La famiglia Wilson (genitori e due figli) appartenente alla borghesia afro-americana torna nella casa d’infanzia nella California del Nord, auspicando di trascorrervi una lieta vacanza estiva. Adelaide Wilson, però, ha un passato difficile alle spalle e un trauma irrisolto, legato proprio a un episodio accaduto nel Luna Park di Santa Cruz. La donna “sente” che qualcosa di terribile sta per accadere e la sua ossessione trova l’incredibile e angosciante risposta al suo ritorno da una intensa giornata al mare…
Su Noi, la critica americana si è sbizzarrita nel leggervi significati ben oltre una semplice fruizione di un film di genere. Tale stampa “entusiasta” ha ritenuto la seconda prova di Jordan Peele (New York 1979) di non facile classificazione e migliore del già acclamato Scappa-Get Out. Come già per il suo primo film, infatti, solo apparentemente si è parlato di un horror tout court, quindi pellicola di genere, ma, in realtà, intendendo anche altro. Se Get Out, premiato con gli Oscar per la migliore sceneggiatura originale, era stato definito un “thriller a sfondo politico e anti-razziale”, Noi, a parte la maggiore adesione all’horror nella sua migliore accezione, se vogliamo, è stato letto come horror contaminato con la psicanalisi (il tema del doppio malefico). Atteso alla fatidica seconda prova, Peele non delude e conferma tutto il suo fantasioso talento regalandoci una storia inquietante, curiosa e originale (una mamma che cerca di mettere in salvo la propria famiglia in un Paese invaso da “doppelganger” assetati di sangue umano…) in cui, come si dice banalmente, c’è tanta roba! (troppa?) Tutti gli stilemi del genere horror sono rispettati appieno: la suspence, il commento musicale in crescendo (inclusa una strepitosa Good Vibrations dei Beach Boys), il brivido, lo splatter, in un perfetto montaggio che amplifica al massimo gli intenti della sceneggiatura, disseminata di continui indizi (per esempio, il modo di parlare delle due donne che cambia di continuo…) che poi conducono alla sorprendente rivelazione finale, che, ovviamente si lascia agli spettatori. Forse alcuni dei riferimenti alla realtà statunitense possono sfuggire a noi europei (per esempio, l’evento Hands Across America, citato nei titoli di testa, iniziativa benefica del 1986 dove celebrità come Michael Jackson, Michael J.Fox e Ronald Reagan si tenevano per mano), certo il tema del razzismo, più evidente in Get Out, qui appare più sfumato a vantaggio delle differenze sociali ed economiche e dell’American Dream, ma il tema del doppio, la domanda su chi realmente noi siamo, su chi abbiamo vicino, la paura del diverso, sono i dubbi e le inquietudini che il regista sollecita di continuo e volontariamente lascia senza risposte. Va riconosciuto dunque che pur non trattandosi del capolavoro di cui parla una certa critica, siamo di fronte a un film horror assai ben fatto, un horror che stando al passo con i tempi, rivaluta il genere e pone alcuni quesiti legittimi sui destini dell’umanità. Fra gli spaventati e credibili attori, spiccano la brava Lupita Nyong’o (Adelaide Wilson), già premiata con l’Oscar per 12 Anni Schiavo e la “cattiva” Elisabeth Moss, entrambe nel doppio ruolo. Suggerimenti finali: per gli amanti del genere certamente da vedere, per tutti gli altri con cautela.
data di pubblicazione:14/04/2019
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