ABBIAMO VISTO Fa’ afafine …

Nella lingua di Samoa esiste una parola, fa’ afafine, che definisce quei bambini e adulti poi, che non amano identificarsi in un sesso o nell’altro, una sorta di terzo sesso a cui la società samoana non impone una scelta. E Samoa è l’isola in cui Alex, il protagonista dello spettacolo teatrale Fa’ Afafine, mi chiamo Alex e sono un dinosauro, vuole andare a vivere insieme a Elliot il compagno di scuola di cui si è innamorato. Giuliano Scarpinato, palermitano, vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014, non si è lasciato intimorire né dalle polemiche, né dalla censura che la sua città ha rivolto allo spettacolo, seppur prodotto dal Teatro Biondo, e ha continuato a spiegare a chi voleva incastrarlo in una categoria, che in realtà la “visione è più ampia: s’interroga sulla specificità di ciascuno di noi, oltre le categorie e gli stereotipi.”

Alex è uno di quei bambini che in America stanno tenendo sulle spine psicologi e sociologi, perché non riescono a scegliere un genere a cui appartenere e fanno la spola tra l’essere maschio e vestirsi come tale, e l’essere femmina e indossare un bel vestito azzurro da principessa come fa Alex sul palco.

È mattina e fuori dalla porta della camera di Alex i genitori, come in ogni casa del mondo, non fanno che incalzarlo: è tardi bisogna prepararsi e uscire di corsa per andare a scuola e loro al lavoro, ma Alex non riesce a decidere tra il decolté rosso di mamma con tacco e gli scarpini da calcio e a poco a poco dalla fessura della porta racconterà tutto ai due nervosi genitori. Lui vuole andarsene con Elliot a Samoa e non dover più decidere cosa è meglio essere. La stanza diventa una navicella spaziale per il viaggio, e le pareti mare, ricche di pesci colorati. Lui viaggia felice con i suoi amici inseparabili: una indossatrice nuda che ha abbandonato la carriera (una barbie), un maialino e un cane di gomma e quella stanza non ha più confini, è tutto il mondo, perfino la luna e il sole possono starci allo stesso tempo.

Nella bella regia di Scarpinato che interpreta il padre di Alex, (la madre è Gioia Salvatori) i genitori sono solo in video, visti attraverso la toppa della porta. I visi deformati quando gridano ad Alex di sbrigarsi o rifiutano la sua limpida indecisione, poi sorridenti quando finalmente trovano la chiave per comunicare con lui. Si travestiranno anche loro, invertendo i ruoli e coinvolgendo Alex in una coreografia divertente che li porterà a scuola insieme a dimostrare a tutti che nella loro famiglia non è poi così importante come ci si veste. I bambini in sala (lo abbiamo visto all’India a Roma) si sono molto divertiti, ma anche noi adulti perché è bello ricordare come eravamo quando acquattati nelle nostre stanze-fortezze cercavamo di essere qualcosa e qualcuno, al margine dell’educazione che genitori più o meno severi cercavano di imporre. Vederli e sentirli all’altro lato della porta, è una bella intuizione scenica che restituisce ai piccoli e ai più grandi, il senso della cesura generazionale e il divario che c’è, tra lasciare che l’altro sia come è e come vuole essere, o imporgli dei modelli che non riesce e non vuole assimilare. Questo spettacolo è la prova che il teatro cosiddetto “per ragazzi” è spesso un mondo teatrale poco esplorato al di là degli stereotipi, spesso zuccherosissimi, che non riescono a proporsi come esperienza estetica oltre che educativa per chi vi partecipa. Fa’ afafine invece vince la scommessa proponendo una regia raffinata e vicina alla sensibilità delle nuove generazioni, facendo del video una parte irrinunciabile e integrata della narrazione scenica

data di pubblicazione:14/04/2016

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