Ultimo romanzo della trilogia con il commissario Yeruldelgger. Questa volta Ulan Bator è solo un’eco lontana, Yeruldelgger ha piantato la sua “yurta nel cuore del Gobi a ore di distanza da ogni aiuto…”, è stato mandato in ritiro dal Nerguii: “si era ritirato lontano da tutto, lontano dalla sua città, lontano dal suo ex mestiere, lontano dai suoi amici, e dal corpo e dall’animo adorati della donna che amava….”. L’obiettivo di questa solitudine è dare modo a Yeruldelgger di trovare la pace dopo che, alla fine di Tempi selvaggi, si è trovato al centro di una spirale di terribile violenza.
Il romanzo, come i precedenti, comincia con due scene in opposizione, la scoperta di un corpo da parte di quattro artisti nomadi e l’apparizione di Yeruldelgger, fiero, sul suo cavallo; inizia così, suo malgrado, il coinvolgimento in una nuova indagine che metterà fine alla sua solitudine.
Al fianco dell’ex commissario alcune nuove figure femminili, forti e determinate: Tsetseg, che vuole essere aiutata a ritrovare la figlia rapita, Odval, che vuole vendicare la morte del suo “amore nomade” e Guerlei, la poliziotta sanguigna e iraconda che dovrà occuparsi ufficialmente, quale rappresentante della legge, della serie di omicidi in cui si imbatterà questa strana comitiva, tutti perpetrati secondo antichi rituali e legati allo sfruttamento del territorio mongolo da parte di multinazionali senza alcuno scrupolo.
In quest’ultimo romanzo, a differenza dei precedenti episodi di questa trilogia, l’intreccio narrativo è sicuramente meno inverosimile; in ogni pagina è sempre presente il tema della morte ma, come contraltare, per la prima volta scopriamo un Yeruldelgger più “leggero”: Manook inserisce una vena umoristica che non guasta affatto al suo personaggio e lo rende a noi più vicino e più umano.
Come per i precedenti romanzi della trilogia, la capacità descrittiva di Manook è emozionante: “Allora restò il tepore di una steppa di smeraldo ai piedi della collina. La freschezza bianca di un fiume scintillante che snodava i suoi nastri attorno a folti ciuffi di canne argentate. Un orizzonte frastagliato a est da crinali blu dentellati, lisciato a ovest dal mareggio iridato di una prateria arruffata. Qualche cavallo dalla criniera bionda, con il mondo intero per pascolare. E a nord un cielo che si caricava delle onde color lilla di un temporale elettrico.” Poche parole e uno scenario maestoso esplode nella nostra testa e nel nostro immaginario, come si può non leggere un romanzo che offre queste descrizioni…?
data di pubblicazione: 26/03/2018
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