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OMBRE ROSSE di John Ford – USA, 1939

OMBRE ROSSE di John Ford – USA, 1939

Un variegato gruppo di persone si mette in viaggio su una diligenza che va da Tonto a Lordsburg. Sulla strada ci sono gli Apaches di Geronimo. Ognuno dei componenti, più Ringo che è salito durante il tragitto, ha buone ragioni per raggiungere la meta. Non tutti ce la faranno, ma John Ford avrà diretto il più famoso western di tutti i tempi.

Anche i più autorevoli e severi critici del mondo hanno dovuto riconoscere che, Stagecoach, da noi, una tantum, sapientemente re-intitolato Ombre Rosse, è uno dei film più importanti di tutta la storia del Cinema. Il capolavoro assoluto, di un Maestro, quale è stato John Ford, certamente il più grande “westerner” di sempre. Un Titano, personaggio e uomo, immensi allo stesso tempo. Alla domanda di Peter Bogdanovich su chi fosse e se si sentisse onorato di essere considerato un grande cineasta rispose, umilmente: mi chiamo, John Ford e faccio western! A proposito dei film sull’ovest americano, appunto, il West, per anni è circolata la falsa e banale affermazione che si trattasse di mero intrattenimento, robe di sparatorie e cavalli, cow boys e indiani.

Considerazioni banalmente contenutistiche avevano isolato il genere in una sorta di ghetto culturale, privilegiando invece opere che spesso avevano il solo merito di trattare rozzamente temi civili e politici; rozzamente, perché spesso tali opere erano prive di qualsiasi spessore , mancavano di quella ambiguità, di quella polivalenza di significato, di quella fresca inventiva che, da sempre, sono i connotati del grande cinema. Poi arrivò Andrè Bazin, riconosciuto come uno dei più autorevoli critici cinematografici di ogni tempo e dove e le cose, allora, cambiarono…Più o meno le sue considerazioni furono che il western era il solo genere cinematografico le cui origini si confondevano con quelle del cinema. Esso, pur subendo continuamente influenze estranee (quelle del romanzo giallo, della letteratura poliziesca o delle preoccupazioni sociali contingenti, etc) ha resistito imperterrito, e, citando sempre Bazin, si può dire che queste contaminazioni hanno operato su di esso come un vaccino. Dato al Western il giusto riconoscimento e dovendo eleggere a campione del genere un solo film a testimonianza della sua eterna giovinezza, fra i tanti capolavori (anche di Hawks, Mann, Walsh…) la scelta non poteva che cadere su Ombre Rosse di John Ford. Anni fa, Tullio Kezich in un articolo sulla Repubblica, accostava il film alla Divina Commedia, per l’universalità dei temi, i panorami, la drammaticità degli schemi, la sfaccettatura dei personaggi, concludendo che in Dante c’era tutto e così in Ford. Chiaramente, una simpatica provocazione: certo che John Ford non è Dante ma anche vero che su quella diligenza c’era già molto della storia del cinema… Più umilmente, ma tornando al film tout court, aggiungerei fra i pregi di Ombre Rosse e in generale del cinema di Ford, vanno indicati,- l’efficacia del montaggio ( basterebbe la scena in cui il telegrafista dice: la linea si è interrotta…l’ultima parola era:…Geronimo!), -la preziosità della fotografia (per la prima volta la maestosità della Monument Valley ),- la bravura degli attori: l’allora semi sconosciuto John Wayne (Ringo Kid, fortemente voluto da Ford al posto di Gary Cooper che piaceva ai produttori ), Claire Trevor ( Dallas, prostituta dai buoni sentimenti), John Carradine ( Hartfield, il gentiluomo del Sud, memorabile la sua ultima frase, prima di morire: quando vedrete il giudice Greenfield…), ma anche Thomas Mitchell ( il dottor Boone, sensibile alla bottiglia ma ricco di umanità).Sono, inoltre, talmente puntuali, e mai scontate, tutte le caratterizzazioni che tutti altri attori comprimari meriterebbero la citazione. Il film non ve lo racconto, ma confidando che almeno una volta (magari non al cinema ma in TV) tutti abbiano visto (Paolo Conte diceva che “le donne non amano i western, come il Jazz…”), riferisco solo che all’origine, l’idea dello script c’era una novella di Maupassant, Palla di Sego (un banchiere può valere meno di una prostituta!), traslata in un romanzetto western, La Diligenza per Lordsburg di Ernest Haycox pubblicato nel 37. “E’ una buona trama!” disse Ford e così ne fece la trasposizione cinematografica.

Nell’ultima inquadratura (Ringo e Dallas, autorizzati dallo sceriffo fuggono verso il Messico) il buon doc commenta:” così si sono salvati tutti e due dalle delizie della civiltà…!”

Io, ragazzino, dopo oltre un’ora e mezza immerso nella penombra di un cinema di Matera (con mio nonno, credo) guardavo lo spettacolo della vita umana ridotta a un microcosmo avventuroso. Ancora oggi, ricordando i destini di quei cari personaggi con la palpitazione della prima volta so che quel film mi avrebbe assorbito per tutta la vita!

data di pubblicazione:14/11/2020

PETRA – serie tv su Sky Atlantic 4 episodi

PETRA – serie tv su Sky Atlantic 4 episodi

Petra Delicato, e non Delicado, nella disinvolta versione italica (?), ex avvocato di successo, è un ispettore della squadra mobile di Genova, originaria di Roma sud, antisentimentale, solitaria con un fondo populista, dopo un periodo trascorso a lavorare in archivio viene spostata al settore operativo. Al suo fianco, il vice ispettore Antonio Monte, veneto, vedovo, uomo di vecchio stampo, alquanto disilluso. Insieme indagheranno su quattro casi decisamente scabrosi. Dopo iniziali reciproche divergenze di carattere e di metodo, Petra e Antonio raggiungeranno il giusto equilibrio e formeranno una coppia investigativa caratterizzata da una rara alchimia. Questo il succo della serie, diretta da Maria Sole e Tognazzi e prodotta da Sky

Il commento varia a seconda dei destinatari.

Quanti hanno seguito in TV i quattro episodi (non a caso tratti dai primi quattro romanzi di Alicia Gimenez-Bartlett), senza averne letto i libri, forse hanno trovato accettabili e persino “carine” le indagini della giovane Ispettrice come pure l’ideazione in salsa ligure. Diversamente i lettori di Petra Delicado, da Barcellona (fra cui il sottoscritto), non possono che dolersi della trasposizione a Genova e financo della scelta se non della interpretazione della pur volenterosa Cortellesi, troppo diversa dalla descrizione che ne fa originariamente la scrittrice catalana. Sorge spontaneo, allora, chiedersi che necessità ci fosse di trasferire da Barcellona a Genova una storia, una saga di 11 romanzi, tanto intrisi di cultura non solo ispanica, ma, decisamente catalana. Naturalmente tutto ciò è avvenuto con l’esplicito assenso della Gimenez-Bartlett, ma, senza pensare male, sappiamo delle capacità di convincimento dei grossi network televisivi e quindi poco ci sorprendiamo. Riepilogando, non stiamo dicendo che i quattro episodi siano da distruggere in toto: sarebbe impossibile considerata la maestria dello script originale, ma, a costo di ripeterci, una Petra, romana, così tanto legata ai tic e ai caratteri della Cortellesi poco si adattava alla più marcata e navigata figura della Petra Delicado con la “d” originale. Bene, invece, il co-protagonista che a Barcellona si chiama Fermin Garzon e che qui diventa Antonio Monte. Affidato al bravo Andrea Pennacchi (il Poiana di Propaganda Live) il personaggio ricalca abbastanza fedelmente lo stanco vice dei gialli della Bartlett caratterizzandolo in modo esemplare. Comunque, in qualche modo, le storie reggono, i due non elaborano troppo nel cercare le soluzioni degli enigmi e pur senza avere il physique du ròle dei grandi investigatori, fra una birretta e un bicchiere di vino, portano a casa le soluzioni. Come in tutte le produzioni seriali, belle riprese dall’alto di Genova e di Roma (nel quarto episodio), colonna sonora ricercata e qualche siparietto divertente, connotano il tutto. Considerando che i romanzi della Bartlett sono undici e che ne sono stati realizzati solo i primi quattro non possiamo che attenderci il proseguimento della serie. Serie che, per ora, è visibile su Sky, anche on demand.

data di pubblicazione:07/10/2020

MISTERY TRAIN – Un viaggio nell’immaginario americano, di Alessandro Portelli alla Cavea Auditorium di Roma

MISTERY TRAIN – Un viaggio nell’immaginario americano, di Alessandro Portelli alla Cavea Auditorium di Roma

In un Auditorium, necessariamente a ranghi ridotti, ma alla presenza di un pubblico competente e caloroso, lo scorso 6 settembre ci è stato regalato un riuscito mix di parole&canzoni&musica&poesia con l’idea di partenza del treno, chiara metafora delle tante facce degli USA.

A guidare il simpatico drappello Alessandro Portelli, americanista, profondo conoscitore e da anni frequentatore della letteratura e della tradizione musicale americana. Così, in poco meno di due ore, partendo da un evento storico, la costruzione delle ferrovie, che avrebbe cambiato le sorti del paese e di tante persone (i capitalisti ,gli operai, i neri, gli indiani) e attraverso la mediazione di letture (Whitman, Emerson, Thoreau, Tom DeLillo) e canzoni (i gospels, i blues, le ballate di Woody Guthrie, Johnny Cash, ma anche Elvis, Springsteen e Tom Waits) i “nostri” hanno deliziato e incuriosito la platea. Una lezione di storia in musica, promossa dalla casa editrice Laterza con la collaborazione del Circolo Gianni Bosio, affidata a collaudati interpreti e giovani talentuosi. Un viaggio che ci ha condotto nei paesaggi western dell’America di metà’800, con il treno che si fa strada portando con sé lo sfruttamento e la sofferenza degli operai della ferrovia, il viaggio dei tanti hobos alla ricerca della “promised land”, la rivoluzione industriale e la nascita del grande capitalismo, ma anche il declino del treno a vantaggio dei trucks e di quelli che noi chiamiamo Pullman. Così, le parole di Alessandro Portelli, hanno trovato eco nelle letture di brani di importanti scrittori, ben interpretate da Margherita Laterza e nelle canzoni magistralmente cantate da Gabriele Amalfitano ben spalleggiato ancora da Margherita (sorprendente voce soprano) e dal puntuale Matteo Portelli, efficace poli strumentista. Dunque, con il treno a far da filo conduttore tante cose accadono durante, Mistery Train e sulla scena tutto fila a meraviglia, fra nostalgia, rabbia, mito di un paese che non è solo quello che appare, ma che ha a che fare con l’immaginario di ciascuno di noi. Lo spettacolo verrà replicato in diverse città ed è comunque ascoltabile gratuitamente su molte piattaforme di streaming. Vale la pena recuperarlo.

data di pubblicazione:11/09/2020

L’ENIGMA DELLA CAMERA 622 di Joel Dicker – ed. La Nave di Teseo

L’ENIGMA DELLA CAMERA 622 di Joel Dicker – ed. La Nave di Teseo

Predestinato a primeggiare nelle classifiche dei libri più venduti in tutto il mondo è in libreria il nuovo romanzo del giovane talentuoso e fortunato autore svizzero. Ma qualcosa non va…

“Quando si vuole veramente credere a qualcosa, si vede solo quello che si vuole vedere”. Così nella quarta di copertina del nuovo robusto (632 pagine) romanzo dello scrittore ginevrino, autore di alcuni dei più clamorosi casi editoriali degli ultimi anni. Si potrebbe dire che dopo qualche iniziale difficoltà a farsi pubblicare (è lui stesso a raccontarcelo) non abbia mai sbagliato un colpo. La Verità sul caso Harry Quebert (2013), fu un successo planetario, ma anche i successivi, Il Libro dei Baltimore (2016) e La Scomparsa di Stephanie Mailer (2018) furono “best seller”, probabilmente a ragione.

Dickert ha la capacità di costruire ingranaggi quasi perfetti, sa descrivere i personaggi, sa muoversi, come il più scaltro e consumato dei registi, su piani temporali diversi, passato e presente, romanzo nel romanzo, cambi di ritmo continui che intrigano lettori di ogni latitudine. Evidente, quindi, che ogni sua novità venga accolta con entusiasmo. E’ accaduto, sta puntualmente accadendo, anche con, L’Enigma della camera 622 (già il più venduto in Italia e Francia), comprato a scatola chiusa e inevitabilmente destinato al successo.

Confesso di essermi entusiasmato per i precedenti romanzi di Dickert, ho giudicato La Scomparsa di Stephanie Mailer il suo migliore, ma…de gustibus…, mi sono pertanto fiondato nella lettura del suo ultimo robusto e complesso enigma. Aggiungo che fino a pagina 470 circa, quasi tutto è filato, as usual, a meraviglia. Il “quasi” è legato a un certo fastidio legato ad una certa ostentazione dell’autore nel raccontarsi romanziere di successo, ma, ci può stare. Come sempre, tutto procedeva a meraviglia”: c’era una storia, un delitto, un ambiente, meticolosamente descritto, personaggi dalla doppiezza giusta, c’era un Lui con l’aiuto di una Lei a investigare. Poi, qualcosa si è inceppato… Volutamente non vi sto raccontando la trama per due ragioni, primo perché è comunque “un giallo”, secondo perché dalla pagina che indicavo la trama subisce uno scarto improvviso (in negativo) che a mio giudizio porta il racconto dalle parti del Diabolik delle ottime sorelle Giussani…e non aggiungo altro. Magari non tutti troveranno scellerato “il colpo di teatro” dell’autore come il sottoscritto, ma, onestamente, tutto l’andamento finale del racconto è, diciamo, un tantino sopra le righe. Lascio ai lettori l’ardua sentenza e mi aspetto una versione cinematografica o seriale come da copione.

data di pubblicazione:3/07/2020

DIAVOLI serie tv Sky 2020

DIAVOLI serie tv Sky 2020

Nella City del 2011, Massimo Ruggero è l’emergente della finanza: lavora per la NYLB di Londra, il cui CEO ,Dominic Morgan è considerato il drago planetario degli Hedge fund, in grado , per la sua spregiudicatezza nell’alta finanza di sconvolgere persino i destini di alcuni paesi. Fra finzione e realtà, nell’arco di 10 episodi, i diavoli della finanza si affrontano senza respiro…

 

 

L’inizio è dei migliori, il Ceo, Dominic Morgan (un viscido, ma fascinoso, Patrick Dempsey) spiega ai propri dipendenti l’essenza della finanza, ricorrendo a una storiella raccontata dallo scrittore David Foster Wallace nel suo discorso ai laureandi del Kenyon Collage. La metafora è che la finanza è invisibile e inodore come l’acqua per i pesci, ma le sue conseguenze possono condizionare ogni momento delle nostre esistenze. La fiction, deriva da un libro di successo di Guido Maria Brera, dal titolo I Diavoli, uno che ha conosciuto di persona le dinamiche “dell’ambientino”. Pur in una confezione eccessivamente patinata, tipica delle produzioni, ad alto budget, vengono mostrati gli inganni della finanza, ora con espliciti riferimenti alle reali crisi economiche di quegli anni, ora con avventure decisamente più romanzate, tra il thriller e la spy story. Al grande pubblico e alle gentili signore lo spettacolo è piaciuto: i due protagonisti maschili, Dempsey (il cattivo Morgan) e il nostro Alessandro Borghi (il meno cattivo, ma ombroso Massimo Ruggero) si sono divisi equamente il gradimento del gentil sesso. Le figure femminili, sono state affidate alla sofferente Signora Morgan, (una smunta Kasia Smutniak, da massimo due espressioni) e a Eleonor Burg (la longilinea Pia Mecher), fidata collaboratrice di Ruggero. La dolce anarchica, Sofia Flores, è interpretata da una spontanea, Laia Costa in un ruolo significativo di vera co-protagonista. La storia che non racconto, ma che sintetizzo, ricca di tradimenti, omicidi, pentimenti and so on, si muove al tempo della terribile crisi dell’Euro che coinvolse i così detti “paesi Piigs”, ovvero Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, e che costò sangue, sudore e lacrime a tanta gente. A gestire le dieci puntate, in verità, un po’ discontinue tra loro, due registi, Nick Hurran e Jan Maria Michelini. Come accennavo, la produzione non si è fatta mancare niente: scene credibili, per lo più, londinesi, ma non manca la piacevole parentesi di Cetara, monitor giganti, fuoriserie, ragazze da urlo; tutto in linea con altri prodotti similari (stile,1992,1994). Certo, vedere i filmati dei disordini seguiti al fallimento dei Tango Bond argentini, o quelli della Grecia, “massacrata” dalla Troika o, l’attacco speculativo all’Italia, con l’aria che tira, qualche perplessità la suscitano.

In definitiva una fiction popolare su splendori e miserie morali della losca finanza.

data di pubblicazione:15/05/2020