da Alessandro Pesce | Nov 8, 2015
(Piccolo Eliseo – Roma, 4/22 novembre 2015)
Una storia vera, accaduta in Argentina ai tempi della dittatura militare, una storia talmente straordinaria da meritare di diventare uno di quei film che fanno sognare, una storia privata che è un simbolo di speranza anche se è estremamente tragica. Per adesso non è un film ma un piccolo dramma scritto dal giornalista Claudio Fava che ha frequentato altri territori egualmente terribili . I ragazzi del “Mar del Plata”, una squadra di rugby, reagiscono all’assassinio brutale di uno di loro, colpito perché contrario al regime di Videla, decidono di dedicare un minuto di silenzio allo stadio prima della partita. I minuti sono talmente commossi e intensi che diventano due, tre, e alla fine ben dieci, un lungo silenzio corale di tutto lo stadio, un inno di libertà. La rabbia del regime ne punirà altri ma quei dieci minuti da allora equivalgono Coraggio al Sogno alla Ribellione .
Il testo di Fava pecca, forse, di qualche ingenuità, ma è sincero, teso, toccante. Strutturato a scene topiche, che tratteggiano l’escalation della vicenda, poteva scadere nel minimalismo. Ma per fortuna non accade grazie alla accorta regia di Giuseppe Marini che orchestra il corale gruppo di bravi attori e inserisce intelligentemente delle scene onirico-ronconiane come il bell’incipit e la scena della riflessione dei torturatori. Indovinata la scenografia a due piani con gli armadietti dello spogliatoio, cast, s’è detto, efficace, molti applausi alla première al Piccolo Eliseo
data di pubblicazione 08/11/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Pesce | Ott 25, 2015
Il cinema dell’America latina si conferma in ottima forma, da qualche anno il Sudamerica è fucina di nuovi importanti talenti registici, in primis il cileno Larrain a cui proprio la festa romana ha dedicato una retrospettiva e che ha vinto la Berlinale 2015, mentre anche all’ultima Venezia altri due registi ,uno venezuelano e uno argentino, hanno meritato i premi principali.
Davvero sorprendente è questo Eva no Duerme firmato da un giovanissimo ma già maturo astro, Pablo Aguero che come i suoi predecessori ha affrontato un tema scabroso, legato alla storia del suo paese, l’Argentina svolgendolo con impressionante originalità e creatività senza ossessioni realistiche, ma anzi con felici esiti visionari e potenti.
La storia è quella, che ha dell’assurdo, ma è vera, della complicata vicenda della salma dell’eroina Evita Peron, che alcuni governi e regimi hanno sottratto all’adorazione popolare prima di celarla in Patria e poi spedita in Vaticano, infine a furor di popolo riportata in Patria prima di una definitiva sepoltura e cementificazione.
I temi in gioco sono tanti e impegnativi: il valore delle icone popolari, l’eventuale sfruttamento di esse, la parabola di un Paese, l’incubo di una Storia sempre sull’orlo di abissi illiberali, eppure l’inventiva del giovane Aguero risolve con freschezza e stile personalissimo, trasformando la vicenda in esemplare apologo.
Spiace dirlo ma in Italia nessuno ha saputo trattare simili spettri del nostro passato, ad esempio l’argomento terrorismo anni settanta, con eguale e clamorosa forza espressiva.
data di pubblicazione 25/10/2015
da Alessandro Pesce | Ott 18, 2015
Yoko è in una navicella spaziale, l’ha scelta per l’arredamento rétro, è tutta sola in quella navicella, con l’unica compagnia del computer e di un rubinetto che perde gocce. Yoko fa la postina intergalattica da un pianeta all’altro, portando oggetti comuni e di un passato arciremoto; inoltre Yoko annota su un diario maniacalmente tutto ciò che fa e che nota, comprese le gocce che perde quel rubinetto. Yoko preferirebbe che gli abitanti dei pianeti usassero il teletrasporto, invece continuano a scegliere di ricevere pacchi, per emozionarsi ancora. Al di fuori, paesaggi post atomici e qualche raro esemplare umano. Il tempo scorre sempre uguale per Yoko, scandito dalle sue consegne, dai suoi tempi, da qualche incontro, qualche inconveniente, qualche notazione ironica. Questo suo tempo sembra come la rappresentazione più vicina all’idea di infinito, ma l’angoscia non prevale, proprio per la pulizia e la normalità che traspare dai gesti e dai pensieri di Yoko.
E allora fa capolino la sensazione che il film di Sion Siono non voglia parlare tanto dello spazio e del futuro apocalittico quanto della nostra vita ieri come oggi come sempre nel suo trascorrere, atemporalmente vacuo.
data di pubblicazione 18/10/2015
da Alessandro Pesce | Ott 14, 2015
(Teatro Quirino – Roma, 13 ottobre/1 novembre 2015)
Il bugiardo è una commedia scritta da Carlo Goldoni nel 1750, ispirata alla Verdad sospechosa dello spagnolo Juan Ruiz de Alarcón e vede al centro la figura di Lelio, giovane che non concepisce vivere senza quel quid di “ fantasia” rappresentata dalla miriade di bugie con cui arricchisce la propria esistenza e che non arretra neppure quando il gioco delle menzogne, o meglio, come le chiama lui, delle “spiritose invenzioni” si fa estremamente intricato e diventa un laccio troppo stretto. Ma mentre la morale goldoniana gli suggerisce saggezza illuministica, lui finisce ribellandosi a tale destino proclamando che non rinuncerà mai alla fantasia e quindi a crescere.
La lettura del grande regista franco-argentino Alfredo Arias nasce da una semplice constatazione riferita alle radici del personaggio Lelio: nato a Venezia, dove sta per tornare, ma vissuto e educato a Napoli. Ecco, Napoli e Venezia, cioè le due città che sono tradizionalmente l’”anima” del Teatro e quindi è naturale assimilare la finzione del personaggio alla finzione scenica, tout court, e così la metafora teatrale si rivela e gli attori diventano una famiglia di comici di oggi che recita Il bugiardo di Goldoni, idea che apre la porta a felici soluzioni registiche soprattutto appannaggio dei protagonisti e delle maschere, ma che suscita qualche perplessità nel momento del finto “intervallo” quando gli attori si lasciano andare a qualche riferimento di attualità che si poteva evitare.
Per il resto il ritmo dello spettacolo è efficace e la fantasiosa regia è sostenuta da una compagine attoriale di alto livello, dal protagonista Geppy Gleijeses, un Lelio sfrenato e spiritosissimo al figlio LorenzoGleijeses funambolicamente perfetto nel doppio personaggio di Brighella e Arlecchino e poi Andrea Giordana nella generosità di Balanzone padre, Marianella Bargilli, una Rosaura inedita sofisticata e un po’ “dark” e tutti gli altri bravi attori festeggiatissimi nel finale.
data di pubblicazione 14/10/2015
Il nostro voto:
da Alessandro Pesce | Ott 8, 2015
Durante una spedizione su Marte, una tempesta tremenda costringe l’equipaggio a partire improvvisamente, ma dimenticano un uomo sul pianeta. Per fortuna questo navigatore non si perde d’animo ed escogita sistemi per sopravvivere da solo lassù.
Per raccontare questa storia Ridley Scott sceglie di usare il filtro della memoria degli anni 80 sia evocando lo stile di certe pellicole simili sia facendo ricorso a una strabordante serie di stereotipi del tipo in voga in quell’epoca: fantasia sfrenata e poco credibile nell’immaginazione fantastica, un umorismo da Happy Days (Fonzie compreso), facile esultanza ad ogni risultato raggiunto, applausi e certe ingenuità volute compresa l’insistita presenza di canzoni datate e disco music.
Indubbiamente Scott riesce a divertire e a ritrovare una vena che sembrava scomparsa nelle ultime prove scialbe, ma il gioco su cui basa il film presto mostra la corda, ovvero, forse, siamo noi pubblico a non essere più disposti ad accettare quel tipo di “divertissement”, fatto sta che il risultato finale è modesto, la lunghezza del film è sproporzionata e Damon protagonista è sprecato.
data di pubblicazione 08/10/2015
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