da Alessandro Rosi | Nov 29, 2015
(Teatro Vascello – Roma, 19/29 novembre 2015)
Le porte si chiudono; le luci si spengono; l’oscurità pervade la Sala studio del Teatro Vascello. Lo spettacolo tuttavia non accenna a iniziare, e nel nostro stato d’animo s’instilla man mano un sentimento d’angoscia e irrequietudine.
All’improvviso luci intermittenti abbacinano il pubblico e la testa dell’attrice (Daniela Marazita) si staglia nell’ombra. A quel punto s’intuisce che il buio circostante non rappresenta altro che le tenebre della mente dell’artista e che le luci sono gli impulsi elettrici erranti nella sua materia grigia. Attraverso la sua voce flautata ci condurrà nel dedalo dei suoi pensieri più reconditi, foschi e inconfessabili, che cercano una via di fuga dal suo personale inestricabile labirinto del Minotauro (qual è la mente umana).
Lo stream of consciousness accompagna l’intera rappresentazione Hai appena applaudito un criminale in cui l’attrice snocciola le esperienze avute con i detenuti, permettendo allo spettatore di rivivere gli episodi salienti dell’attività di volontariato — prevista dall’art. 17 ord. penit. — finalizzata alla messinscena nelle case circondariali: luoghi d’isolamento per antonomasia, nei quali “si è soli e la solitudine di ciascun detenuto fa compagnia all’altro”. La presenza di una compagnia teatrale, pertanto, appare momento indispensabile di unione e aggregazione, utile al recupero sociale del detenuto; ciò non toglie che per perseguire il risultato voluto si dovranno superare fasi inevitabili di sofferenza e frustrazione, ma è dal dolore che nasce la bellezza (estrinsecantesi nell’opera teatrale) e —come scriveva Dostoevskij — “la bellezza salverà il mondo”.
L’intensa recitazione mantiene costantemente viva l’attenzione e impedisce di distogliere lo sguardo. (Peccato solo per l’inizio dello spettacolo: eccessivamente cervellotico e claudicante, può risultare difficile da seguire).
Soggiungo un’ingenua considerazione: la mia utopia è di poter applaudire un giorno un “criminale” in un teatro comune, solo allora si avrebbe un concreto tentativo di reintegrazione sociale.
data di pubblicazione 29/11/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Rosi | Nov 21, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 17/22 novembre 2015)
Spes ultima dea. Speranza è l’ultima divinità che restò tra gli uomini, a consolarli, anche quando tutti gli altri dèi abbandonarono la terra per l’Olimpo. Ma non vi è più speranza di poter tornare a una vita che sia degna di poter essere vissuta in alcune situazioni borderline, come quelle di chi si trova in uno stato vegetativo e che abbia subito con il decorso del tempo danni irreversibili. E allora fingono di essere dèi, decidendo della sorte altrui, tutti coloro che negano la libertà di scegliere di non vivere.
L’accanimento terapeutico non è speranza ma spem contra spem, ovvero un fede cieca e incrollabile per qualcosa di irrealizzabile: ripristinare una situazione che non potrà più tornare quella di prima.
È questo il messaggio che traluce dallo spettacolo Orfeo ed Euridice di César Brie, magistralmente interpretato da Giacomo Ferraù e Giulia Viana.
Due lenzuoli bianchi — come quelli che coprono i corpi dei defunti — fendono il palcoscenico incrociandosi, due linee che si incontrano e scontrano: convergono nel momento iniziale dell’idillio, durante la fase intermedia delle cure portate alla persona in coma, e nel momento finale del ricongiungimento con la volontà dell’amata (ovvero quella di essere lasciata andare a miglior vita); collidono — invece — alle prime acredini tra marito e moglie, allo scontro tra il marito e i medici renitenti a disattivare i macchinari che tengono in vita la moglie, e infine quando dividono l’opinione pubblica riguardo all’eutanasia.
Lo spettacolo si svolgerà esclusivamente su queste due linee che formano una “x”, lettera che si pensa sia derivata da quella greca “theta” e che sintetizza il concetto di morte, “Thànatos”. La figura della morte aleggia costantemente nella sala ed è impersonata da un insolito Caronte ridanciano (che dialoga con il pubblico), brillantemente interpretato da Giacomo Ferraù — che si rivela estremamente abile nel ricoprire ruoli diversi (oltre a quello del traghettatore, infatti, recita anche come marito, medico e infermiere). Non è da meno Giulia Viana, nonostante un corpo minuto sprigiona un’energia sorprendente e contagiosa.
Nella sala Moretti del Teatro dell’Orologio, le lancette del tempo hanno girato più velocemente del normale durante l’esibizione teatrale; non si fa in tempo a sedersi che lo spettacolo è già finito. L’aver assistito ad una recitazione convincente non solo riempie di gioia gli attori per gli applausi scroscianti, ma rallegra qualsiasi spettatore. “La felicità si racconta male perché non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge” (Jules e Jim, regia di François Truffaut).
Una piecés da spellarsi le mani per gli applausi.
data di pubblicazione 21/11/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Rosi | Nov 18, 2015
(Teatro dell’Orologio – Roma, 17/29 novembre 2015)
Nella sala Gassman del Teatro dell’Orologio, oltre alle sedie presenti sugli spalti, tre sono ubicate sul palco. Tra gli spettatori che si accingono a prendere posto, una ragazza si siede inopinatamente su una di queste. In realtà, lo spettacolo è già iniziato, la ragazza infatti si rivelerà essere una delle componenti della compagnia teatrale.
L’arguto escamotage dà inizio a “L’invenzione senza futuro”, frase rivolta da Antoine Lumière ai suoi figli, evidentemente scettico riguardo la futuribilità del curioso marchingegno. Stessa perplessità che ognuno di noi può nutrire nei confronti di uno spettacolo che si presenti come viaggio nel cinema in 60 minuti, ma che si dissolve non appena iniziato, mercé la amena rappresentazione messa in scena dal trio frizzante della compagnia DeiDemoni.
Vivacità e leggerezza connotano la narrazione (condita da citazioni cinematografiche), che ripercorre – con un pizzico di fantasia – la vita dei fratelli Lumière. Non mancano delle parti cantate, ove risplende la voce argentina dell’attrice Celeste Gugliandolo. Appassionante e coinvolgente risulta la recitazione di Federico Giani, che manifesta egregiamente lo scoramento patito dal suo personaggio per tutte le traversie che ha dovuto affrontare per vedere il progetto riuscito. Mentre zoppicante appare la prova attoriale di Mauro Parrinello, che nonostante la voce brillante e impostata, pecca nella recitazione: spesso tiene lo sguardo basso, impedendo allo spettatore di entrare in empatia.
La scenografia è ridotta all’osso ma efficace. Un altro Antoine, ma con un cognome diverso (de Saint-Exupéry), scriveva: “l’essenziale è invisibile agli occhi”; ed è proprio una rappresentazione come questa che permette di riscoprire l’essenza del cinematografo.
data di pubblicazione 18/11/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Rosi | Nov 12, 2015
(Roma – Ex Caserma Guido Reni, 1/28 novembre 2015)
Montagne di giornali, mobili, cianfrusaglie, calendari osé, floppy disk e vecchi computer, accatastati in enormi padiglioni: questo era lo scenario che si palesava, fino a poco tempo fa, a chi fosse entrato nell’ex caserma Guido Reni.
Il trasferimento dell’alloggiamento militare dal Ministero della Difesa al Campidoglio, grazie al federalismo demaniale, ha ridato vita a questo posto da troppo tempo abbandonato.
Negli stessi luoghi dove una volta si respirava un’aria pesante va in scena l’inebriante Outdoor Festival: manifestazione che si sviluppa attraverso arte, musica, video e talk.
Le installazioni all’interno dei 20 padiglioni in cui si snoda il Festival sono eterogenee, caleidoscopiche e, in alcuni casi, sensazionali.
In uno dei primi capannoni, un fascio di luce blu cobalto ondulatorio sale fino a disvelare sagome di persone in caduta libera. Un’opera che suscita un senso di vertigine, inquietudine e ricorda quelle persone che l’11 settembre hanno preferito saltare nel vuoto, piuttosto che essere divorate dalle fiamme.
La sala di Alice Pasquini, la street artist romana, appare alquanto lugubre ma come in ogni sua opera lascia il suo segno distintivo nei volti degli infanti.
Il padiglione più grande è deputato all’interattività: al visitatore è permesso dare sfogo a tutta la sua creatività dipingendo con diversi utensili su carta, che sarà in seguito fissata esposta, e sulle pareti.
Un’altra sala è occupata dal trompe-l’œil del writer Insa; i visitatori si trovano all’interno di cerchi concentrici che sembrano risucchiarli, come se dal terreno si stesse sprigionando un buco nero.
Si parla di un grande polo immobiliare di pregio e della nuova città della scienza a Roma, ma per ora godiamoci il presente.
Ci sono ancora 3 settimane per poterlo visitare!
Il prezzo del biglietto è abbordabile 7€, 5 per i minori di 26 anni.
data di pubblicazione 12/11/2015
da Alessandro Rosi | Ott 23, 2015
(Teatro Palladium – Roma, 20/25 ottobre 2015)
Entrati nel teatro la maschera ci accompagna dietro le quinte. Avanziamo con cautela, domandandoci se stiamo seguendo la persona giusta. L’addetta ci invita a proseguire e ci indica di superare il sipario.
Col cuore in gola, ci tuffiamo sul palcoscenico dove sedie collocate a semicerchio e un candido letto bianco ci aspettano: stasera saremo protagonisti del delirio cosciente di una psicotica.
Le luci si abbassano, nel teatro si fa buio, una voce rauca, tenebrosa recita la seguente frase: che cosa offri ai tuoi amici per renderli così disponibili?
La domanda sibillina apre il monologo scritto da Sarah Kane 4.48 Psychosis (orario in cui si ritiene che la spinta al suicidio sia più forte), interpretato da una straziante (nel senso buono del termine, dato che si tratta di un dramma) Micaela Esdra, la quale riesce a trasmettere il disagio vissuto dall’autrice della pièce teatrale.
L’attrice si esalta specialmente nel momento della spersonalizzazione, in cui trasmette in modo penetrante la perdita di contatto con la realtà; meno nel dialogo interiore con se stessa, dove non si percepisce appieno la lotta intestina (quasi al limite del bipolarismo) del soggetto con il suo alter ego.
La mise en scène è essenziale ma efficace; azzeccato il cambiamento del colore delle luci a seconda dei vari stati d’animo che attraversa la protagonista.
L’esperienza che si vive durante il monologo è surreale: si è spettatori-attori immobili e impotenti di fronte alla tragedia che si sta per consumare, come spesso accade nelle realtà.
È uno spettacolo unico e che merita di esser visto, se non altro per provare l’esperienza di essere sul palcoscenico, tête à tête con l’attice.
Volete essere anche voi attori per una sera? Non perdetevi la rappresentazione finale al Teatro Palladium di Roma!
data di pubblicazione 23/10/2015
Il nostro voto:
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