da Antonella D’Ambrosio | Feb 3, 2016
Come sempre Atom Egoyan ci intrattiene bene; è capace, anche grazie all’ottimo Christopher Plummer, di catturarci nel suo gioco.
Come tutti gli anziani non più lucidi Zev Guttman ha i suoi precisi punti fissi: sua moglie è uno di questi e a ogni risveglio si rinnova in lui il dolore per la di lei morte non accettata né compresa.
Non può dunque sottrarsi alla promessa fatta di vendicarla.
Ci immedesimiamo nella smemoratezza – che ricorda il grande Memento di Christopher Nolan del 2000 anche grazie alla scrittura sul corpo – e seguiamo con partecipazione la demenza senile dell’imponente vegliardo; ci troviamo a parteggiare per lui perfino in situazioni estremamente scorrette. Il gioco è questo, no? Eppure tutto il nostro entusiasmo va alla descrizione del tormento senile più che alle trovate originali che, come si sa, nei film di questo regista non mancano mai. Un ottimo curato prodotto che catturerà larghe fasce di pubblico.
Atom Egoyan è tornato alla sua lucidità canadese; i suoi labirinti a bambole russe con sorpresa finale sono qui resi interessanti dal lungo viaggio rinnovato ad ogni risveglio: una smemoratezza per non dimenticare.
data di pubblicazione:3/02/2016
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da Antonella D’Ambrosio | Gen 20, 2016
The Pills, che ha avuto inizio nell’estate del 2011 da un’idea di Luca Vecchi per un magazine online, passa dai pochi minuti del web a un film intero e al contrario di perdere – come succede spesso – acquista in comicità e ritmo.
L’incastro di trovate regge bene e trova un nuovo equilibrio; la ripetizione dei tormentoni invece di annoiare, diventa più pregnante.
Il produttore Pietro Valsecchi ne va fiero, dice di aver rinvestito i soldi ricavati dai film con Checco Zalone per dare un’opportunità a nuovi talenti: “Con i The Pills è andata così: il talento c’è, fatto di intelligenza, capacità di interpretare una generazione standoci dentro fino in fondo, con la giusta dose di cinismo verso il mondo degli adulti ma anche senza troppa indulgenza per se stessi”.
C’è una ricerca di rinnovamento del linguaggio cinematografico, che trascina nel lungometraggio l’immediatezza, tutta calcolata, della battuta ad effetto da web. La noncuranza e la goffaggine diventano sinonimi di spregiudicatezza e disinvoltura.
Si legge tra le righe che si è voluto ampliare il raggio del film inserendo la parentesi milanese, eppure anche questa trovata diventa essenziale al plot.
Non è una comicità che si ferma nel quartiere – il Pigneto – o nella capitale: i temi trattati sono attualmente validi in tutta le società occidentali; ma alcune gag, come l’anziano che smanetta con le nuove tecnologie e si organizza molto meglio dei giovani, o i bambini vestiti da adulti – loro divertentissima caricatura -, questo è facilmente esportabile e rende il film appetibile a più generazioni e latitudini.
Finisce la pellicola e ti trovi ancora a ridere e ne vorresti di più di questo divertente innovativo modo di guardare la realtà con intelligenza e sagacia: gli 83 minuti sono funzionali alla capacità di lasciare il pubblico con la risata in faccia, al contrario delle lungaggini che spesso uccidono film nati con un bel respiro.
Matteo Corradini, Luigi Di Capua, Luca Vecchi come spugne hanno assorbito da un vasto immaginario: cinema, libri, fumetti, arte, televisione e col loro stile inconfondibile shakerano il tutto con un’alta dose di capacità di osservazione.
data di pubblicazione:20/01/2016
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da Antonella D’Ambrosio | Dic 2, 2015
Maïwenn Le Besco ci aveva già convinti col suo precedente film Polisse del 2001.
La sua regia ha le stesse caratteristiche di riuscire a rendere tridimensionali i personaggi. In quest’ultimo film ciò è palesemente più evidente perché la storia è molto passionale. Ha poi scelto con cura due interpreti il cui fisico, di una carnalità palpabile, sfonda lo schermo.
Qui non si tratta di assecondare le fan dell’ex marito della Bellucci, Vincent Cassel ha già dato prova di essere apprezzato attore. Anch’egli poteva ambire al premio per la categoria maschile, come giustamente è accaduto a Cannes per la sua degna partner, prix d’interprétation féminine, Emmanuelle Bercot (della quale, come regista è in sala A testa alta).
Per la Bercot bisognerebbe aprire un capitolo a parte, tanto è intensa la sua recitazione, vivida la sua rappresentazione di questo martirio autoinflitto.
Perché vuoi che io sia come vuoi tu, quando sei venuta da me perché sono esattamente come sono? dice Georgio alla sua compagna ormai sfinita dai suoi tergiversare.
Il gioco è quello antico del “Toccami Ciccio, mamma Ciccio mi tocca” al quale tutti abbiamo giocato da piccoli e dunque resta nella memoria atavica del DNA di tutte le femmine che non riescono a liberarsi del maschio seduttore. Poi se questo maschio è uno che ancora “accudisce” la femmina precedente, ritenendola bisognosa di cure, la vischiosità dei rapporti è certa e la difficoltà a liberarsene ancora più ardua. La crocerossina a sua volta curata è il massimo per una donna intelligente e magari pure non troppo avvenente.
Un film necessario, denso e viscerale: è un gran bene per l’umanità che il cinema più volte abbia dato voce al male di coppia, certamente più significativo e penetrante di un giorno per la violenza contro le donne.
Una curiosità: nella pellicola recita anche la sorella della regista, Isild Le Besco che è la terza dei cinque figli di Catherine Belkhodja, l’attrice e giornalista franco-algerina di origine cabila e turco-mongole. Il loro padre, nato in Gran Bretagna, è di origine vietnamita, mentre loro fratelli sono il documentarista Jowan Le Besco, e l’attore Kolia Litscher: una famiglia dedita con successo alla quarta arte, dunque.
data di pubblicazione 02/12/2015
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da Antonella D’Ambrosio | Nov 3, 2015
(Palazzo Ducale di Urbino – Sala Banchetti, 6/ 29 novembre 2015)
Esotiche trame seriche si snodano per l’Italia, avvicinando il Lazio, da cui partono, alle Marche.
Stiamo parlando della preziosa mostra Trame esotiche. Il restauro del Baldacchino del Cardinale Albani che si tiene nel Palazzo Ducale di Urbino dal 6 al 29 novembre. Per il richiamo alle origini urbinati del committente, il munificentissimo cardinale Annibale Albani, Anna Imponente propone al pubblico nella sede della Galleria Nazionale delle Marche, il pregiato tessuto dalle trame esotiche che impreziosiva il baldacchino della Cattedrale di S. Liberatore a Magliano Sabina, gentilmente concesso dal Soprintendente Agostino Bureca.
Oggetto raro e prezioso per l’inedita iconografia, può ben definirsi l’apice emblematico di un’apertura significativa a mondi geograficamente e intellettualmente agli antipodi.
Nel Settecento accendevano l’immaginazione gli scambi culturali tra Oriente e Occidente con l’affascinante tendenza stilistica ad accogliere il mutamento e i lussi esotici provenienti soprattutto dalla Cina.
Possiamo ammirare il monumentale ricamo, il cui restauro è stato diretto da Barbara Fabjan e nella fase finale da Mariella Nuzzo.
Il sapiente riuso di tessuti stratificati applicati a ricamo ci parla di botteghe artigiane, probabilmente della capitale, aggiornate sui miti di terre favolose.
Dopo il restauro hanno riacquistato piena leggibilità i ricchi tessuti di seta dai fili d’argento e d’oro: mongoli fastosamente abbigliati, tartari alle prese col tiro con l’arco, cinesi dai tipici codini, paesaggi di architetture a pagoda e magnifici animali di paesi lontani.
Con questo dialogo fra regioni e interculturale, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mostra la poliedricità dei propri compiti istituzionali e coinvolge con l’evento il pubblico in una visione intellettualmente plurisensoriale e multitemporale.
Accanto al prezioso baldacchino sono in mostra parati e oreficerie, anch’essi doni del Cardinale, che costituiscono una parte significativa della straordinaria collezione d’arte esposta al Museo Diocesano Albani. Attraverso questi oggetti il visitatore riscopre il gusto di un’epoca e la figura di un illuminato mecenate.
data di pubblicazione 03/11/2015
da Antonella D’Ambrosio | Ott 25, 2015
Bilancio positivo per il Festival del cinema (ora di nuovo Festa di Roma): la presenza ridotta di folla all’interno del villaggio dell’auditorium (carente quest’anno della sala Santa Cecilia) è stata compensata dai cinema sul territorio e soprattutto dalla qualità dei film presentati.
“ Pochi ma buoni” può essere lo slogan della Festa, diretta per la prima volta da Antonio Monda. Pare che le minori presenze siano dovute a tappeti rossi poco attraenti per il pubblico, ma il Direttore Artistico ha obiettato che gli attori di grido sarebbero venuti con film di livellonon elevato, mentre il suo modello di riferimento è il Festival di New York.
Le 313 proiezioni, su ben 14 schermi, cioè le consuete sale dell’Auditorium più le nove sale sparse sul territorio romano, hanno visto la presenza di 48.206 persone fra paganti e gratuiti e di quasi 5 mila accreditati.
Non ci piace parlare di cifre, preferiamo parlare di qualità che senz’altro ha caratterizzato questa nuova impostazione della Festa. Si nota l’assenza della sezione EXTRA, seguita con interesse dagli affezionati, che spesso la preferivano ai film in concorso, ma non sono mancate interessanti sorprese ed esperimenti o film didattici da sostenere e diffondere. Una magia saracena di Vincenzo Stango, per esempio, riuscito racconto di storia della matematica, snobbata nel nostro paese e giustamente associata alla capacità critica poco in uso in un futuro, nel quale ragionerebbe per noi solo un cervello centralizzato.
Mancanza di capacità critica, dovuta all’input sociale dell’obbedienza, indagano anche gli esperimenti degli anni ’60 portati avanti dallo psicologo Stanley Milgram nell’interessante, e con riuscite soluzioni registiche, Experimenter di Michael Almereyda.
Psicologi da indagare, invece, nell’inquietante documentario The confessions of Thomas Quick di Brian Hill, sul serial killer svedese degli anni ’80; pellicola che può essere inserita – dati gli anni passati in manicomio penitenziario dal protagonista della vicenda – anche nel filone claustrofobico, cui appartengono molti dei film di questa kermesse, facendone quasi un filo conduttore.
Primo tra tutti il delicato, nonostante lo scabroso argomento di reclusione della vittima a scopi sessuali, Room dell’irlandese Lenny Abrahamson, regista conosciuto con Garage del 2007; con poesia, oltre analizzare non superficialmente il dolore della donna, riporta alle nostre coscienze lo stupore della conoscenza del mondo da parte dei bambini, ma anche la loro intatta capacità critica dovuta al non essere ancora inseriti nel meccanismo sociale.
Tra i film col tema della chiusura in casa, un grande interesse ha suscitato The Wolfpack di Crystal Moselle, già in sala, che ha meritatamente ottenuto, dalla giuria presieduta da Giovanni Veronesi, il Taodue Camera d’Oro per la miglior opera prima. La stessa giuria ha premiato, con una Menzione speciale, Mustang di Deniz Gamze Erguven, già scelto per partecipare agli Oscar; tratta di cinque bellissime sorelle chiuse in casa in un villaggio turco.
Mentre la giuria (composta da 22 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 18 anni, selezionati in tutta Italia ) del concorso Young/Adult di Alice nella città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, ha ritenuto di premiare Four Kings, opera prima della regista tedesca Theresa Von Eltz, che segue quattro ragazzi rinchiusi in un ospedale psichiatrico.
Di questo filone può far parte anche il visivamente accattivante Office del grande regista cinese Johnnie To, sui meccanismi insiti in un gruppo chiuso, come quello di una grande società miliardaria: un prezioso musical.
A pieno titolo ci rientra il messicano Distancias cortas, che fa parte anche del filone latino americano, cinematografia, a buon diritto, pluripremiata negli ultimi festival: un ragazzo obeso si autoisola in casa per le sue difficoltà a relazionarsi con gli altri.
The Whispering Star del giapponese Sion Sono: chiusi in un container che è, una delle tante geniali invenzioni visive di questo film, un’astronave, giriamo insieme alla postina spaziale nell’universo mondo, attratti dall’elegante fotografia in bianco e nero.
Interessantissime le retrospettive: “I film della nostra vita”, che accomuna in modo quasi affettuoso le menti dei cinefili, con un film scelto a testa dai membri del Comitato di selezione; riportare all’attenzione il nostro grande Antonio Pietrangeli è stata un’operazione graditissima a molti, come far conoscere finalmente l’imperdibile regista cileno Pablo Lorraìn dalla forte cinematografia.
Da ringraziare i selezionatori per gli altri numerosi buoni film, impossibile da citare tutti, per alcuni dei quali rimandiamo agli articoli in questa testata.
Una buona notizia: la maggior parte dei film e perfino dei documentari usciranno in sala per essere visti, ci auguriamo, dal grande pubblico.
data di pubblicazione 25/10/2015
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