AMERICAN ANARCHIST di Charlie Siskel, 2016

 (73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)

The Anarchist Cookbook” è il noto “manuale del perfetto rivoluzionario”, con tanto di ricette per la fabbricazione domestica di ordigni esplosivi, che pare abbia rappresentato la lettura preferita degli attentatori che hanno insanguinato la democrazia americana negli ultimi decenni. William Powell prova a spiegare cosa significhi essere l’autore di quel libro.

Le stragi più sanguinarie che hanno ferito (in senso non solo materiale) la democrazia americana negli ultimi decenni, dal massacro alla Columbine High School agli ultimi delitti targati ISIS, parrebbero svelare un minimo comun denominatore. Molti degli attentatori erano in possesso di una copia di The Anarchist Cookbook, libro scritto da William Powell e pubblicato nel 1970. Una sorta di “manuale del perfetto rivoluzionario”, in cui, accanto al manifesto ideologico di chi si faceva portavoce della controcultura in grado di salvare il mondo, figurano ricette illustrate in grado di spiegare, in maniera accessibile anche ai meno esperti, come fabbricare esplosivi o realizzare sabotaggi. Un caso letterario e politico capace di andare ben oltre la contingenza del ’68, anche grazie alla moltiplicazione esponenziale assicurata dal web e dalla facilità di acquisto garantita da Amazon.

In American Anarchist, presentato fuori concorso alla 73. Mostra di Venezia, Charlie Siskel dà voce proprio all’autore William Powell, morto qualche mese fa (luglio del 2016). L’uomo a volte ironico e a volte smarrito che compare sullo schermo sembra del tutto diverso, persino nello sguardo, dal ragazzo di 19 anni che, imbevuto di ideali e di speranze, credeva nella necessità di “fare la rivoluzione”. Prova rimorso per quello che ha scritto e per come lo ha scritto, ma non ha posto fine alla distribuzione del libro nel momento in cui avrebbe potuto ritirarlo definitivamente dal mercato. Non si sente responsabile delle stragi compiute, ma non può negare di avvertire la responsabilità e il vero e proprio rimorso (che è cosa diversa dal rimpianto) per uno strumento che si è prestato a un uso distorto. Chi scrive un libro non è certamente assimilabile a chi commette una strage, per quanto le parole si sono rivelino spesso armi potenti quando si tratta di giustificare la violenza. Le bombe fabbricate secondo le ricette di Powell hanno fatto vittime anche nelle scuole: nella sua “seconda vita”, per una sorta di curioso e crudele paradosso, Powell si dedica proprio all’insegnamento, specie a favore di quei “ragazzi difficili” che hanno trovato nel suo manuale il mezzo per comunicare con una società poco inclusiva nei loro confronti.

American Anarchist può essere osservato da almeno due prospettive. Focalizzando l’attenzione unicamente sul contenuto, si tratta indubbiamente di una storia che merita di essere raccontata, non solo perché sconosciuta al grande pubblica, ma perché offre la possibilità di rileggere criticamente un passato ancora molto recente. Volgendo invece lo sguardo al contenitore, sembra difficile scorgere un prodotto cinematografico capace di andare oltre la (pur interessante) intervista corredata da (ancor più interessante) materiale di repertorio.

Sembra in ogni caso condivisile la scelta di offrire a un documentario di questo tipo una vetrina tanto prestigiosa come quella di Venezia. Resta però un interrogativo: se The Anarchist Cookbook fosse stato il manifesto di un’ideologica esattamente speculare a quella “sessantottina”, si sarebbe trattato di un’operazione altrettanto “digeribile”?

data di pubblicazione: 02/09/2016







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