PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Una fabbrica tessile che chiude per delocalizzare la produzione dalla Francia al Marocco. Un’operaia che decide di “prendere il largo” e di (in)seguire il suo lavoro in terra straniera. Il ritratto di una donna che riesce a trovare la forza nelle sue fragilità.

Edith (una straordinaria Sandrine Bonnaire) è un’operaia tessile che si trova a dover affrontare la chiusura dello stabilimento in cui lavora. Nell’età della globalizzazione, la fabbrica decide di delocalizzare la propria produzione dalla Francia al Marocco, dove i costi sono decisamente inferiori. Ciascun operaio può accettare il licenziamento e la conseguente “buonuscita” oppure richiedere il trasferimento a Tangeri. Edith, inaspettatamente, sceglie di partire, sceglie di “prendere il largo”. Anche perché Edith, rimasta sola dopo che suo figlio Jérémy (Ilian Bergala) ha preso la sua strada, non saprebbe vivere se le togliessero anche il suo lavoro.

L’arrivo in Marocco non è indubbiamente agevole: Edith è la “straniera che non porta il velo” e non conosce le insidie di una città in cui ci sono “più matti che gatti”, senza contare che le condizioni di lavoro nella nuova fabbrica sono ai limiti sono bel al di sotto degli standard minimi di sicurezza.

L’incontro con Mina (Mouna Fettou), proprietaria della pensione dove Edith ha trovato alloggio, e con suo figlio Ali (Kamal El Amr) restituiranno a Edith parte della vita che credeva di aver perduto per sempre.

Prendre le large, per la regia di Gaël Morel, è un delicato affresco introspettivo sul cui sfondo troneggia l’età della globalizzazione: la libertà che si traduce in vincolo, la realtà liquida nella quale rischiano di dissolversi anche i valori fondamentali. L’aspetto forse meno convincente del film è rappresentato dal fatto che la “questione sociale”, relativa al mondo operario e alla tutela dei lavoratori, pur individuando uno dei fili conduttori della storia, resta forse troppo in secondo piano: rapidi cenni che però non riescono a scavare nel cuore della questione. Anche l’ingenua sprovvedutezza di Edith, per quanto comprensibile, non sempre risulta realistica.

La regia di Morel e l’interpretazione di Sandrine Bonnaire, in ogni caso, restano una combinazione che regala al film dei momenti di alta e intensa poesia.

data di pubblicazione: 30/10/2017







PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

LOVE MEANS ZERO di Jason Kohn, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Un documentario racconta la storia di Nick Bollettieri, leggendario allenatore di tennis che a stento avrebbe saputo vincere un set, ma che era in grado di far vincere gli altri. Un vincente che amava circondarsi di vincenti e che per questo era disposto a mettere da parte ogni inutile sentimentalismo. Almeno in apparenza.

Nick Bollettieri è uno dei più famosi allenatori di tennis della storia. Resta seduto su una sedia più di quanto abbia mai fatto in vita sua e risponde alle domande di Jason Kohn, avvertendolo di non accanirsi troppo nella ricerca di un senso nella storia che sta raccontando: lui è Nick, semplicemente Nick Bollettieri. E il risultato è il riuscito documentario Love means zero.

Bollettieri è stato il primo che ha tentato di applicare una logica “comunista” nella gestione capitalistica dello sport: ha infranto le regole, esigendo che i giovani aspiranti campioni si separassero dalle loro famiglie e vivessero all’interno dell’Academy, a stretto contatto l’uno con l’altro, alimentandosi dello spirito di competizione e della voglia di vincere.

Il carisma di Bollettieri faceva il resto. Un uomo avvicinatosi al tennis per caso e in “età avanzata”, uno che non avrebbe mai vinto una partita in vita sua, ma che era capace di far vincere gli altri. I ragazzi e le ragazze della sua scuderia erano disposti a tutto pur di conquistare la stima e le attenzioni di Nick. Vedevano in lui un padre. Un padre severo, cinico, che concentrava le proprie energie solo sui figli più promettenti. Il duello storico tra Andre Agassi e Jim Courier, alcuni degli campioni più noti del team Bollettieri, altro non era che una battaglia per conquistare il cuore e il rispetto di Nick.

Proprio la parabola professionale e umana di Andre Agassi diviene uno dei nuclei più riconoscibili della storia raccontata da Love means zero. Agassi è anche il grande assente del documentario di Kohn. Parlano per lui le immagini di repertorio degli incontri che hanno segnato la storia del tennis, le sue interviste, gli articoli di giornale. Agassi è stato uno di quegli sportivi che meglio ha incarnato le intersezioni tra sport, star system e marketing, ma è anche l’allievo che si porta dietro un controverso rapporto con il proprio “padre”.

Love means zero è un documentario ben congegnato e ottimamente diretto, capace di rendere partecipi della storia e di appassionare anche lo spettatore a digiuno della recente storia del tennis. Risulta interessante, in particolare, la metamorfosi di Nick nel corso dell’intervista: spavaldo e “tutto d’un pezzo” all’inizio, commosso e fragile alla fine. Così come interessante è la parabola della sua Accademia: sembrava anzitutto una spietata macchina da soldi, ma è arrivata sull’orlo del fallimento, perché Bollettieri non ha mai voluto vincolare contrattualmente i propri sportivi, i quali, dal canto loro, non hanno scelto spontaneamente di sostenere l’Academy.

Nick, alla fine, è semplicemente Nick Bollettieri: un vincente, che ama circondarsi di vincenti.

data di pubblicazione: 30/10/2017








PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

LAST FLAG FLYING di Richard Linklater, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

L’America di ieri e quella di oggi, unite dall’eroismo (razionalmente incomprensibile) dei giovani Marines mandati al fronte. Vietnam e Iraq: cambia poco in fondo. Restano intatti il rispetto per la divisa, l’orrore del fronte, la disperazione delle famiglie. Così come resta intatta la bandiera a stelle strisce che, nonostante tutto, continua a sventolare sullo sfondo.

 

Larry Shepherd (Steve Carrel), meglio noto come Doc, si mette sulle tracce di ex soldati che, insieme a lui, hanno militato nei Marines: Sal Nealon (Bryan Cranston), che ora gestisce una birreria senza troppe pretese, e Richard Mueller (Laurence Fishburne), divenuto un appassionato e autorevole Reverendo.

I tre hanno combattuto insieme in Vietnam, in una guerra di cui probabilmente nessun militare americano ha mai compreso il senso, ma che ha lasciato nei loro corpi e nelle loro anime delle cicatrici profonde e indelebili.

Anche il figlio di Doc ha deciso di arruolarsi nei Marines. Nei primi anni del nuovo millennio i nemici non sono più i musi gialli che popolano le giungle Vietnam, dove ormai anche gli americani vanno in vacanza, ma gli iracheni capeggiati da Saddam Hussein che si nascondono nei deserti dell’Iraq. Proprio dall’Iraq arriva la notizia della morte del figlio di Doc. È caduto in azione come un vero eroe, dicono. Deve essere seppellito con tutti gli onori, dicono.

Larry chiede ai suoi vecchi compagni di divisa di accompagnarlo nel viaggio più lungo e tormentato che la vita poteva riservargli. Ha inizio quindi un road movie, che, come tutti i road movie che si rispettino, diviene anzitutto un viaggio interiore che conduce alla (ri)scoperta di se stessi.

Richard Linklater torna al cinema con Last Falg Flying, tratto dall’omonimo romanzo di Darryl Ponicsan e sequel del film del 1973 L’ultima corvè con Jack Nicholson. Il film, prodotto da Amazon Studios, è stato scelto per l’apertura del New York Film Festival.

Il tema, caro a Linklater, è quello del patriottismo nazionalistico, raccontato in maniera disincantata ma non del tutto cinica, rassegnata ma mai del tutto disperata. Il trio di protagonisti funziona a meraviglia, tanto per la convincente prova di attori di Carrel, Cranston e Fischburne, quanto per l’armonica complementarietà dei personaggi: Doc è remissivo e mite, Sal è irriverente e caustico, Mueller è il reverendo cui la fede ha concesso di placare gli eccessi giovanili e di curare le ferite del fronte. Non ci sono risposte definitive nel film. Non ci sono buoni e cattivi. C’è solo il silenzio del vuoto, che ciascuno può riempire con le proprie riflessioni con temi che, ormai da decenni, continuano a tormentare la coscienza dell’America.

I 124 minuti del film, forse, scorrono più fluidamente nella prima parte anziché nella seconda, ma la scrittura, che assegna un ruolo determinante alla spiazzante ironia di Sal e che mantiene il costante parallelismo tra ieri e oggi, tra Vietam e Iraq, restituisce un’opera nel complesso convincente. Qualche retorica di troppo nelle sequenze finali; ma, del resto, è il rischio pressoché inevitabile che si corre quando, sullo sfondo, la bandiera a stelle e strisce continua a sventolare nonostante tutto.

data di pubblicazione: 29/10/2017








BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

(Teatro Argentina – Roma, 13/22 ottobre 2017)

Quattordici attori nudi sul palco. Quattordici uomini e donne fuggiti dalla costrizione delle convenzioni e delle eterodirezioni. Quattordici persone che non saranno più disposte a tornare indietro.

Un racconto senza storia, la faticosa emancipazione da ogni forma di sovrastruttura ed eterodirezione: gli attori si spogliano delle proprie vesti e, dopo aver fatto i conti con il senso del pudore e con la vergogna, si abbandonano alla propria nudità. Impauriti e disarmati reagiscono agli stimoli del palco lasciandosi guidare dall’istinto. A mano a mano che si perdono, scoprono il coraggio di ritrovarsi, per poi difendere gelosamente la libertà così faticosamente conquistata.

Con Bestie di scena il teatro di Emma Dante raggiunge uno degli approdi più meravigliosamente compiuti. Il corpo, da sempre al centro della sua ricerca artistica, diviene il protagonista indiscusso della scena. La capacità degli attori di controllare i propri movimenti e di inserirli nella sinfonia del gruppo è semplicemente impressionante.

La regista ha dichiarato che il suo intento iniziale era quello di raccontare il mestiere dell’attore, trovandosi poi a dirigere una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, “imbecilli”: alla fine, detto altrimenti, Emma Dante si è trovata a raccontare il mestiere dell’uomo che prova a farsi persona, che fugge dalle imposizioni e delle convenzioni, che riscopre, non senza traumi, il valore di una libertà primordiale vissuta però non in maniera individuale e individualistica, ma nella condivisione con i propri simili.

Non ci sono dialoghi in Bestie di scena e durante lo spettacolo la nudità degli attori diviene progressivamente l’elemento meno significativo della rappresentazione. A prendere il sopravvento sono l’armonia dei suoni, la perfezione dei movimenti, la dosimetria delle luci che solo in rare occasioni lascia il pubblico al buio e, quindi, distante dal palco.

Il nuovo spettacolo di Emma Dante è un’esperienza sensoriale che non lascia indifferenti. È il gioiello di un’artista che rende riconoscibile la sua cifra, ma che riesce ogni volta a superare se stessa. È l’emblema di un teatro che non si può descrivere, ma solo ammirare.

Pienamente meritati, dunque, gli interminabili applausi che hanno riempito il Teatro Argentina di Roma in occasione della prima.

data di pubblicazione: 14/10/2017


Il nostro voto:

LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

(Teatro Quirino – Roma, 1/2 ottobre 2017)

 Quattro attori, quattro protagonisti, quattro storie nel Sud Italia della prima metà del Novecento e della seconda guerra mondiale.

Arturo è un pizzaiolo romano, del quartiere “borgataro” Garbatella, che ama le donne e gli stornelli.

Maria è una giovane palermitana che sogna di ballare, ma alla quale la guerra porterà via l’innocenza e i passi di danza.

Reginella è una ragazza napoletana che dietro l’esuberanza nasconde la fragilità di un cuore spezzato.

Mamozio è un pescatore calabrese che si vede costretto a continuare l’attività di famiglia: ama il mare, ma non sa nuotare.

Le storie si alternano, affidate ora al discorso indiretto dei protagonisti ora a dialoghi veri e propri ora agli strumenti e alle musiche che segnano il ritmo dell’Italia meridionale. Sul palco sono in quattro, ma sembrano molti di più: Eleonora De Luca, Agnese Fallongo, Teo Guarini, Domenico Macrì recitano, cantano, ballano, coinvolgono il pubblico.

Il fascino della quotidianità e l’eccezionalità della normalità irrompono sul palco, accendendo i riflettori su un passato che sembra remoto ma in realtà è fin troppo prossimo. I sentimenti, i sogni, le speranze, la voglia di riscatto, in fin dei conti, restano gli stessi malgrado il passare dei decenni e dei secoli.

La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare nasce dalle interviste realizzate da Agnese Fallongo durante i suoi “viaggi” in un’Italia che ha ancora molto da raccontare e da insegnare. Il risultato è uno spettacolo musicale gradevolmente sincero e piacevolmente riflessivo.

data di pubblicazione: 1/10/2017


Il nostro voto: