ABBASCE LA CAPE di e con Maurizio Sarubbi

(Teatro de’ Servi – Roma, 11 settembre 2024)

In concorso per la sesta edizione di Teatramm’, Festival teatrale diretto da Emiliano De Martino che vede in gara quest’anno 13 spettacoli prodotti da compagnie provenienti da tutta Italia, il monologo scritto e diretto da Maurizio Sarubbi, direttore artistico della Compagnia teatrale Artù. I ricordi di una vita trascorsa tra i vicoli di Bari si affastellano nella mente di un carcerato condannato alla pena di morte (foto di Giuseppe Lorusso).

 Nel chiuso di un carcere le ore trascorrono tutte uguali. L’umidità goccia da fessure invisibili e scandisce con il suo ticchettio il trascorrere del tempo. Le pareti anguste e buie della cella sono testimoni degli ultimi pensieri di un uomo condannato a morte per una colpa sconosciuta. Il passato ritorna con i suoi personaggi e una vita trascorsa tra i vicoli di Bari Vecchia, con il suo inarrestabile vociare e un profumo di libertà ormai svanito.

È l’incipit di Abbasce la cape (abbassa la testa), il monologo con il quale l’attore e regista barese Maurizio Sarubbi, supportato alla regia da Caterina Rubini, rende un doppio omaggio alla sua terra, la Puglia, e a Victor Hugo. Sul romanzo pubblicato nel 1829 dallo scrittore romantico francese L’ultimo giorno di un condannato si innestano i racconti di Strada Angiola, scritti da Giuseppe Lorusso. Due percorsi narrativi differenti, uno concentrato sulla condizione di un detenuto a sei settimane dall’esecuzione della condanna a morte e l’altro sulle storie di quotidianità di un quartiere popolare e vivace ferito dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Due fonti apparentemente distanti, nel tempo e nel linguaggio, avvicinate però da un lavoro di scrittura scenica e drammaturgica complesso, che innalza a poesia l’umile origine rurale del personaggio portato sulla scena da Sarubbi.

Protagonista è il dialetto barese, arma efficace di traduzione di realtà altrimenti incomprensibili, reso accessibile da una gestualità misurata, attenta, pensata per e in uno spazio ben tracciato. È evidente un preciso studio intorno alla potenza dei movimenti e alla costruzione del personaggio. Vestito della tela grezza dei carcerati, bianca come le pietre che ricoprono il selciato dei vicoli e le pareti delle case di Bari, su cui si riflette l’eco di mille voci della vita cittadina, Maurizio Sarubbi fa di sé uno strumento di imitazione e di riverbero dei caratteri umani osservati nella realtà. Una somma di tradizione ed esperienza teatrale giocata direttamente sul palco.

Ma protagonista è anche la condizione di solitudine delirante di quest’uomo, costretto a vivere nel carcere dei ricordi da una società malata che ne ha decretato la morte. Perché se per un uomo la morte è un passaggio naturale imprevedibile, per un condannato è un momento programmato, sintomo del fallimento di una cultura che non sa reggere lo scontro e il dialogo con il singolo.

data di pubblicazione: 15/09/2024


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1 commento

  1. Bell’articolo che accresce la curiosità su questo splendido spettacolo.

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