Ritratto della leggendaria corrispondente di guerra Marie Colvin (Rosamund Pike) del Sunday Times di Londra. Spirito senza paura e ribelle ad ogni conformismo, la giornalista ha dedicato la sua vita personale e professionale a raccontare la Verità sulle conseguenze delle guerre sulle persone innocenti, dando voce, nei suoi reportage, a coloro che non hanno voce: le vittime civili dei conflitti, di ogni conflitto.
Già presentata con discreto successo alla 13ma Festa del Cinema di Roma, esce ora sui nostri schermi l’opera prima di M. Heineman. Il regista già noto autore di documentari si cimenta con questo suo primo lungometraggio con un biopic poco reverenziale sugli ultimi dieci anni della vita della leggendaria reporter. Il film è basato su un reportage apparso su Vanity Faire ci racconta di una donna coraggiosa ed impegnata al punto tale da rischiare ogni volta la sua vita per le sue storie giornalistiche ma anche e soprattutto di una donna intimamente vulnerabile, traumatizzata ed empaticamente sensibile ai drammi cui assisteva per poterne poi scrivere e darcene notizia.
Heineman, pur non tralasciando di rappresentarci i contesti bellici, filmando anzi scene di guerra con abilità di vero documentarista, si sofferma infatti con intelligenza ed intensità sul lato più personale ed umano della giornalista, sulla sua guerra interiore (da qui il titolo del film), sul conflitto fra la sua vita personale e la sua vita professionale per la quale lei sacrifica relazioni affettive e sogni materni accumulando traumi psicologici e fisici che la dilaniano interiormente. Una guerra privata quella della Colvin, una guerra anche con se stessa, con le sue ambizioni, le sue paure, le sue sfide, la sua solitudine, i suoi disturbi. Nel film si ride, si piange e si soffre con la giornalista assistendo al suo progressivo degradarsi nello spirito e nel corpo a somiglianza delle tante tragedie cui assiste vivendone sempre, come proprie, le angosce, gli incubi, la rabbia ed i dubbi. È qui la vera abilità del regista, nella sua capacità di mantenere, con un forte senso del tempo e del luogo, il giusto ritmo della vicenda e la costante tensione narrativa, facendo evolvere la storia in modo lineare fino agli eventi finali durante la guerra civile in Siria, con il solo supporto di alcuni flasback che servono ad illuminare lo spettatore sul carattere, i comportamenti ed il labirinto di orrori che sono sepolti nella mente della reporter dopo essersi confrontata con il peggio che l’umanità può offrire. A questo lavoro del direttore si aggiunge ovviamente quello molto convincente di R. Pike, degna veramente di essere presa in seria considerazione per la prossima stagione di premi. L’attrice fa letteralmente suo il film, incarnando anima e corpo il personaggio, quasi appropriandosene lavorando di cesello sui registri vocali e sugli atteggiamenti, e ci prende e ci fa vivere poi le emozioni e gli incubi di una donna tormentata da ciò che testimonia e dalla rabbia e dall’impotenza di non poterlo evitare. All’eccezionale Pike fanno da corona ottimi caratteristi o coprotagonisti: Tom Hollander ed il sempre bravo Stanley Tucci, e, non ultimo, Jamie Dornan (ex… cinquanta sfumature di grigio, nero e rosso e prossimo nuovo Robin Hood) nei panni del fotografo di guerra che accompagnava la Colvin.
A Private War non è certamente un film perfetto, alcune storie sottostanti risultano alquanto deboli, alcune sequenze sono troppo insistite, l’amalgama fra pulsione documentaristica e narrazione filmica non sempre è armonico, però, nel complesso, il risultato è un buon film che vale la pena di vedere ed apprezzare. Un buon film commovente e coinvolgente, a tratti affascinante, che non è mai svenevole, sentimentale o convenzionale nel raccontarci il valore della Verità e quello che è stato l’impegno personale e professionale di una grande reporter.
data di pubblicazione: 25/11/2018
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