TONYA di  Craig Gillespie, 2018

TONYA di Craig Gillespie, 2018

Tonya è il ritratto di una giovane pattinatrice della provincia americana, protagonista di uno degli scandali sportivi più controversi degli anni ‘90, tratteggiato attraverso il controverso rapporto con un marito violento ed una madre opprimente e crudele che, sin dall’infanzia, le inculca l’ossessione per pattinaggio. La deriva di una brillantissima carriera drammaticamente annunciata.

Di indubbia presa Tonya, film del talentuoso regista australiano Craig Gillespie, classe1967, già apprezzato nel 2007 per Lars e una Ragazza tutta Sua, che qui è alle prese con un tema assai caro alle produzioni USA: il successo nello sport ad ogni costo. Per l’esattezza la disciplina è lo skating, da noi pattinaggio sul ghiaccio, e la storia racconta la drammatica vicenda di Tonya Harding, ottima pattinatrice statunitense sbattuta sui media prima per le sue grandi qualità per essere stata la prima ad eseguire il triplo salto Axel, uno dei più acrobatici del pattinaggio di figura sul ghiaccio, ed in seguito perché ritenuta corresponsabile dell’aggressione alla sua rivale Nancy Kerrigan, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Lillehammer.

La pellicola, un biopic ma sulla falsariga di un docu-film grazie ad interviste e flashback abilmente montati, ripercorre la vicenda di Tonya ancora piccolissima nelle mani di una madre ossessiva e sboccata che la vuole numero uno al mondo e, appena talentuosa quindicenne, in un tormentato rapporto col fidanzato e poi marito Jeff Gillooly. Punteggiata da momenti memorabili come alcune scene sulle prestazioni sportive, e da lampi di recitazione di altissimo livello della bravissima protagonista, l’australiana Margot Robbie, ma anche di Allison Janney miglior attrice non protagonista agli Oscar 2018 nel ruolo della terribile madre Lavona, la pellicola è una appassionante denuncia contro lo sport vissuto in modo totalizzante, una magnifica prova d’autore dove tutto funziona al meglio, dagli attori alla regia, dall’ambientazione alla colonna sonora, con memorabili brani che spaziano dai Dire Straits ai Bee Gees.

data di pubblicazione:28/03/2018


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HOSTILES di Scott Cooper, 2018

HOSTILES di Scott Cooper, 2018

Presentato in anteprima al Telluride Film Festival, apprezzato come film di apertura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, Hostiles rappresenta il malinconico ultimo viaggio del capo Cheyenne Falco Giallo, ormai malato di cancro, scortato dal capitano Joe Blocker su incarico dello stesso Presidente degli Stati Uniti. Durante il trasferimento accadrà di tutto, fra ostacoli naturali, nemici bianchi & pellerossa ostili, fantasmi del passato. Il racconto si apre con un pensiero di D.H.Lawrence: nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita.” Anche di questo parla il film!

Diciamolo subito: non dovete aspettarvi un western adrenalitico, ricco di indiani e sparatorie (che pure non mancano, alternate a lunghe pause). Con Hostiles, siamo sul versante del “crepuscolo del West “ in salsa “revisionista”. È una importante e non banale pellicola su quella pagina della storia  americana che esplora il difficile rapporto fra  i bianchi, vincitori (esercito, coloni, affaristi)  e  i nativi (le diverse tribù della grande nazione indiana), sconfitti dalla guerra, dalle malattie, dal … progresso. La struttura del film non è però quella di un documentario, bensì la tragica rappresentazione di un lungo straziante ma avvincente viaggio durante il quale tutti i personaggi coinvolti sono splendidamente disegnati e approfonditi. Un film, principalmente, di paesaggi, di attori, di atmosfere.  Rosalie Quaid (un’intensa Rosamund Pike) è la giovane madre che vede, nella drammatica scena di apertura, trucidata la sua famiglia nell’attacco alla sua fattoria da un manipolo di Comanche, ladri di cavalli. I suoi silenzi, il suo odio represso, il desiderio di vendetta, la dolcezza e il perdono sono tutte facce della stessa medaglia e la Pike, candidata all’Oscar le ha rese in modo impeccabile. Altro personaggio imprescindibile è il capitano Joseph Blocker (Chrisian Bale, baffuto e imperscrutabile) un ufficiale che ha partecipato al massacro di Wounded Knee, certamente non incline a rapporti idilliaci con i pellerossa, ma che da soldato accetta comunque  un incarico che va contro tutto quello in cui aveva precedentemente  creduto. L’attore inglese, taciturno e indurito dal passato rende convincente la lotta interiore e il passaggio dall’odio alla pacificazione con gli indiani che scorta. Con poche parole, ma con il suo innegabile carisma, Falco Giallo (Wes Studi) affronta con dignità e umiltà il suo ultimo viaggio e, nelle occasioni “ ostili” ha coraggio e persino empatia verso i suoi oppressori, mostrando loro che a volte le diversità fra le genti sono solo apparenti. Il gruppo tutto, infatti, unito nelle avversità farà scudo: i soldati impareranno a fidarsi dei “prigionieri” indiani (la famiglia di Falco Giallo), Rosalie adotterà la piccola indiana, unica sopravvissuta dopo l’estenuante odissea e, lo stesso Blocker renderà onore al capo morente e, nella scena finale, ormai in borghese, prenderà lo stesso treno di Rosalie, diretta a Chicago, per un sottile e non esplicito happy end.

Hostiles, per montaggio e inquadratura, da apprezzare in pieno su grande schermo è, oltre un drammatico e avvincente spettacolo di oltre due ore, anche una risposta che il regista vuole offrire a un Paese che oggi come allora erge frontiere e muri invece che cercare dialogo con le diversità e sceglie la frontiera americana, magnificamente fotografata da Masanobu Takayanagi, per attualizzare temi quali tolleranza e perdono. L’operazione può dirsi riuscita a pieno.

data di pubblicazione:25/03/2018


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THE DISASTER ARTIST di James Franco, 2018

THE DISASTER ARTIST di James Franco, 2018

Greg (Dave Franco), aspirante attore, rimane colpito dalla carica emotiva di un tipo alquanto bizzarro di nome Johnny Wiseau (James Franco). I due diventeranno amici e con reciproco entusiasmo e mezzi economici di incerta provenienza, partiranno per cercare fortuna a Hollywood, coltivando il sogno di realizzare un film.

Non tutto andrà, però, nel verso giusto, anche se, dopo alterne vicende l’idea folle di The Room si attuerà con esiti diversi da quelli sognati: il film scritto diretto interpretato e prodotto da Tommy, passerà infatti alla cronaca e sarà ricordato come il film- più brutto- della -storia-del cinema.

 A James Franco manca solo di presentare il Festival di Sanremo, dopo di che potrà dire a se stesso e al mondo di aver provato e fatto di tutto. Culturalmente onnivoro: spazia tra cinema (attore, producer, sceneggiatore, regista), letteratura (la raccolta di poesie Directing Herbert White), TV e musica, testimonial di Gucci, piuttosto alternativo nelle scelte esistenziali, è incappato di recente nella “sindrome Weinstein”, quando con il suo Disaster Artist veleggiava spedito verso gli Oscar tradito da accuse a suo carico di comportamenti sessuali inappropriati.

La tragicomica genesi di The Room ha finito con l’accumunare accanto a quello del suo autore, lo sciroccato Wiseau, anche James, qui regista e attore, in una immeritata mezza debàcle. Occorre invece dirlo che il giovane Franco, al di là di un ego spaventoso, ha certamente diverse frecce all’arco del suo innegabile talento.

La pellicola di cui si tratta ha ricevuto stroncature forse più legate a fatti emozionali, ma anche plausi e riconoscimenti. Si tratta, infatti, di uno dei suoi migliori lavori, già premiato ai Golden Globes, e pur trattando ancora una volta il tema del cinema che racconta il cinema (tanto per cambiare il film è tratto da Una Storia Vera, altra costante della cinematografia USA), la pellicola ha un suo perché.

Non siamo dalle parti di Effetto Notte di Truffaut e nemmeno di 8 e ½ di Fellini, semmai possiamo pensare a Ed Wood di Tim Burton, ma The Disaster Artist è un making of paradossale con momenti interessanti, divertenti e drammatici e si avvale di buone interpretazioni e azzeccate caratterizzazioni. Il Tommy Wiseau è indubbiamente un personaggio e le sue insicurezze e follie, oltre al suo inquietante accento (nel doppiaggio orientato verso una parlata con intonazione “slava”) sono nelle corde di James Franco, in sintonia e in gara con l’ottima prova del fratellino Dave, succube dell’amico “disastroso”. Il limite è forse nel continuo ondeggiare fra dramma e commedia, senza optare per un solo registro, salvo pensare che sia proprio questa la strada scelta dell’ecclettico regista.

Tratto da un romanzo di Greg Sestero e Tom Bissel, ben fotografato e sorretto da una buona colonna sonora, il film mette a fuoco assurdità e misteri dell’industria cinematografica e risulta in ultima sintesi un film godibile seppure con qualche riserva. Nei titoli di coda appare il vero Tommy Wiseau e si legge che ad oggi, The Room è oggetto di un piccolo culto, con lo stesso Tommy che gira il mondo per proiezioni speciali (l’ultimo dell’anno in particolare) in cui cavalca, ormai, l’ironia involontaria e non prevista dal suo iniziale progetto.

data di pubblicazione:11/02/2018


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VINCENT VAN GOGH – L’ODORE ASSORDANTE DEL BIANCO di Stefano Massini

VINCENT VAN GOGH – L’ODORE ASSORDANTE DEL BIANCO di Stefano Massini

(Teatro Eliseo – Roma, 13 febbraio/4 marzo 2018)

Mettete lo scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale, più in voga del momento, Stefano Massini da Firenze, unitelo a un attore  bello&bravo, Alessandro Preziosi, aggiungete  uno dei miti  per eccellenza dell’arte, quel genio “pazzerello” di Vincent Van Gogh, mescolate il tutto e non potrete che ottenere una rappresentazione teatrale “ibrida” di assoluto rilievo.

Queste, in sintesi, le credenziali per L’Odore Assordante del Bianco, di Stefano Massini, ultima sua avventura drammaturgica, rappresentata da ieri ( 13 febbraio)  all’Eliseo di Roma, per la  regia di Alessandro Maggi e l’interpretazione di Preziosi , nei panni del tormentato artista, spiato nella quotidianità del manicomio di Saint Point. Lo spettacolo è incentrato sul periodo (1889), quando Vincent riceve (?) la visita del fratello Theo nel quale ripone in primis la speranza di essere rilasciato in base al “codice 5”, una sorta di salvacondotto che solo il fratello potrebbe firmare. La realtà sarà ben diversa e nel suo temporaneo isolamento l’artista, tormentato e imprevedibile nelle sue reazioni,  confonderà  di continuo realtà e fantasie, ed al contempo sarà vittima dei soprusi degli infermieri e di uno psichiatra-aguzzino, con la sola protezione del direttore dell’istituto che avrebbe voluto  salvarlo restituendogli le tele su cui dipingere. Al testo di Massini fu riconosciuto il Premio  Riccione Teatro 2005; in quella occasione  la giuria del Premio Tondelli, così si era  espressa a riguardo: «Scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva».E di questo si tratta: la rappresentazione teatrale è una sferzata di emozioni, quasi un thriller o se vogliamo  una seduta psicologica che tiene incollati gli spettatori per quasi un’ora e venti nella stanza dove  non c’è  altro colore che bianco e una piantina anch’essa bianca, insieme a Van Gogh nel suo viaggio nella zona oscura,  fra speranze, allucinazioni, realtà. Nelle parole del protagonista, in rigoroso ordine sparso, ci sono ricordi, eventi, considerazioni sul ruolo dell’arte e degli artisti, con riferimenti non solo al suo tempo, ma più in generale alla società contemporanea. Ai meriti della proposta e all’ottimo risultato della performance non sono estranei  la magnifica interpretazione di Preziosi-Van Gogh, sobriamente intenso nel suo crescendo emotivo, e degli altri bravi interpreti: Massimo Nicolini-Theo, Francesco Biscione-Dottor Peyron, Roberto Manzi-Dottor Vernon-Lazare, nonché i due perfidi infermieri, Alessio Genchi e Vincenzo Zampa. Alessandro Maggi alla regia e un commento musicale in linea con la tensione narrativa suggellano una prima teatrale di grande impatto.

data di pubblicazione:14/02/2018


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THE PARTY di Sally Potter, 2018

THE PARTY di Sally Potter, 2018

Passato per la Festa del Cinema di Roma, dopo essere stato presentato in concorso alla 67ª edizione del Festival di Berlino dove si era aggiudicato il Guild Film Prize, The Party è un film di impostazione teatrale  scritto e diretto da Sally Potter (Orlando, Lezioni di Tango, tanto per citare i più noti).

 

In un asciutto bianco nero, la trama si snoda in 71 minuti nei quali i protagonisti (sette persone) trasformano una festa tra amici per festeggiare la promozione della padrona di casa (nominata ministro della salute “ombra” del partito di opposizione in Inghilterra) in una polveriera dopo che Bill, malandato padrone di casa (uno splendido Timothy Spall), confessa la sua  relazione con la moglie di un ospite, rivelazione che spiazza i presenti e che fa esplodere conflitti e tensioni in un crescente effetto domino. Non una rappresentazione di immediata e facile fruizione, direi quindi, non un film per tutti, ma la bravura degli attori (l’intensa Kristin Scott Thomas, Bruno Ganz, il già citato Timothy Spall,  e Patricia Clarkson su tutti), i dialoghi scoppiettanti e mai banali, l’imprevedibilità e il susseguirsi dei colpi di scena, sono ingredienti tali da interessare e coinvolgere spettatori dai palati fini. Bugie, vecchi segreti, ipocrisie all’interno di un contesto apparentemente politicamente corretto, offrono lo spunto alla Potter per un’amara rappresentazione della società inglese nello specifico ma, più in generale, sulla fragilità dei rapporti umani e sulle  tante convinzioni che quotidianamente la vita tende a minare.

data di pubblicazione:13/02/2018


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