da Giovanni M. Ripoli | Nov 20, 2024
(Museo Nazionale del Cinema di Torino)
Ci sono innumerevoli motivi per un salto a Torino, assurta nei giorni scorsi a capitale del tennis mondiale. Ovviamente la bellezza della città, culla del Liberty, il Museo Egizio, le sue raffinate pasticcerie e certamente la Mole Antonelliana, da anni Museo del Cinema, autentico must per appassionati della c.d. settima arte, grandi e piccini.
Attualmente sono in corso nella struttura due interessanti mostre. La prima si può ammirare percorrendo le suggestive rampe verso la volta, Movie Icons con 117 oggetti originali di scena fra costumi, memorabilia, locandine, provenienti da alcuni dei set di Hollywood. Come spiega l’esaustivo catalogo ad hoc, “oltre ai personaggi e alle azioni, un film è anche fatto di oggetti”. E su questi si concentra il percorso da cinefili, ricco di quei riferimenti che connotano le più note produzioni cinematografiche. Cito a caso,il cappello e la frusta di Indiana Jones, la bacchetta magica di Harry Potter, le divise di Star Wars, i costumi dei super eroi Marvel, la piuma di Forrest Gump, direte, feticci, ma alla fine non sono quei dettagli che valorizzano i film e restano nella memoria collettiva? Movie Icons, è dunque un viaggio che attraversa il cinema hollywoodiano degli ultimi quarant’anni. Un’occasione per uno straordinario refreshment dei principali cult movie e dei relativi backstage (e con questo ho fatto il pieno di terminologie anglosassoni!).
Di segno diverso, Serialmania. Immaginari narrativi da Twin Peaks a Squid Game, allestita al piano di accoglienza della Mole, che costituisce il primo progetto espositivo dedicato alle serie televisive, piaccia o no, destinate a successo planetario ai danni, ahimè del buon vecchio cinema in sala. Certamente da non sottovalutare, le serie tv hanno modificato le arti visive, e nelle sue versioni più raffinate, hanno creato forti modelli di riferimento per le nuove generazioni di spettatori. Una volta esistevano, i corti di Hitchcock, Bonanza, Perry Mason, Il Tenente Colombo (Columbo in originale), Ai Confini della Realtà, illustri precursori del genere. Oggi i cd nuovi immaginari narrativi, si presentano, spesso in versione seriale, con prodotti, attenti non solo all’estetica, ma spesso all’approfondimento psicologico dei personaggi. Registi famosi si sono già cimentati in questa nuova “disciplina” con risultati interessanti.
La rassegna in questione si sofferma in particolare su dodici titoli. Da, I Segreti di Twin Peaks (primo piccolo capolavoro del genere di David Lynch) a Breaking Bad ( la serie must per eccellenza) passando per, E.R,Medici in Prima Linea, al nostro, Romanzo Criminale, all’infinito, Il Trono di Spade, all’angosciante distopico, Squid Game, etc. Tra inquadrature e sequenze non mancano le fotografie di Gregory Crewdson, dipinti di Mario Schifano, ed altri riferimenti all’arte tout court. La rassegna non è esaustiva, ma rappresenta comunque un primo significativo tentativo.
In ogni caso se, per caso, le mostre estemporanee non fossero di piena soddisfazione, il Museo ha molte altre sezioni, la cui visione di sicuro giustifica il prezzo del biglietto.
data di pubblicazione:20/11/2024
da Giovanni M. Ripoli | Nov 7, 2024
Un viaggio nel mondo del cinema e più in generale della cultura, attraverso intelligenti e partecipati incontri a casa Monda
Premetto di nutrire stima e riconoscenza nei confronti dell’autore. Ma anche un po’ di sana invidia, dopo la lettura di questo interessante concentrato di celebrazione dell’arte a tutto tondo. Stima e riconoscenza mi derivano dall’aver seguito da spettatore la Festa del Cinema di Roma, che, sotto la direzione di Antonio Monda ha toccato, a mio modesto avviso, i suoi massimi livelli. La piccola (?) invidia, invece, nel saperlo a New York nella sua bella casa su Central Park West, dove con la moglie Jacqui, pare ottima cuoca, accoglie molti di quanti nel cinema, nella letteratura, nella musica e nello sport hanno, in qualche misura, contribuito a migliorare se non a cambiare il mondo. Il libro in questione parla di loro: di Robert de Niro e Martin Scorsese, di Lucio Dalla e Jim Morrison, di Vittorio Gassman e Al Pacino. di Claudia Cardinale e Meryl Streep, Ma anche di David Foster Wallace e Philip Roth, di Saul Bellow e Don Delillo, di Mohamed Alì e John McEnroe e di tantissimi altri da riempire le ricche e coinvolgenti e direi appassionate 740 pagine che compongono l’opera. A riprova dell’ autenticità della frequentazione di tante celebrità, è divertente l’episodio del portiere/concierge che al ritorno di Monda nella sua abitazione gli racconta che durante il giorno lo hanno cercato nomi come Woody Allen, Elie Wiesel, Henry Kissinger, etc chiedendogli poi lui chi sia in realtà. Direi che sono diversi i motivi di interesse per la lettura di, Incontri Ravvicinati, ma il primo è la sensazione di empatia generata dall’ l’autore, affabile ospite verso i suoi “eroi, Colpisce l’umanità e la franchezza di tanti personaggi ( ne ho contati 150) che, tranne in alcuni casi, sembrano aprirsi completamente e sinceramente nelle conversazioni, quasi confessioni, con l’autore- ospite. Il libro va letto tutto (ma il lettore può scegliersi i personaggi di suo maggiore interesse) ed è pertanto inutile sottolineare i momenti più intimi e sofferti, le arguzie e le rivelazioni, le massime o i suggerimenti che intellettuali e artisti comminano nelle esaustive 740m pagine. Ne cito solo una ascrivibile all’incontro col grande romanziere Saul Bellow che così risponde a Monda alla sua richiesta di dargli un consiglio: “ chi vuole un consiglio, vuole in realtà un complice!”. Ecco la cifra finale del viaggio proposto da Antonio Monda, credo stia proprio nella complicità sincera che si crea fra un piccolo grande intellettuale di origini calabresi, peraltro professore alla New York University e molti dei giganti della cultura internazionale, suoi veri amici dei quali ci racconta senza falsa modestia ma con autentico coinvolgimento. Come dice nell’introduzione Jonathan Safran Foer… grandi personalità creative si confidano con Anonio perchè gli vogliono bene! Tutto qui!
data di pubblicazione:07/11/2024
da Giovanni M. Ripoli | Nov 1, 2024
Incentrato su alcuni momenti salienti della vita di Enrico Berlinguer, storico leader del PCI. In particolare, si fa riferimento al lungo e difficile cammino che avrebbe potuto portare il Partito Comunista Italiano, primo in Europa, a guidare il Paese, attraverso un dialogo con la Democrazia Cristiana, in quello che fu chiamato Compromesso Storico, ovvero il tentativo di costruire il socialismo nella democrazia. I fatti racconteranno un’altra storia!
Dopo, Andreotti (Il Divo, diretto da Paolo Sorrentino), Berlusconi (Loro, ancora di Sorrentino) e Craxi (Hammamet di Gianni Amelio), tocca ad Enrico Berlinguer, peraltro già omaggiato in diversi film-documentario, sin dal lontano 1984, anno dell’addio a Enrico Berlinguer di Bernardo Bertolucci, l’onore di una importante produzione cinematografica per la regia di Andrea Segre. Che il personaggio, uomo e politico sia stato importante, amato e comunque rispettato anche dagli antagonisti lo dimostrano, per restare nel mero segmento cinematografico, i tantissimi tributi (film, docu-film, trasmissioni tv) a lui riservati negli anni dai vari Minoli, Mellara, Samuele Rossi, l’immancabile Veltroni (Quando C’era Berlinguer) solo per citare i più noti.
In questi casi, ovvero pellicole su personaggi, specie se politici, molto amati o molto divisivi, il rischio che si corre è quello di farne dei “santini” o dei “mostri”. Il film del bravo Segre cerca in qualche misura di superare questi schemi. Parte dal titolo con l’incipit di Antonio Gramsci: ” Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione che è indissolubile dal bene collettivo”. Chiarendo in primis che è al bene fatto popolo che guardava il giovane segretario del più forte partito comunista d’Europa nei difficili anni Settanta.
Anni in cui alle difficoltà interne, salari, occupazione, sanità (non è che Segre fa parlare il suo Berlinguer di quello che succede oggi?) si aggiungono le forti divergenze con l’URSS di Breznev. La linea tracciata da Berlinguer e chiaramente non gradita a Mosca, sarà quella di muoversi nell’alveo di un socialismo che si allinea alle regole democratiche. L’episodio dell’incidente stradale in Bulgaria, nel quale il leader italiano rimase leggermente ferito, racconta di come le sue posizioni non fossero molto in sintonia con quelle sovietiche. L’iter della pellicola per rimanere al Berlinguer- politico continua con le costanti clamorose vittorie elettorali del PCI (ma anche il Golpe in Cile, la vittoria nel referendum per il divorzio) e al contempo gli incontri con gli omologhi leader democristiani nell’ ambizioso tentativo di governare insieme il Paese. Ambizione che si tradurrà in illusione con la morte di Aldo Moro da parte delle cd Brigate Rosse. Ma, rispetto a una storia politica, già molte volte narrata e purtroppo nota, il film di Segre si distingue per la ricostruzione del privato di Enrico Berlinguer. Minuziosa e credibile è la fotografia del vissuto familiare come della coralità che ruota intorno al politico sassarese. Qui il plauso va esteso agli ottimi interpreti dal solito, per bravura riconosciuta, Elio Germano, un Berlinguer non imitato ma fedele, alla dolce Elena Radonicich nel ruolo della moglie Letizia. Ma sorprende in positivo Paolo Pierobon, persino migliore a mio parere dell’Andreotti di Servillo. Tutto il cast in ogni caso si è perfettamente calato nei rispettivi ruoli e stiamo parlando di alcuni dei migliori attori di casa nostra: Roberto Citran, Paolo Calabresi, Giorgio Tirabassi, Francesco Acquaroli, etc
A completare la buona impressione che il riuscito film di Segre ha destato, regista a parte, sono i meriti da ascrivere al co-sceneggiatore Marco Pettenello, all’autore del montaggio Jacopo Quadri e alle musiche originali di Iosonouncane.
data di pubblicazione:01/11/2024
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da Giovanni M. Ripoli | Ott 30, 2024
Una ragazza, Parthenope, che ha il nome della sua città, seguita in un percorso esistenziale che si confonde con la vita stessa di una Napoli di ieri e di oggi. Il tutto in “salsa” Sorrentino.
Dopo la prima in concorso al Festival di Cannes è sui nostri schermi l’ultimo parto cinematografico di Paolo Sorrentino, regista talentuoso ma divisivo: lo si ama o lo si detesta. Certamente il film non lascia indifferenti. Certamente non è lo stesso per chi è “napoletano” di nascita o di cuore e per chi è meno incline alla filosofia partenopea. Proverò dunque a esaminare la pellicola da una doppia angolazione, elencandone i motivi che possono indurre a considerarlo il miglior film del regista e le ragioni per considerarlo, invece, pretenzioso, autocompiaciuto e manierista, inutilmente “felliniano”.
Chi ha amato La Grande Bellezza non potrà che ritrovare in Parthenope la stilizzazione visiva, monologhi spiazzanti, personaggi originali quando non grotteschi, il mistero, lo stupore, alcune scene memorabili che non svelo. La musica in perfetta sintonia con le situazioni, tante battute e aforismi sull’amarezza della vita. Sorrentino ha dichiarato che È Stata la Mano di Dio rappresenta la sua giovinezza, Parthenope quella che non ha vissuto. In Parthenope, alla sua maniera, questo ha voluto rappresentare: una città che dagli anni ’50 in poi è stata una esperienza emotiva, sensoriale, intellettuale e visiva, ma al contempo goffa e tragica. Il regista sostituisce Jeff Gambardella con Parthenope (e questo già sarebbe un merito, vista l’espressività e la clamorosa bellezza di Celeste Dalla Porta) e ne fa la sirena che seduce i protagonisti della storia ma anche noi spettatori. Va detto che convincono altrimenti le altre interpretazioni seppure fortemente marcate quando non volutamente caricaturali affidate ad attori credibili. Il professore antropologo è Silvio Orlando. lo scrittore omosessuale, John Cheever il grande Gary Oldman, il vescovo Tesorone il vulcanico Peppe Lanzetta. E se la cavano anche un’imbruttita Luisa Ranieri e una seminascosta Isabella Ferrari, come nel finale ammiriamo una Stefania Sandrelli, quale Parthenope adulta..
Su tutti e tutte, però, come anticipavo, la totalizzante bellezza, freschezza e fascino di Celeste Dalla Porta probabile futura star del cinema italiano, perfetta nel ruolo di sirena e musa ispiratrice, nonché, per i detrattori del film la sola ragione che possa giustificare il prezzo del biglietto. Ma vediamo invece e in breve alcune delle ragioni di “ sconsiglio” per la pellicola in questione. Intanto diciamo che il film dura troppo in relazione alla storia, in fondo minima, che racconta. Quindi le decine di incisi di cui è infarcito il film possono risultare dei riempitivi a volte noiosi, improbabili e/o persino disturbanti. Si dice che il troppo storpia, bene, Sorrentino riempie la pellicola di tante, troppe, cose, dando la sensazione di film diversi tra loro. Quanto al livello intellettuale di alto profilo, siamo proprio sicuri che si tratta di arguti aforismi? Non è piuttosto il compitino di un buon liceale che vuole colpire con frasi solo apparentemente anticonformiste. E alcune scene, al di là, dell’uso sapiente della macchina da presa e di una fofografia impeccabile (ma il merito è di Napoli o di Capri) non sono inutilmente forzate?. E quanto c’è di un Fellini che non ce l’ha fatta in tanti personaggi caricaturali e grotteschi? In conclusione ci viene l’atroce dubbio che il film sia stato scritto magari per il mercato americano: ieri Roma, oggi Napoli, con la “speranzella” di un nuovo Oscar. Si tratterebbe allora di un film “furbo” studiato al tavolino, ma lascio agli spettatori il giudizio finale. Per quanto detto, un merito va comunque riconosciuto. Il film incuriosisce, porta gli spettatori a vederlo e farsene una propria insindacabile idea.
data di pubblicazione:30/10/2024
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da Giovanni M. Ripoli | Ott 25, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Il tour mondiale di Bruce Springsteen con la sua formazione storica, la E street Band seguito con affettuosa partecipazione dal regista- fan Zimny. Indimenticabili concerti, prove di registrazione, il back stage, ma anche momenti più privati, il ballo con la mamma ultra novantenne e persino una preghiera laica. Tutto racchiuso in un pregevole documentario sulla leggendaria rock star.
Già nel 2019 con Western Stars il fido Zimny aveva regalato a se stesso e alle moltitudini di appassionati, sparsi in tutto il globe terracqueo (Meloni copy) un ritratto musicale ma anche intimo di Bruce Sprinsteen, in accordo con l’omonimo microsolco appena pubblicato. Torna nel 2024 con un’altra chicca, ovvero, un documentario che segue il Boss e la sua strepitosa band (la E street Band), a sua volta arricchita dalla presenza di altri eccellenti solisti e coriste, nel tour mondiale 2023-24. Concerti in tutto il mondo che segnarono il suo ritorno sulla scena dopo sette anni e la parentesi dovuta al Covid. Premesso che lo spettacolo di ottima fattura è destinato preferibilmente ai fan d Springsteen, ma un vecchio maestro del rock ancora sulla scena dopo 55 anni, unico autentico concorrente per longevità del Nobel Dylan e di quei ragazzacci degli Stones, non può che affascinare comunque, almeno per il talento artistico e l’umanità espressa. Il taglio scelto dall’occhio fidato di Zimny è infatti duplice: sicuramente memorabili concerti e le fasi di preparazione con il divertito back stage, ma anche momenti decisamente più intimi, considrazioni e riflessioni, anche profonde sulla vita e sulla morte. Non è un caso che Road Diary si concluda con la voce fuori campo di Springsteen nella recita di An American Prayer di Jim Morrison, l’autodistruttivo leader dei Doors: “O grande creatore dell’Essere/ concedici un’altra ora/per farci mostrare la nostra arte/ e rendere perfette le nostre vite.” È il finale scelto dal Boss per chiudere idealmente un percorso iniziato ufficialmente con l’album, Greetings from Ashbury Park, quando la sua chitarra non era certo molto popolare a casa sua. Di strada il ragazzo di Long Branch, New Jersey, ne ha fatta e tanta, senza perdere mai il tocco magico del grande artista ma pure quelle caratteristiche di umanità, quel radicato concetto dell’amicizia, quella coerenza che ne hanno fatto un personaggio iconico nel mondo. Thom Zimny e lo stesso Springsteen (che ha curato personalmente la scaletta e ogni dettaglio) sono stati capaci di rendere in poco meno di due ore la complessità di una storia di rock’n roll fra le più significative di sempre.
Il documentario sarà visibile in streaming sulla piattaforma Disney plus dal 25 ottobre.
data di pubblicazione:25/10/2024
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