da Antonella Massaro | Dic 28, 2014
Sugli schermi italiani addobbati per le Feste arrivano le Storie pazzesche (titolo originale: Relatos salvajes) dell’argentino Damián Szifrón, introdotte dall’altisonante (e accattivante) “Pedro Almodóvar presenta”, che benedice con la sua produzione un esperimento dall’esito certamente non scontato.
Sei episodi che si snodano lungo il filo conduttore del “farsi Giustizia da sé”, ma che restano sufficientemente distinti e distinguibili. Forse anche troppo, per chi entra al cinema aspettandosi di vedere un film inteso nella sua classica accezione.
È un umorismo nero quello innescato dalla scintilla che fa esplodere la rabbia troppo a lungo repressa dei protagonisti. Scene di vita quotidiana: un’automobile rimossa “ingiustamente”, un insulto di troppo tra automobilisti, un incidente stradale con vittime innocenti (la goccia che fa traboccare il vaso in ben tre storie su sei è legata a situazioni attinenti derivanti dalla circolazione stradale), una vita di rifiuti e frustrazioni, le ombre del passato che si materializzano all’improvviso, il tradimento del proprio uomo scoperto durante la festa di matrimonio.
Quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa, l’unica via praticabile, quella più follemente razionale o più razionalmente folle, sembra indicata dalla Vendetta: a volta amara, a volte dolce, a volte liberatoria, a volte semplicemente necessaria.
Tra i sei episodi si registrano autentiche punte di diamante, come Pasternak, che precede i titoli di testa, o il tragicomico duello tra automobilisti ingaggiato in Il più forte. “Giustizia da sé”, unica soluzione follemente razionale quando si alza il telefono per chiamare la Polizia e la Polizia non risponde. Perché è proprio quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa che trova fertile terreno la Vendetta: a volte amara, a volte dolce, altre volte semplicemente necessaria.
Personaggi ben caratterizzati, colpi di scena al posto giusto e al momento giusto, una morale facilmente intuibile. Come nella migliore tradizione del cortometraggio d’autore. Perché più che a degli “episodi” (sono lontani i tempi d’oro di film come Paisà) lo spettatore ha proprio l’impressione di assistere alla proiezione di sei “cortometraggi”.
Dopo aver sdoganato il documentario, il grande schermo tenta l’impresa anche con i corti? Ai posteri l’ardua sentenza. Lo spettatore odierno può godersi nel frattempo il riso amaro di storie pazzesche, eppure così ordinarie.
data di pubblicazione 28 /12/2014
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da Antonella Massaro | Dic 14, 2014
Il Teatro Argentina, fino al 1 gennaio 2015, ospita Natale in Casa Cupiello, lo spettacolo che la penna dolce e amara di Eduardo ha reso mirabile sintesi di quella contraddittoria atmosfera della quale sono permeate queste settimane di Festa. La famiglia riunita, l’unità ritrovata, la statica perfezione del Presepe è quel che si vede. I legami che si allentano, i vuoti che non si colmano, l’inesorabile disfacimento dell’illusione è quel che si sente. Luca, ingenuo e utopico sognatore, prova a rendere il Presepe virtuoso catalizzatore di buone intenzioni e di buoni sentimenti, ma, costretto ad aprire quegli occhi che per troppo tempo ha tenuto chiusi, si troverà a disegnare la sua personalissima parabola, così cristologica eppure così umana, che dalla Natività conduce alla Morte.
Incidere sperimentalmente su un pezzo di teatro che tende alla perfezione nella sua versione originale è indubbiamente un’operazione ardita, come quella di valorizzare una messa in scena densa di simbolismi, che sviscera il testo e gli attori, che lavora sul linguaggio e sui corpi, quando si ha a che fare con battute che “parlano da sole”.
È sicuramente potente e suggestiva la resa della dialettica stasi-cambiamento, attraverso quell’immobilismo iniziale spazzato via dal movimento tumultuoso che invade letteralmente l’intero palcoscenico per poi ricomporsi nel finale in una plasticità pacata e armonica.
L’impressione dello spettatore, tuttavia, è quella di aver assistito a uno spettacolo nuovo, che resta “Natale in casa Cupiello” solo nel titolo e nel nome dei personaggi. La questione del “riadattamento dei classici” a teatro è troppo nota e troppo complessa per essere affrontata da uno sguardo laico. Quello stesso sguardo laico che però, almeno ogni tanto, preferirebbe che la rilettura di un testo non originale venisse sostituita dalla scrittura di un testo originale. E che Eduardo, almeno ogni tanto, non venisse riletto, ma solo interpretato.
data di pubblicazione 14/12/2014
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da Antonella Massaro | Dic 1, 2014
Dal 28 al 30 novembre 2014 il Teatro Furio Camillo di Roma si tinge di giallo con il raffinato ed esilarante Shottery Road, scritto e diretto da Chiara Spoletini.
Quando le cadenze narrative del giallo si affidano al ritmo travolgente del comico, i risultati sono spesso piacevolmente sorprendenti. E Shottery Road non delude le aspettative.
Gli italiani Stan e Oly sfidano le tenebre della campagna londinese e le insicurezze della loro inesperienza per eseguire un omicidio commissionato da un tanto facoltoso quanto misterioso mandante. Dopo aver trovato il coraggio di infrangere il vetro della finestra, però, i due compari trovano ad aspettarli “un cadavere già morto”. La scena del delitto diviene il crocevia di un susseguirsi incalzante di eventi e battute, che traghettano lo spettatore verso un esito affatto scontato, perennemente in bilico sull’eterna dialettica tra la realtà e la sua rappresentazione.
Gli interpreti (Gabriele Farci, Emanuele Gabrieli, Igor Petrotto, Ivano Picciallo e Ludovica Bei) fanno da solido supporto alla storia, specie nelle incantevoli parentesi in cui il linguaggio della voce tace per lasciare spazio al solo linguaggio del corpo.
Il cuore del giovane teatro italiano è vivo, pulsante e ha voglia di mettersi in gioco.
data di pubblicazione 1/12/2014
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da Antonella Massaro | Nov 27, 2014
(Festival Internazionale del Film di Roma – Gala)
Rapael, Gardo e Rato. Tre ragazzi brasiliani delle favelas che per arguzia, spirito e integrità morale nulla hanno da invidiare a Qui, Quo, Qua, diventano i protagonisti di una caccia al tesoro avviata dal ritrovamento di un portafoglio e scandita da prove di coraggio e di “decifrazione di codici” da far invidia al Robert Langdon di Dan Brown.
La spazzatura, muovendosi dal titolo del film, inonda lo spazio e la storia fin dalla prima inquadratura, divenendo la manifestazione esteriore di quella corruzione della politica che chiama alla rivoluzione gli scarafaggi scopertisi all’improvviso “persone”, titolari di diritti “umani”, inviolabili e inalienabili, che nessun potere costituito può permettersi di ignorare per troppo tempo. Del resto, come dice Gardo, alla spazzatura materiale ci si può abituare, mentre a quella umana è doveroso reagire, senza farsi troppe domande. Reagire, lasciandosi guidare dalla scia luminosa e “pulita” di chi ha creduto nel cambiamento, solo perché è giusto andare fino in fondo.
Trash è tratto dal libro per ragazzi di Andy Mulligan, sceneggiato dalla penna di Richard Curtis (Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Il Diario di Bridget Jones), diretto da Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours, ma anche The Reader). Una combinazione che non tradisce la aspettative, restituendo una pellicola caratterizzata da un ritmo narrativo che incalza e trascina e che, sebbene a volte tradisca un’ingenua deriva verso l’utopia travestita da favola, strappa l’applauso di una sala desiderosa di sognare, di sperare, di cambiare.
Il pubblico ha già incoronato Trash come vincitore del Festival Internazionale del Film di Roma 2014. Ora l’ultimo lavoro di Daldry arriva in sala, rievocando le atmosfere di The Millionaire e aspirando (legittimamente) a buoni risultati di botteghino.
data di pubblicazione 27/11/2014
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da Antonella Massaro | Nov 15, 2014
Al Teatro Due di Roma, dall’11 al 30 novembre 2014, torna in scena Come restare vedove senza intaccare la fedina penale, scritto da Stella Saccà, con la collaborazione di Luca Manzi (tra gli ideatori della serie televisiva Boris), al quale è affidata anche la regia.Gli Accreditati, presenti alla prima dello spettacolo, si sono trovati piacevolmente immersi in una serata scandita da battute fulminee e fulminanti, da momenti di introspezione e retrospezione, da un gruppo tenuto insieme da passione e professione.Quattro donne sulla scena (Beatrice Aiello, Camilla Bianchini, Serena Bilanceri, Stella Saccà). Quattro uomini evocati dalle loro storie. Quattro destini che si incrociano su Facebook. Quattro sogni che non si rassegnano alla disillusione. Quattro sconosciute che diventano amiche. Il piano è apparentemente semplice: ciascuna ucciderà il marito di una delle altre. Ma si sa che i piani apparentemente semplici sono quelli destinati a rivelarsi tremendamente complicati. Un intreccio che si svolge piacevolmente, con delle “parentesi talent” che strappano l’applauso a scena aperta.Un teatro da incoraggiare. Un teatro da scoprire.
data di pubblicazione 15/11/2014
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