da Antonella Massaro | Nov 11, 2014
Dal 7 all’11 novembre 2014 Roma ospita le proiezioni di Arcipelago – Festival internazionale di cortometraggi e nuove immagini. I luoghi della manifestazione sono quelli di un quartiere dall’intramontabile suggestione come Garbatella, con i suoi due teatri, il Palladium e l’Ambra, che offrono il palcoscenico a un cinema a cui solo raramente viene concessa la ribalta.
Il 9 novembre, anniversario dei 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, il Festival ha reso omaggio a una data così recente eppure così lontana attraverso due proiezioni inserite nell’evento Da Kreuzberg a Garbatella. Il Muro che (non) c’è: Berlin spricht Wände (2013) di Markus Muthig e Die Mauer (1991) di Jürgen Böttcher.
La serata è proseguita con la proiezione dei film inseriti nella Sezione The Short Planet – Concorso internazionale Cortometraggi e Nuove Immagini.
La storia, il ritmo e gli effetti speciali di The Nostalgist (Giacomo Cimini), impreziositi dalla interpretazione di Lambert Wilson, non hanno nulla da invidiare al cinema di serie A.
Simone Massi, “animatore resistente” e creatore di quella sigla di apertura del Festival di Venezia che lascia puntualmente senza fiato gli Accreditati di ogni ordine e grado, incanta con L’attesa del maggio, proiettato anche a Venezia 71.
Újratervezés di Tóth Barnabás stupisce e commuove per l’efficacia con cui riesce a descrivere l’amore, quello vero, quello che non si lascia imprigionare in un aforisma da cioccolatino, mentre il dissacrante Supervenus di Frédéric Doazan fa sorridere amaramente sul mito della bellezza a ogni costo.
L’impressione, detto altrimenti, è quella di un Festival di tutto rispetto, che tuttavia non pare supportato né dal pubblico né da un’organizzazione in grado di valorizzare tutto quello che di buono c’è in un programma (giustamente) ambizioso. Il Palladium era quasi vuoto e il previsto reading letterario di Michele Alaique è stato sostituito da un contributo audiovisivo dalla qualità tecnica assolutamente inadeguata, come del resto evidenziato dagli stessi organizzatori.
Il cortometraggio dovrebbe essere traghettato fuori dalla ristretta cerchia di amici, parenti e appassionati che non hanno di meglio da fare la sera. È una sfida ancora aperta. E ben venga chi, come Arcipelago, non esita a raccoglierla.
data di pubblicazione 11/11/2014
da Antonella Massaro | Ott 26, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Gala)
I premi Oscar Kevin Kostner e Octavia Spencer tornano sul grande schermo nelle vesti di due nonni, pronti a indossare l’armatura di indomiti contendenti nella battaglia legale per l’affidamento della piccola Eloise, rimasta orfana della mamma bianca e con un papà nero troppo dedito alla droga per prendersi seriamente cura di lei.
Due famiglie contrapposte, pronte a gettarsi senza esclusione di colpi nell’arena del tribunale, davanti a un giudice nero e per di più donna, al cospetto di un’America sullo sfondo della quale continua ad agitarsi lo spettro della discriminazione razziale.
Il bianco e il nero si stemperano gradualmente nelle categorie di ciò che è giusto e ciò che non lo è, senza colori netti e lasciando affiorare le innumerevoli sfumature che necessariamente riempiono lo spazio, non sempre così ampio, tra i due opposti cromatici.
Pur con qualche stereotipo di troppo, Black and White riesce nell’intento di veicolare un messaggio non ancora “passato di moda” e reso più incisivo da quel “ispirato a una storia vera”, che attribuisce al racconto una patente di toccante verosimiglianza. Resta forse un film eccessivamente “televisivo”, che non riesce a toccare le corde artistiche che ci si aspetterebbe di sentir vibrare in un Festival del Cinema, ma la prova convincente di tutti gli attori rappresenta un punto di indiscutibile forza. Un giudizio in definitiva né bianco né nero per un film da vedere, magari “in famiglia”.
data di pubblicazione 26/10/2014

da Antonella Massaro | Ott 20, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Gala)
Rapael, Gardo e Rato. Tre ragazzi brasiliani delle favelas che per arguzia, spirito e integrità morale nulla hanno da invidiare a Qui, Quo, Qua, diventano i protagonisti di una caccia al tesoro avviata dal ritrovamento di un portafoglio e scandita da prove di coraggio e di “decifrazione di codici” da far invidia al Robert Langdon di Dan Brown.
La spazzatura, muovendosi dal titolo del film, inonda lo spazio e la storia fin dalla prima inquadratura, divenendo la manifestazione esteriore di quella corruzione della politica che chiama alla rivoluzione gli scarafaggi scopertisi all’improvviso “persone”, titolari di diritti “umani”, inviolabili e inalienabili, che nessun potere costituito può permettersi di ignorare per troppo tempo. Del resto, come dice Gardo, alla spazzatura materiale ci si può abituare, mentre a quella umana è doveroso reagire, senza farsi troppe domande. Reagire, lasciandosi guidare dalla scia luminosa e “pulita” di chi ha creduto nel cambiamento, solo perché è giusto andare fino in fondo.
Trash è tratto dal libro per ragazzi di Andy Mulligan, sceneggiato dalla penna di Richard Curtis (Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Il Diario di Bridget Jones), diretto da Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours, ma anche The Reader). Una combinazione che non tradisce la aspettative, restituendo una pellicola caratterizzata da un ritmo narrativo che incalza e trascina e che, sebbene a volte tradisca un’ingenua deriva verso l’utopia travestita da favola, strappa l’applauso di una sala desiderosa di sognare, di sperare, di cambiare.
data di pubblicazione 20/10/2014

da Antonella Massaro | Ott 20, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Cinema d’Oggi)
Dopo la demitizzazione della mafia siciliana in La mafia uccide solo d’estate di Pif, la rassegnazione della ‘ndrangheta calabrese in Anime nere di Francesco Munzi, gli stereotipi della criminalità romana in Senza Pietà di Michele Alhaique, il cinema italiano dell’ultimo anno chiude il proprio tour geografico-criminale con la camorra che regna sulla Napoli del terremoto dell’Irpinia e del trionfo di Maradona, per poi seguire la traiettoria di una tanto prevedibile quanto inarrestabile parabola discendente.
I milionari di Alessandro Piva racconta la storia vera di “Alain Delon” (Francesco Scianna), abbagliato dal lustro di una vita dorata, ubriacato dalla strafottenza di chi è convinto di tenere ben saldo lo scettro tra le mani, appagato dall’illusione di una famiglia “normale”, che abita in una casa arredata come quella delle bambole, al piano di sopra rispetto all’ufficio.
Appena la proiezione del potere inizia a farsi più sgranata, affondando il coltello e le scariche di mitragliatrice negli affetti più profondi, riaffiorano quei dubbi che, fin da ragazzino, rendevano “Alain Delon” diverso dagli altri, riproponendo l’eterno dilemma di chi si trova a scegliere la malavita, sia pur con l’impressione di non avere altra scelta.
Film indubbiamente ben confezionato, che nulla però aggiunge rispetto al modello di genere, scontato negli esiti e con il perenne rischio, non del tutto scongiurato malgrado quanto affermato in conferenza stampa, di ammantare da un velo di eroismo quelli che il linguaggio comune definisce “pentiti” e che il più onesto linguaggio giuridico si limita a considerare “collaboratori di giustizia”.
data di pubblicazione 20/10/2014

da Antonella Massaro | Ott 19, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Sezione Gala)
Sesso, droga e discoteca. A questa triade Mia Hansen-Løve affida il suo viaggio attraverso la musica elettronica francese, legata a nomi, a partire da quello dei Daft Punk, che ancora fanno risuonare il “French Touch” nelle orecchie e nelle gambe della generazione cui appartiene anche la regista, classe 1981.
Il film ha il pregio di non cedere quasi mai alle pur suadenti tentazioni enciclopediche e didascaliche, ma il tentativo di restituire l’affresco interiore e interiorizzato di un mondo fatto di tanti sogni e troppe illusioni sembra infrangersi, almeno a tratti, negli stereotipi di un genere segnato da venature marcatamente adolescenziali. Ragazzi che crescono dopo essersi creduti adulti, sogni che non riescono a stabilizzarsi in un lavoro, il miraggio della gloria che fa perdere di vista la vita.
Il tutto filtrato dallo sguardo di Paul (Felix De Givry), incastonato in una faccia forse un pò troppo pulita per sostenere il ruolo in maniera pienamente convincente. Paul ama incontrare le donne di cui è stato innamorato, ma che a un certo punto scelgono di vivere senza di lui anziché sognare insieme a lui. Fino a quando non appenderà la consolle al chiodo, senza però rinunciare al ritmo che pervade l’esistenza. Perché solo chi ha ascoltato il silenzio può perdersi davvero nella musica. E solo chi si è perso davvero nella musica può tornare ad ascoltare il silenzio.
data di pubblicazione 19/10/2014

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