PEREZ. di Edoardo de Angelis, 2014

PEREZ. di Edoardo de Angelis, 2014

(71ma Mostra di Venezia – Fuori Concorso)

Si accende lo schermo su una  veduta notturna del golfo di Napoli che si fonde successivamente in uno scenario irreale, una Napoli di grattacieli all’apparenza vuoti e desolati, come una City di un fantafilm sinistro. Perez è un avvocato d’ufficio, uno di quelli che accettano le cause che nessuno altro vuole. C’è qualcosa di cupo nel suo passato che deve averlo annientato; l’unica persona che per cui pare avere dei sentimenti è sua figlia, Tea, chiamata così perché TEA è il femminile di DIO.

Il  suo incontro con un pentito di camorra che lo sceglie come difensore cambierà il suo destino, ma neppure questo è certo, nulla sembra essere univoco e tranquillo in questa  storia.

 E’ un bel personaggio, Perez, come anche gli altri protagonisti del racconto, che sembrano usciti da un libro di Scerbanenco o di Simenon, con le dovute ambiguità di innegabile fascino.

Ma non è il solo pregio di questo eccellente film, firmato da un autore che già vanta diverse prove nei cortometraggi e un lungometraggio di due anni fa, Mozzarella Stories, folle e geniale sebbene un pò irrisolto. Qui non c’è più la vena grottesca e deforme di quel film, che era senza dubbio influenzata dal grande Kusturica, suo estimatore,  ma c’è una maggiore consapevolezza, robustezza, maturità e la potenza di certe immagini visionarie conquista (si noti quello squallido Castelvolturno). Interpreti  eccellenti: uno Zingaretti  insolitamente introiettato, il camaleontico Massimilano Gallo nei chiaroscuri del pentito e una sensibilissima giovane presenza femminile, Simona Tobasco, che è Tea. Consigliato.

data di pubblicazione 9/10/2014


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UN RAGAZZO D’ORO di Pupi Avati, 2014

UN RAGAZZO D’ORO di Pupi Avati, 2014

Molto spesso il cinema di Pupi Avati ha incontrato, in primo piano o magari in maniera più sottesa e non protagonista, le tematiche familiari. Per limitarci agli ultimi anni ricordiamo Il papà di Giovanna, tutto sommato convincente con qualche eccesso mélo ed Il figlio più piccolo dove la cattiveria, la cialtronaggine d’ambiente e di caratteri sfociavano in un intreccio assai poco strutturato. Qui c’è un figlio insicuro, alle prese con la memoria rancorosa di un padre sceneggiatore di quart’ordine a cui segue, forse, una probabile apertura grazie al personaggio di un’editrice interessata a una biografia dello scrittore di “ filmacci”.

Interessante questa fusione tutta cerebrale tra memoria del genitore e nuova possibile vocazione del ragazzo, ma purtroppo resa maluccio, con i soliti intoppi e sbavature di un poeta non più lucidissimo, ahimè.

Non ci si aspettava del meta-cinema (anche se qualche accenno c’è) e neppure un riferimento all’imperante tema contemporaneo dell’assenza del PADRE, ci saremmo accontentati di una storia intimista meglio raccontata. Scamarcio sempre più maturo, Sharon Stone spaesata ma naturalmente affascinante, discreti ma senza voli gli altri.

data di pubblicazione 3/10/2014


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PRANZO DI NATALE di Danièle Thompson, 2014

PRANZO DI NATALE di Danièle Thompson, 2014

Lo stress prenatalizio , che fa esplodere i conflitti interpersonali e porta a  emergere improvvise voglie di fuga, non è solo  caratteristica nostrana (ricordate “Matrimoni” della Comencini?) ma evidentemente miete vittime anche oltr’alpe. Il film della Thompson segue le vicende di una famiglia “allargata” nei tre giorni prima del 25 dicembre, da un funerale dove tutti bisbigliano dei preparativi e dei regali da fare fino al giorno del fatidico pranzo che non vedremo (ma nei titoli di coda c’è una autentica ricetta francese). Vediamo i personaggi nei loro intricati rapporti e sentiamo le loro confessioni rivolte direttamente al pubblico in una indovinata soluzione da quarta parete. Appena un pizzico di deja vu viene perdonato grazie alla brillantezza dei dialoghi e alla bravura iperbolica degli attori: Sabine Azema (scatenata anche nel ballare e cantare), le incantevoli  Emanuelle Behart e  Charlotte Gainsbourg e i carissimi Claude Rich e Francoise Fabian: scusate se è poco…

THE DREAMERS di  Bernardo Bertolucci, 2003

THE DREAMERS di Bernardo Bertolucci, 2003

E’ la storia di  Theo e Isabelle, gemelli , con relativo legame sconvolgente ed unico. Essi vivono di immaginario cinematografico, quando non sono in cineteca a gustarsi Samuel Fuller o Fred Astaire, Godard o Greta Garbo, Freaks o Mouchette, vivono chiusi in casa fingendo sempre come in un film, o replicando le finzioni viste sullo schermo; e la finzione diventa vita in tutte le sue manifestazioni , sesso e morte compresi. Incontrano  Matthew, studente americano e sentendolo affine  lo fanno partecipe della loro “rappresentazione” . E’ soltanto un aborto di vita, però, questo rapporto, perché i due gemelli (e viene il sospetto che potrebbe trattarsi di una sola persona con due identità sessuali) sono troppo ancorati al loro mondo interiore. Finché un giorno la Storia, quella vera, li scuote arrivando con un sasso dalla finestra di casa, impedendo la morte di Isabelle ma proiettandoli nella realtà. E’ l’infanzia perduta, o soltanto la continuazione della finzione?

Questa è anche la storia di una rivoluzione mai cresciuta, di un’ illusione rimasta tale, che tuttavia ha segnato definitivamente la vita di noi tutti perché da allora nulla è stato mai più uguale, nel bene e nel male e forse le vere rivoluzioni sono queste, le metamorfosi del pensiero e del modo di vivere. E l’entusiasmo dei  ragazzi evocato nel film è un fermento, una speranza che, a detta dell’autore, mancherebbe alle nuove generazioni.

Trattandosi di illusioni infine questa NON PUÒ NON essere pure la storia dell’illusione cinematografica: The Dreamers, intitola Bertolucci, quasi accreditando l’antico luogo comune cinema = sogno ma nel film ricorda altresì la frase dei Cahiers di cinema  secondo cui il regista è voyeur che spia dal buco della serratura,  come lui stavolta, appunto, spia tre sognatori del 68.

Tutto senza rimpianti, naturalmente come nel pezzo di Edith Piaf che sottolinea il finale (è la seconda volta in pochi giorni, dopo il film dei Cohen, che si ascolta “non je ne regrette rien” al cinema !!)….Non mi meraviglia che questo mare di cinema su cinema e cinema nel cinema che è The dreamers abbia affascinato un critico come Ghezzi. Secondo me,  invece, mi spiace, è il solito Bertolucci  degli ultimi anni, splendido in alcune sequenze (quella iniziale alla Cinemathèque per esempio) ma irritante in altre,  spesso ingenuo, ambiguo anziché no, sfilacciato, meno asciutto che nel suo penultimo film L’Assedio, e ancora lontano anni luce dall’autore  di Partner o di Strategia del ragno, e anche dallo stra-citato Ultimo tango : ma quello è stato  un suo periodo aureo che come il 68 non tornerà mai più.


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IL PRINCIPIO DELL’INCERTEZZA di Manoel De Oliveira

IL PRINCIPIO DELL’INCERTEZZA di Manoel De Oliveira

La dolce Camilla dovette subire, a soli 13 anni, le molestie di un vecchio signore, come pegno per un debito di gioco del di lei padre, e da quel momento la sua psiche si incanalò verso un percorso di vocazione al martirio (come per tutta la durata del film ci ricorda una statuetta di Giovanna D’Arco piena di ragnatele). Tale condizione caratterizzerà tutti i suoi rapporti col mondo e le persone che la circondano.
Ma, come si sa, l’estrema bontà e la castità sovente sono una forma di perversione acuta e così quella che tutti immaginano come l’angelo del bene sarà la passiva artefice del disastro.
É questo personaggio straordinario ad emergere nel gioco di dualismi che si dipana nel film: gli uomini e le donne, il fratello vero e quello pseudo-fittizio (sostituito nella culla con una trovata da telenovela), la bontà e la trasgressione, l’ordine e il disordine.
E il principio dell’incertezza, che governa maldestramente le azioni, è null’altro che la fragilità dell’uomo al cospetto dei misteri del destino e della psiche. Il tutto è raccontato in un Portogallo attuale ma al contempo fuori da ogni dimensione temporale, con lo stile straniato che De Oliveira usa spesso. Questo succede sin dalla prima scena, dove i due fratelli Roper, curiosi intellettuali di provincia, chiacchierando su un battello ci svelano gli antefatti di coloro che saranno i protagonisti a mo’ di prologo. Ma non meno importante dell’impianto teatrale sono gli scorci del paesaggio portoghese (siamo dalle parti di Oporto) che si inseriscono, puntuali e significativi, nel racconto. Certo bisognerebbe rivedere il film in moviola per tentare di decifrare gli innumerevoli simboli e comprendere tutti i dialoghi e i filosofemi seminati nella pellicola da questo sempre lucidissimo allora ultranovantenne Maestro del cinema, morto a 106 anni l’altro giorno