultano gli attori e la colonna sonora a cura di Jeff Russo, arricchita dalle canzoni del tempo, quindi Mina, Celentano, Fred Buscaglione ,Roy Orbison e tanti altri.

Andrew Scott (Sherlock, Fleabag, Estranei) ha le cadenze giuste per Tom Ripley, ambiguo, spregevole e vulnerabile, al tempo stesso. Dickie Greenfield, l’amico, ammirato ed invidiato da Ripley perchè bello, ricco ed elegante non fa rimpiangere il Jude Law di Minghella ed è ben impersonato da Johnny Flynn, musicista, cantante e attore sudafricano, di belle speranze. Nel cast figurano in ruoli significativi Dakota Fenning, nei panni di Marge Sherwood, la sofisticata fidanzata di Dickie, prima a sospettare dell’ambiguità di Ripley. Diversi gli attori italiani presenti e ricordo, fra i tanti, Margherita Buy, nell’insolito ruolo di una scialba portinaia e il bravo Maurizio Lombardi, arguto e sospettoso poliziotto. Concludendo ci sono “N” ragioni per lasciarsi sedurre da Ripley, un piccolo capolavoro, una serie che molti critici suggeriscono di gustare, centellinandone ogni singolo frammento.

data di pubblicazione:02/05/2024

 

WESTERN 2024 … IN SERIE TV

WESTERN 2024 … IN SERIE TV

Film e serie ispirate al West, visibili in streaming. Ce n’è per tutti i gusti in TV e sulle diverse piattaforme. Ormai sostituiscono i cinema per ripensare e a volte arricchire un genere che conta ancora molti appassionati. Di seguito, una breve rassegna dei più significativi.

Forse non si può parlare di una novella consacrazione del genere, ma certamente, almeno in streaming, il western non è tramontato! Sappiamo tutti come il western sia sorto come genere cinematografico e come la sua evoluzione si sia sempre accompagnata a quella stessa del cinema. Possiamo dire citando, Andrè Bazin, uno dei critici cinematografici più influenti del secolo scorso, che il western è il solo genere le cui origini si confondono con quelle stesse del cinema. Oggi il tramite più immediato delle storie della frontiera è rappresentato dalle piattaforme in streaming, ovvero il caricamento audio e video attraverso internet. In perenne competizione fra loro, le varie, Netflix, Amazon Prime, Disney, Tim vision etc. in un universo in continua espansione, offrono film e soprattutto serie tv, teatro di storie segnate dalla presenza di uomini e donne forti e volitive in lotta col mondo circostante.Occorre dire che, rispetto alle trame dei capolavori di Ford, Hawks, Mann, il genere presenta una varietà e senz’altro maggiore aderenza alla realtà storica. Ne è un buon esempio, Lawmen- La storia di Bass Reeves (visibile su Paramount +) o anche, The English, mini serie con una intensa Emily Blunt. Continue sono poi le contaminazioni con l’horror o la fantascienza che, se ai puristi fanno storcere il naso, di contro avvicinano il genere alle giovani generazioni. Sul primo versante troviamo, Organ Trail di Michae Patrick Jann, vero e proprio corso di sopravvivenza nel Montana innevato del 1970. cui si sottopone la protagonista Abby Archer. Più incline alla fantascienza è invece la serie, Outer Range, già alla seconda stagione su Amazon Prime con Josh Brolin nella parte di un allevatore del Wyoming, coinvolto in una serie di misteri soprannaturali. Buona tensione ma, in verità, solo l’ambientazione è western!

In termini di suggerimenti assoluti, a detta dello scrivente, tocca segnalare il documentario, Lakota Nation vs United States (per pochi giorni anche al cinema) sullo scenario delle Black Hills e dei suoi nativi in lotta per riconquistare la terra sacra loro rubata in violazione di un trattato. In modo particolare vanno spese parole di elogio per la serie, 1883, prequel di Yellowstone, western moderno di Sky con Kevin Costner, ormai alla sua quinta stagione, certamente il miglior prodotto apparso nelle piattaforme. La serie segue le vicende,della famiglia di John Dutton che divenne in quell’anno proprietaria di vaste terre del Montana. Scritta e diretta da Taylor Sheridan, amico e sodale di Costner per cui ha sceneggiato,Yellowstone, serie di grandissimo successo, di cui rappresenta il prequel. Storia e interpreti sono perfettamente centrati, Sam Elliott (il capo carovana), Tim Mc Graw (John Dutton), Isabel May (la dolce e coraggiosa Elsa Dutton). Dieci puntate che ci raccontano frontiere infinite e pericolose, un west sporco e cattivo, ma anche tenero e suggestivo, all’interno di una trama di grande impatto. Lo stesso Sheridan ha poi scritto e diretto molte puntate di 1923, che in pratica prosegue negli anni a seguire le vicende della famiglia Dutton che trovano poi sviluppo nella serie, Yellowstone, ancora in attesa della sesta stagione… Per non farci mancare niente, anche lo /gli Spaghetti -western hanno trovato posto con una rivisitazione di Django, in un racconto diverso dal film, che si muove fra razzismo e redenzione con tanto di cameo di Franco Nero. Ancora più truce è la serie, That Dirty Black Bag, dove è facile intuire cosa ci sia nel sacco dello spietato bounty killer. Comunque c’è da divertirsi e non è finita perchè altre produzioni sono in arrivo…in attesa di Kevin Costner, l’ultimo westerner di Hollywood che si gioca tutto con il suo, Horizon, An American Saga, questa volta al cinema a giugno!

data di pubblicazione:30/05/2024

THE FALL GUY di David Leitch, 2024

THE FALL GUY di David Leitch, 2024

È ispirato, alla lontana, dall’omonima serie TV degli anni ’80, in Italia, Professione Pericolo. Si narra di un abile stuntman, Colt, cascatore, controfigura di un attore becero ma famoso, coinvolto in una serie di avventure, incredibilmente rischiose, nel tentativo di riconquistare la donna dei suoi sogni.

Come descrivere un ruolo professionale, fondamentale nei film di azione, renderlo personaggio simpatico e affascinante e al tempo stesso, parlare di se stessi? Lo sa bene David Leitch, uno che quel lavoro lo ha fatto per anni ed oggi, in qualità di regista, ne celebra il mito. Per la verità, è un po’ che il nostro si cimenta alla regia con risultati altalenanti (Atomic Blonde, Deadpool 2, Fast&Furious, discreti, John Wick, Bullet Train, buoni). Con The Fall Guy realizza certamente il suo miglior film. Una pellicola, occorre dirlo, che può dividere spettatori e pubblico in quanto ha il pregio/difetto di accarezzare più generi che si confondono, direi volutamente, fra loro. È un action movie? Si! E dei più scanzonati e movimentati. È un film sul cinema? Certamente si! È un Thriller? In buona parte. Ma è anche una commedia sentimentale? Certo! Ecco allora che il coacervo che ne viene fuori potrebbe far pensare o a un esagerato guazzabuglio o a uno spettacolo globale, a seconda dell’approccio personale. Onestamente ho trovato The Fall Guy estremamente dinamico, ironico, divertente, adrenalinico. Ricco di spunti scoppiettanti in tutti i sensi (c’è il record di otto scappottamenti di un auto, al cinema mai visto prima!), di gags brillanti, di scene mozzafiato, di continue citazioni da cinefili, di attori in gran forma. In buona sostanza, un mix di situazioni un riuscito pastiche, che finisce per coinvolgere lo spettatore., pur con qualche inevitabile pausa. La trama è semplice, ma ben articolata. Il protagonista Colt Seavers, uno straordinario Ryan Gosling, è uno stuntman che dopo un incidente imprevisto, non lavorerà per diciotto mesi. Si allontanerà dalla dolce fidanzata Jody (Emily Blunt, finalmente in un ruolo brillante), divenuta nel mentre regista a pieno titolo di un rozzo film di fantascienza che si gira a Sidney. Mi fermo qui perché succede di tutto e di più al ritorno di Colt, controfigura del bolso protagonista del film in lavorazione. Ci saranno complotti, rocamboleschi inseguimenti (nelle strade di Sydney e nel mare di fronte alla Opera House), voli surreali, botte da orbi (picchiano duro anche le girls) e scene che neanche James Bond o Mission Impossible…! La narrazione, spettacolare come non mai, è però sempre intrisa di ironia alleggerita da siparietti rosa e da una celata critica allo star system hollywoodiano.

Altro merito, non da poco, l’assenza inconsueta di volgarità, cosi come la presenza di una robusta e variegata colonna sonora. Dunque, non di capolavoro trattasi, ma certamente di un onesto spettacolo per tutti, in linea col concetto di un divertimento costato solo 130 milioni di dollari, come solo il buon cinema sa offrire. Un film che anche nel post- finale rende omaggio agli stuntmen, figure spesso misconosciute ma essenziali, per la buona riuscita dei film d’azione. Proprio come quel David Leitch degli inizi, oggi affermato regista.

data di pubblicazione:2/05/2024


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