Resto qui è uno dei candidati allo Strega 2018, il 13 giugno sapremo se sarà riuscito a superare la prima votazione…
La copertina è emblematica e straziante: quel campanile è tutto quello che resta dei paesi di Curon e Resia dopo che vennero abbattute e sommerse le case che erano parte della storia di quella valle, a causa della costruzione del bacino artificiale per la produzione di energia elettrica. Il campanile romanico del XIV secolo non venne abbattuto perché sotto tutela storico-artistica e da più di 50 anni è l’unico baluardo a ricordare che lì, un tempo, vivevano centinaia di persone con le loro storie, i loro ricordi, i loro amori e dolori.
Ma il libro non è solo la storia degli interessi politico economici che distrussero quei paesi, è la storia della violenza della guerra, dell’impotenza della parola, dell’abbandono e del tradimento.
Per me è stata un’opera sorprendente e nello stesso tempo estremamente commovente.
L’io narrante è Trina che, con il suo racconto, ci riporta indietro fino al 1923 nel paese di Curon in Val Venosta, Sudtirolo. È il primo vero momento di sofferenza per questa comunità di montanari: “In quelle valli di confine, la vita era scandita dai ritmi delle stagioni. Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un’eco che si perdeva. La lingua era il tedesco, la religione quella cristiana, il lavoro quello nei campi e nelle stalle”.
L’avvento del fascismo ha imposto loro come prima lingua quella italiana: “I fascisti intanto occupavano non solo le scuole, ma i municipi, le poste, i tribunali. Gli impiegati tirolesi venivano licenziati in tronco e gli italiani appendevano negli uffici cartelli con scritto Vietato parlare tedesco e Mussolini ha sempre ragione. Imponevano disposizioni di coprifuoco, le adunate il sabato pomeriggio per il passaggio del podestà, le loro feste comandate”. All’improvviso centinaia di persone, intere famiglie, si sono ritrovate senza lavoro, licenziate perché non di lingua italiana e sono stati sostituiti con personale che arrivava dal Veneto, dal Trentino, dalla Sicilia…
Trina prosegue nel suo racconto, la vediamo diventare moglie, sposa Erich Hauser e madre di Michael e Marica, immobili nella loro vita fatta di gesti che si ripetono da centinaia di anni sempre uguali irrompe l’imponderabile: la figlia scompare, di lei resta solo una lettera in cui la bambina spiega di essere andata via volontariamente, con la zia, dirette verso la Germania nazista che si prepara a coprirsi di gloria.
Nella vita di Trina la tristezza si aggiunge alla tristezza, dolore a dolore, Erich viene arruolato nell’esercito e parte per la Seconda Guerra Mondiale, rientrerà dopo mesi di silenzio per una breve convalescenza, alla fine della quale si darà alla fuga sulle sue montagne, disertore da una guerra che non lo riguarda; Trina lo seguirà nella fuga verso la salvezza che si trova al di là del confine svizzero, soffrendo con lui, e con altri sventurati come loro, la fame, la paura e il freddo dello spaventoso inverno sulle Alpi.
Tuttavia non arriveranno mai in Svizzera, la fine della guerra li riporterà al loro maso a Curon, ma non potranno riprendere la loro vita, perché all’orizzonte si profila una nuova battaglia contro un nuovo mostro: il progetto della costruzione di un bacino artificiale che la Montecatini vuole riprendere a costruire e che minaccia tutto il paese. Erich ne farà la sua ragione di vita, combattere per salvare la sua valle, organizzerà comitati, Trina scriverà lettere a suo nome per perorare la loro causa, arriveranno fino al Papa e a De Gasperi, al loro fianco manifesteranno tutti i valligiani ma tutto sarà inutile.
Sarà l’atto finale, l’apoteosi di una vita costellata dalle persecuzioni linguistiche, dalla perdita della figlioletta, dalla crudeltà della guerra, e alla fine dalla perdita della propria terra, delle proprie radici, della propria storia.
data di pubblicazione:25/06/2018
0 commenti