da Antonella Massaro | Set 3, 2015
Basato su una storia vera. L’indicazione che compare nell’incipit di Everest, film di apertura della 72^. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, lascia emergere quel fil rouge del Festival insistentemente evidenziato dal Direttore Barbera fin dalla conferenza stampa di luglio: il legame con la realtà, in grado di attribuire alla storia il crisma dell’emozione autentica, sia pur conferito in questo caso con i pregi e difetti dello stile hollywoodiano.
La “storia vera” che l’islandese Baltasar Kormákur sceglie di affidare alla trasfigurazione del grande schermo, datata 1996, è ambientata sulla catena dell’Himalaya: la “scalata organizzata” diviene una moda di lusso rivolta a un pubblico di alpinisti non professionisti, motivati a sfidare il rischio del non ritorno da ragioni che, sia pur muovendo dalle prospettive più disparate, finiscono per convergere verso un unico punto di fuga.
Due diverse spedizioni, guidate da Rob Hall (Jason Clarke) e Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), si congiungono nell’ardito tentativo di condurre le proprie eterogenee squadre sulla vetta dell’Everest: 8.848 metri, la quota di crociera di 747, per provare a volare senza avere le ali. La risposta alla domanda “Perché?” non né automatica né scontata: si va perché si può, “testa bassa, passo dopo passo”, visto che in fondo conta più l’attitudine che l’altitudine e visto che, soprattutto, “now or never”. Il desiderio di superare i limiti imposti dalla biologica condizione di essere umano divengono una sfida con il proprio “io” inteso in una dimensione più ampia. Se però la poesia dello sport come specchio dell’introspezione individuale si incontra e si scontra con le logiche del mercato e del profitto, si rischia di finire in fila ai piedi del tetto del mondo come alle casse del supermercato di quartiere, smarrendo la capacità di comprendere fino in fondo il mistero della Natura e di fronteggiarne la conseguente Nemesi.
L’esibizione “iperrealistica” propria del 3D, unita all’assordante bufera del sonoro, conduce lo spettatore sui sentieri spettacolari della vertigine da capogiro, restituendo a tratti l’impressione di restare travolti dallo sferzante impatto dei cristalli di ghiaccio, mentre l’aria diviene sempre più insopportabilmente rarefatta.
C’è tanta Italia nel set di Everest: dalla Dolomiti agli Studi di Cinecittà, che compongono il mosaico insieme ai Pinewood Studios e reali paesaggi del Nepal.
Pur cedendo talvolta alle lusinghe del cliché del “genere alta tensione”, enfatizzato da una retorica melodrammatica pressoché inevitabile, Everest conferma le aspettative: un film di star e da botteghino, impreziosito da interpretazioni “minori” d’eccezioni, come quella di Keira Knightley, Emily Watson e Robin Wright; ma anche una riflessione sull’eterna e irrisolta storia di Icaro, sorpreso e “scottato” dell’ebbrezza del volo.
Data di pubblicazione 03/09/2015
da Antonella Massaro | Lug 17, 2015
(Roma, Arena Nuovo Sacher – 6/23 luglio 2015)
All’ombra di un pipistrello che disegna su un cielo torrido ma stellato la sua imprevedibile traiettoria di volo, scende nell’Arena del Nuovo Sacher La terra dei santi, “bimbo bello” di Fernando Muraca.
Dopo il successo di Anime Nere, torna sugli schermi la ‘ndrangheta. Un fenomeno criminale complesso e ancora in larga parte sconosciuto: il numero pressoché irrisorio di pentiti, dovuto non solo, come spiega il regista, al vincolo particolarmente stretto creato dal rito di affiliazione, ma soprattutto alla struttura familiare (in senso stretto) delle ‘ndrine, ha tenuto per molto lontana la mafia calabrese tanto dalle inchieste giudiziarie quanto dal cinema italiano.
La penna di Fernando Muraca e di Monica Zepelli (presente nell’Arena, di cui raccoglie il caloroso applauso quando Muraca ricorda il lavoro della stessa per I cento passi di Marco Tullio Giordana) tratteggia la ‘ndrangheta privilegiando una visione al femminile. “Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico”: le parole di Oriana Fallaci sintetizzano icasticamente i rischi ai quali si espone un’opzione narrativa di questo tipo, specie se cede alla tentazione di lasciarsi fagocitare dal comodo ricettacolo dello stereotipo cinematografico. Rischio ravvisabile, per quanto solo in minima parte, anche nella pellicola di Muraca.
La storia racconta le “vite parallele” del magistrato antimafia Vittoria (Valeria Solarino) e della donna di mafia Assunta (Daniela Marra, presente in Arena). Quest’ultima si sente costretta tra le sbarre della prigione dorata che la obbliga a sposare il fratello del marito ucciso e a partorire figli che andranno a rinforzare l’esercito della ‘ndrangheta. La linea dura di Vittoria, che, rievocando reali fatti di cronaca giudiziaria, arriva a chiedere la revoca della potestà genitoriale per donne che non possono definirsi “madri”, la costringeranno a fare i conti con scelte per troppo tempo rimandate. Il triangolo femminile è chiuso da Caterina (Lorenza Indovina), la donna del boss, disposta a gestire con il compagno latitante la regia dell’organizzazione. Modelli femminili diversi che si incontrano e si scontrano: da una parte la scelta della solitudine nella vita privata di Vittoria, che, senza marito e senza figli, in terra di Calabria è considerata al più una “mezza donna”; dall’altra il voto alla “famiglia” e alla “maternità” di Assunta e Caterina.
All’interno del triangolo si colloca felicemente l’agente di polizia interpretato da Ninni Bruschetta (presente in Arena), angelo custode tanto per Valeria Solarino quanto per Fernando Muraca, visto il prezioso supporto che il regista riferisce di aver ricevuto dall’attore nel corso delle riprese.
Muraca racconta di aver pensato subito a Lorenza Indovina per il personaggio di Caterina, viste le indubbie doti attoriali della stessa che hanno consentito al regista di lavorare su cambi di recitazione e di espressione tanto repentini quanto efficaci. La scelta di Daniela Marra ha invece richiesto oltre cento provini, per giungere infine a un’attrice giovane, non ancora famosa, dalla recitazione istintiva. Operazione riuscita. Non è un caso che nel dibattito successivo alla proiezione si parli pressoché esclusivamente di loro, mentre resta sullo sfondo il personaggio di Valeria Solarino, il più debole quanto a caratterizzazione e nel quale sembra ravvisarsi la tentazione allo stereotipo cui si faceva riferimento. Il regista conosce bene l’universo di sguardi e di omertà del quale si nutre la ‘ndrangheta e che ha sperimentato sulla sua stessa pelle quando la mafia ha distrutto l’azienda del padre. Tutto questo traspare chiaramente. Forse gli sceneggiatori conoscevano un po’ meno il mondo della magistratura e dell’antimafia, al quale si può “rendere giustizia” senza la necessità di dare corpo a eroine moraleggianti, guidate dalla sola missione di sconfiggere il Male. Nulla di particolarmente grave, se si considera che questo è un difetto di scrittura di molti dei film italiani che decidano di raccontare non solo l’assenza dello Stato (come avviene per esempio in Anime Nere), ma anche la sua difficoltosa presenza. Quello Stato che non è neppure in grado di fornire ai suoi funzionari delle penne cariche di inchiostro, come osserva Assunta in una delle battute meglio riuscite del film.
data di pubblicazione 17/07/2015
da Antonella Massaro | Lug 8, 2015
(Roma, Arena Nuovo Sacher – 6/23 luglio 2015)
Nelle notti di un’accaldata estate romana, mentre i profili delle zanzare e dei gabbiani si stagliano al chiarore di una luna generosa, si accende lo schermo dell’Arena Nuovo Sacher con Bimbi belli – Esordi del cinema italiano. La rassegna, diretta da Nanni Moretti con la collaborazione di Valia Santella (sceneggiatrice di Miele e Mia madre), seleziona i più interessanti debutti registratisi nella stagione cinematografica appena conclusasi. Le scorse edizioni hanno premiato registi come Paolo Sorrentino (L’uomo in più, 2002) e Francesco Munzi (Saimir, 2003).
Il programma 2015 si apre con Io sto con la sposa, documentario che coniuga i tratti tipici del road movie con quelli del cinema sociale o, forse sarebbe meglio dire, socio-giuridico.
Antonio Augugliaro (montatore e regista), Gabriele Del Grande (giornalista) e Khaled Soliman Al Nassiry (poeta) decidono di reagire “a modo loro” alla carneficina consumatasi nelle acque a largo di Lampedusa con il naufragio del 2013. Offrendosi quale alternativa ai trafficanti di uomini, divengono i traghettatori via terra di cinque palestinesi e siriani, sopravvissuti al Mare nostrum e decisi ad approdare in Svezia, il Paese europeo più benevolo nei confronti dei richiedenti asilo. Il piano è all’apparenza tanto semplice quanto geniale: l’improvvisata carovana fingerà di comporre un corteo nuziale, sceglierà le vie meno battute dai controlli e, superando le frontiere invisibili che separano gli Stati europei, giungerà nella Terra promessa.
Il risultato è quello di un coinvolgente diario di viaggio, fatto di sofferenze e di speranze, di passato e di futuro, di lacrime e di sorrisi. Il tutto legato dal filo di una sceneggiatura appena abbozzata, pronta a lasciarsi stupire dagli imprevisti dell’avventura e dalle insospettabili sfaccettature dei personaggi.
A fare da sfondo ci sono le distorsioni applicative del Regolamento di Dublino, abilmente svelate dall’esperienza dell’uomo della strada (e del mare) divenuto per l’occasione raffinato giurista. A fare da sfondo c’è lo spettro del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per il quale nessuna Procura della Repubblica ha ritenuto fino a questo momento di procedere. A fare da sfondo, infine, ci sono i diritti umani, quelli di cui si è titolari in quanto persone e non in quanto cittadini e in riferimento ai quali si impone come inderogabilmente necessaria una coincidenza tra il diritto positivo e quello naturale: il sole e la luna, in fondo, sono gli stessi per tutta l’umanità, osserva “la sposa”, che invoca la stessa legge universale anche per le acque di un mare divenuto per molti la sola via di salvezza.
Il colloquio di Antonio Augugliaro e Khaled Soliman Al Nassiry con Nanni Moretti e con il pubblico dell’Arena arricchisce la proiezione di dettagli preziosi: il “casting” e le difficoltà di individuare la sposa, le divergenze tra i tre registi durante il montaggio e la sofferta scelta del finale.
Il tutto mentre scorrono sullo schermo i nomi delle migliaia di “produttori dal basso”, che, attraverso la nuova frontiera (è proprio il caso di dirlo!) del crowdfunding, hanno consentito di raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del progetto. Perché la rete, ci conforta Augugliaro, può essere qualcosa in più di uno sterile “mi piace” distrattamente abbandonato su Facebook. La rete in questo caso è stata in grado di traghettare un film e le sue storie fino al (e oltre il) Lido di Venezia, segnando un debutto cinematografico che “Bimbi belli” non poteva ignorare.
data di pubblicazione 7/7/2015
da Antonella Massaro | Lug 4, 2015
(25 aprile/1 novembre 2015)
Quando le luci di una tecnologia del futuro incontrano le ombre di un mistero del passato, il risultato è uno spettacolo in grado di far brillare gli occhi stupiti del presente.
Il progetto di Piero Angela e Paco Lanciano, che già lo scorso anno aveva fatto registrare un ottimo risultato di pubblico, torna a vestire di incanto tridimensionale le notti dei Fori imperiali. Dal 25 aprile al 1 novembre 2015, ogni sera, è possibile incamminarsi virtualmente lungo i sentieri del Foro di Augusto e del Foro di Cesare, regalandosi un’esperienza in cui le anime del museo e del libro di storia si fondono con quelle dell’arte digitale e del cinema.
Il viandante che decida di concedersi quaranta minuti di ristoro tra i caldi marmi del Foro di Augusto non deve far altro che accomodarsi sugli spalti di legno allestiti per l’occasione sui bordi di via dei Fori imperiali: le cuffie collegate al dispositivo elettronico ricevuto in dotazione penseranno al resto. Se il viandante parla italiano, il suo viaggio virtuale sarà scandito dalla familiare voce del divulgatore per antonomasia Piero Angela, ma, in omaggio a Roma caput mundi, il racconto è disponibile anche in inglese, francese, spagnolo, tedesco, russo, giapponese e cinese.
Le ombre della notte a poco si diradano, sollevate dall’avvicendarsi di luci ed effetti speciali, perfettamente sincronizzati con il commento vocale e gli effetti sonori. Le colonne e le scalinate si illuminano, le monumentali statue che furono si ricompongono muovendo dagli imponenti frammenti che sono, i pavimenti e le volte tornano a splendere di colori. Il Foro tornato in vita è prima lambito dal riconciliante scroscio delle fontane ornamentali, poi inondato dalle distruttive fiamme dell’incendio “di Nerone”, in attesa che l’arte divinatoria degli aruspici annunci la stesura del nuovo capitolo di una storia rimasta eterna.
Il Foro era la piazza, l’Agorà, il crocevia del fermento sociale e politico, il Tribunale dove si amministrava la Giustizia gettando le basi della nostra esperienza giuridica. Un fermento che torna a brillare, a impressionare, a stupire, tenuto insieme dal disegno politico dell’Imperatore Augusto, dalla longevità della “sua” Pax, dall’abbaglio dei “suoi” artisti sostenuti da Mecenate.
Non importa quanto storicamente precise e dettagliate siano le informazioni fornite, perché il fascino del divulgatore risiede anche (e soprattutto) nella capacità di spalancare le porte della cittadella che custodisce il segreto del sapere specialistico. Operazione riuscita, accompagnata da una ricostruzione audio-visiva che non pare eccessivo definire “spettacolo”.
Informazioni, orari e costi su www.viaggioneifori.it.
data di pubblicazione 04/07/2015
da Antonella Massaro | Lug 4, 2015
La stagione estiva dell’Accademia di Santa Cecilia, all’Auditorium di Roma, può contare su un’inaugurazione d’eccezione: Morricone dirige Morricone. Il Maestro, che proprio presso il Conservatorio di Santa Cecilia ha intrapreso la sua formazione musicale, torna a impugnare la bacchetta con salda delicatezza per dirigere quelle note che lo hanno reso celebre, indissolubilmente legate, nell’immaginario collettivo, a immagini cinematografiche che hanno fatto letteralmente il giro del mondo.
Il concerto si apre con la Meditazione orale, scandita dalla voce “in campo” di Pier Paolo Pasolini e si chiude con il vibrante bis affidato (anche) alle note de La ballata di Sacco e Vanzetti. Nel mezzo i toni epici de La Bibbia e quelli eroici de Il Buono, il Brutto e il Cattivo, le atmosfere legal di Indagini di un cittadino al di sopra di ogni sospetto e quelle suadentemente malinconiche di Malena.
A fare da collante il sogno, sempre coinvolgente, di Nuovo Cinema Paradiso, proprio nei giorni in cui si diffonde la notizia che Giuseppe Tornatore ha in progetto la realizzazione di un documentario che renda omaggio a “vita e opere” del Maestro Morricone.
L’esecuzione dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, maestosamente impeccabile, è ulteriormente impreziosita dalla voce del Soprano Susanna Rigacci.
I classici che si intrecciano a brani inediti regalano a una Sala Santa Cecilia gremita il melodico sogno di una notte di mezz’estate, attraverso quella combinazione tra cinema e musica che è in grado di tenere insieme un pubblico eterogeneamente composito, desideroso unicamente di affidarsi alla direzione di un Maestro appassionato e appassionante.
data di pubblicazione 04/07/2015
Pagina 24 di 31« Prima«...10...2223242526...30...»Ultima »
Gli ultimi commenti…