(Teatro Eliseo – Roma, 17 Gennaio – 7 Febbraio – 21 Marzo 2017)
Viaggio poetico con escursioni di grammatica storica, sotto la guida virgiliana di Luca Serianni e della sua sensibilità retorica.
Non solo musica e teatro, ma anche cultura, per un Eliseo a tutto tondo. Serianni (esimio linguista e filologo) seziona i sonetti come un chirurgo, lasciando assistere il pubblico all’operazione ed estasiandolo con i versi della poesia comico-realistica del Duecento.
In questo primo rendez-vous viene trattato il maledettismo toscano, rappresentato da poeti che conducevano una vita dissoluta, la quale suscitava la reazione (e repulsione) nella comunità. Tra questi vi era Cecco Angiolieri, proveniente da una nobile famiglia senese e dedito al gioco e alle donne; vizi che lo porteranno a disperdere la sua ricchezza, tant’è che i figli rifiutarono l’eredità perché gravata da pesanti debiti.
Il sonetto introduttivo selezionato da Serianni è suo: “S’i’ fosse foco”; poesia in cui Cecco – immaginandosi acqua, fuoco, vento (e persino Dio!) – si scaglia contro il mondo intero, in modo divertente e irriverente.
Si prosegue questo viaggio poetico con un altro sonetto dello stesso autore “Accorri accorri accorri, uom, a la strada!”, pregno di insulti ed espressioni volgari. In questo caso Cecco dialoga con una donna, rea di averlo derubato del suo sentimento amoroso. Lei, in risposta alle sue accuse, si prende gioco di lui, canzonandolo. Da notare l’assenza di donne angelicate (come invece in Petrarca e Dante), ma donne reali e per questo scherzose. Alla recitazione del verso “fi’ de la putta”, ci viene raccontato un curioso aneddoto, a testimonianza di come tale espressione fosse utilizzata anche nelle corti. Nella Basilica inferiore di San Clemente (a Roma) è presente un affresco in cui sono raffigurati alcuni miracoli attribuiti a san Clemente. In uno di questi è raccontata la leggenda miracolosa del prefetto Sisinnio, il quale, arrabbiato a causa della conversione della propria moglie Teodora, la seguì con alcuni soldati; quando la trovò in una sala mentre assisteva ad una messa celebrata da Clemente, ordinò il suo arresto, ma Dio non lo permise accecando Sisinnio e i soldati. Quest’ultimi, credendo di portare via Teodora e Clemente, in realtà trascinarono colonne e per la loro lentezza furono insultati dal padrone, come riporta l’iscrizione ancora presente sull’affresco: “traete figli delle pute”.
Altra poesia recitata da Serianni è “Becchin’amor”, caratterizzata da un’ambientazione popolare, ove è la donna a dettare legge, in una posizione psicologica dissimmetrica, che non ha niente a che spartire con gli archetipi alti della poesia. La donna amata da Cecco, Becchina appunto (il cui vero nome era Domenica), lo ha sempre assecondato finché questi ha avuto i soldi per pagare tutto, e poi gli si è rivoltata contro. Qui Angiolieri esprime tutto il suo virtuosismo letterario, utilizzando solamente emistichi (mezzi versi), i quali rappresentano battute di un dialogo con l’amata.
Si prosegue poi con Rustico di Filippo (iniziatore di questo filone), con la sua “Oi dolce mio marito Aldobrandino”, ove una donna adultera si fa gioco del marito, sottolineandone la sua ingenuità. Il poeta fiorentino mescola parole della lirica (cortese, fino) con quelle volgari: contrapposizione tra l’amor cortese e quello carnale.
Ognuno dei sonetti sin qui declamati (diverso per impostazione) offre un differente punto di vista della poesia realista, distante da quello amoroso tipico, dove – al contrario – l’innamorato non riesce, non può, non deve conquistare la donna amata: un amore impossibile.
L’ultimo componimento letto da Serianni è una tenzone (scambio polemico in versi) tra Dante e Forese Donati, personaggio che Alighieri incontrerà nel Purgatorio mentre espìa la pena dei golosi. Nel passo preso in considerazione abbiamo modo di gustare l’autore della Divina Commedia in una veste ai più sconosciuta: offende il rivale dicendogli che è figlio di padre ignoto e infanga il suo nome (tant’è che inizialmente i filologi non ritenevano fosse opera del sommo poeta).
L’analisi attenta di queste poesie permette di assaporare un genere nascosto e allegro, diverso da quello che si è imposto successivamente; di scoprire “l’altra faccia della Luna”, accompagnati dalle parole misurate del professore.
L’unico appunto che si può muovere alla lezione è il mancato riferimento alla splendida trasposizione musicale realizzata da De Andrè della poesia “S’i’ fosse foco”, che si sarebbe volentieri ascoltata – visti anche i mezzi tecnologici messi a disposizione del teatro: ogni poesia era efficacemente proiettata su di un telo bianco. Canzone che ha restituito al testo quella musicalità e giocosità che lo contraddistinguono. Elementi che purtroppo mancano nella disamina cadenzata (e frammentata: in cui viene letto verso per verso) del professore, la quale, seppur impeccabile, annulla il ritmo incalzante dei sonetti.
Sorprendente la numerosa presenza di giovani in teatro.
Gaudeamus igitur.
data di pubblicazione:19/01/2017
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