(Teatro Quirino – Roma, 2/7 gennaio 2018)
Un classico teatrale come Filumena Marturano è tornato in scena a Roma al Teatro Quirino con la regia di Liliana Cavani, nell’ambito di una lunga tournée partita due anni da Spoleto ed ancora oggi in giro per l’Italia.
Filumena Marturano, tra le commedie italiane del Dopoguerra più conosciute e rappresentate all’estero, si propone di rappresentare i drammi, le ansie e i problemi di un Paese ancora sconvolto dalla violenza e dalla crudezza della Guerra. Un’opera di grande impegno, moderna e priva retorica, scritta con grande naturalezza ed efficacia dal maestro Eduardo De Filippo. Un capolavoro.
La nota storia vede al centro un problema senza tempo: a chi appartengono i figli, biologici o attribuiti, nati dentro o fuori dal matrimonio? Al tempo della stesura (1946), la legge non proteggeva questi “figli” considerati illegittimi, una legge ferma al Medioevo. Filumena vi si ribella con la lucidità e una forza così generose da riuscire a trascinare l’ignaro borghese Domenico a capire il valore degli affetti fondamentali per la nostra vita. Una metafora di un’Italia ferita ma in cerca di riscatto. Filumena e Domenico, da sempre amanti e non sposati all’epoca in cui la prole illegittima e le donne conviventi erano marchiate e non avevano alcun diritto, grazie alla passione di lei e alla sua capacità ribellarsi, riescono a comprendere cosa significhi essere una famiglia, quali siano i veri affetti fuori dalle convenzioni culturali e burocratiche.
Nel corso degli anni il personaggio di Filumena Marturano è stato portato sul palco dei più grandi teatri italiani da attrici del calibro di Pupella Maggio, Regina Bianchi, Mariangela Melato, Sofia Loren (con accanto uno straordinario Mastroianni nella versione cinematografica di De Sica). Questa volta, la Filumena che non sa piangere è stata magistralmente interpretata da Mariangela D’Abbraccio, un’attrice poliedrica capace di donare al suo personaggio una profondità e un’intensità particolari, di grande spessore, senza alcuna forzatura e con tanta naturalezza.
L’opera si snoda a partire dalla sobria camera da letto dove Domenico Soriano ha appena scoperto che la donna che credeva di aver sposato in articulo mortis, è in realtà ben viva e pronta a far valere i suoi diritti. Filumena, costretta dalla fame a vendersi in un bordello appena diciassettenne, assurge a simbolo di una realtà sociale dolente, sconvolta nei suoi valori dalla guerra, in cui il dramma si consuma soprattutto in quella sua maternità nascosta per difendere tre bambini innocenti, uno dei quali è certamente figlio di Domenico Soriano. Le infinite sfumature emotive del personaggio, nelle scelte espressive di Mariangela D’Abbraccio diventano rabbia, lotta, determinazione, ma anche dolcezza di una madre che può finalmente svelare ai figli ormai adulti il proprio ruolo.
Del pari, Geppy Gleijeses, aiutato da una gestualità contenuta, ma estremamente espressiva, si appropria della libertà di sentirsi uomo ancor giovane, pronto a farsi trascinare da una bella ragazza in una ulteriore storia sentimentale, e a rivendicare il diritto maschilista di maltrattare l’amante che gli ha fatto da governante e da tutrice, ma pronto anche ad appropriarsi di una dignità emotiva quando i tre figli di Filumena gli si rivolgono chiamandolo “papà”.
Sul palcoscenico un cast di bravi interpreti, capaci di raccontare i momenti tragici e ridicoli di una quotidianità che, come la realtà, a volte diventa surreale.
Pur potendosi configurare nel novero degli allestimenti tradizionali, la regia della Cavani riesce a scavare nel tessuto psicologico di personaggi così forti, connotandoli ma alleggerendoli al tempo stesso. Uno spettacolo austero e delicato, capace di esplicitare ulteriori nuove sfumature di una vicenda e di personaggi, pietre miliari del nostro grande teatro.
data di pubblicazione: 9/01/2018
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