Il titolo di questo film, presentato in concorso al Festival di Venezia dello scorso anno, non è un ossimoro. Sisters è il cognome di Charlie e Eli, fratelli nella vita ma anche soci in affari. Ingaggiati dal Commodoro per scovare un uomo e eliminarlo, i due non si faranno troppi scrupoli ad uccidere chiunque voglia fermarli nel loro viaggio che dall’Oregon li porterà sino in California, sulle tracce di colui che pare abbia la formula chimica, o forse magica, per individuare i filoni d’oro.
Rimescolando gli stereotipi dei western di una volta, senza espresso riferimento né a quelli americani né tantomeno a quelli italiani portati al successo internazionale da Sergio Leone, il regista e sceneggiatore francese Jacques Audiard confeziona un film che è una vera e propria babele: tratto da un romanzo del canadese Patrick DeWitt ed ambientato nel 1850 in Oregon, ma girato in Spagna e Romania, è interpretato da attori americani del calibro di John C. Reilly, Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal, nonché dal rapper britannico di origini pakistane Riz Ahmed; a tutto ciò si aggiunge l’impareggiabile tocco italiano della costumista Milena Canonero. Tutti ingredienti eterogenei che contribuiscono a creare alla perfezione una storia turbolenta di pistoleros senza scrupoli che, pur portando a termine una carneficina dietro l’altra, mantengono paradossalmente uno spirito profondamente umano.
Il regista ha dichiarato di non aver voluto realizzare un vero e proprio western, genere a lui più ostico che sconosciuto, quanto uno studio profondo sulle figure dei due fratelli ed il legame indissolubile che li unisce in ogni impresa. Se lo si vuole considerare come una metafora sulla disillusione dell’amore, in senso lato, forse un accostamento lo si potrebbe fare con il film The Missouri Breaks di Arthur Penn con Marlon Brando e Jack Nicholson, film crudo e sufficientemente cinico che non esalta gli eroi né si schiera favorevolmente con coloro che si pongono come difensori dell’ordine. I fratelli Sisters, nonostante le divergenze che portano Charlie a voler uccidere il Commodoro per impadronirsi del suo potere ed Eli a pensare ad una vita romantica, creandosi una famiglia ed aprire un negozio, non riusciranno mai a separarsi.
Il pluripremiato Jacques Audiard (Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa, Dheepan con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 2015) ci regala un western diverso, pieno di contraddizioni ma di tanto sentimento, quasi a dimostrarci che anche il più spietato dei cowboy ha un animo di tutto rispetto.
Premiato a Venezia con il Leone d’Argento per la Miglior Regia, il film ha riscosso enorme successo di pubblico e di critica riuscendo ad ottenere ben 9 candidature ai Cesar 2019 di cui 3 andate a segno: Miglior Regia, Miglior Fotografia e Miglior Scenografia.
data di pubblicazione:03/05/2019
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Come appassionato di western più o meno classici non posso che rallegrarmi pe ma r l’insperato successo del film. Mi spiace che ,contrariamente alle scelte di Leone che girò le sue ultime pellicole con sfondi realmente americani, il regista abbia scelto location europee. Niente di grave per carità! Segnalo che prima del film è uscito il bel romanzo di Patrick Dewitt da cui il film.
Anche il libro ha ricevuto diversi ambiti riconoscimenti.Originale, divertente ma anche malinconico così come il film che ne è stato tratto.
Condivido quanto scritto, le riflessioni ed i riferimenti al precedente film di A.Penn “Missouri”.
Dunque, “Il Western è morto!”,”Viva ancora il Western!”.Dopo il “Western Spaghetti” siamo forse arrivati al “Western à la française”? Siamo lontani dai toni epici o nostalgici dei classici di riferimento,eppure il regista francese cattura e soddisfa non solo gli appassionati del genere ma anche lo spettatore meno ben disposto. Arnaud, in effetti, utilizza con abilità,humour e serietà il western, rispettandone tutti i codici di genere: i grandi spazi, le cavalcate, i duelli, la caccia all’uomo e la violenza per darci un bel film evocativo e crepuscolare ma anche complesso per i suoi diversi piani di lettura. Un film che è uno spunto di riflessione: sulla violenza e sul sogno utopico che è alla base di una nazione che si sta formando, specchio, a sua volta, anche della nostra Società attuale; sui valori della fratellanza; sull’amicizia virile; sulla speranza di un possibile cambiamento finale …
Un film molto personale ma anche puro cinema cioè puro spettacolo, supportato poi da un quartetto di attori ottimi, soprattutto John C. Reilly. Un film che merita gli apprezzamenti ed i premi ricevuti.