(Teatro Eliseo – Roma, 19 dicembre 2017 / 7 gennaio 2018)
L’affinato talento indagatore dell’animo umano del regista Filippo Dini porta in scena nel clima natalizio della città eterna, al Teatro Eliseo, la versione teatrale di quello che negli anni Ottanta è stato un successo letterario – il romanzo di Warren Adler (1981) -, poi amplificato da quello cinematografico – per la regia di Denny de Vito (1989) – con l’indimenticabile interpretazione di Michael Douglas e Kathleen Turner: La Guerra dei Roses. Il racconto prende le mosse da quella che poi sarà la fine: due avvocati divorzisti parlano della storia d’amore deflagrata dei loro rispettivi clienti, i coniugi Rose (noti all’alta società di Washington come i Roses). Oliver Rose (un bravissimo Matteo Cremon) e Barbara (una sorprendente Ambra Angiolini) si erano incontrati ancora studenti in una lontana estate ed era stato subito amore, condivisione. Si sposano, hanno due figli e il loro matrimonio appare forte e perfetto per 18 anni. Tuttavia, quella che sembrava essere una coppia inossidabile e realizzata inizia a scricchiolare quando in Barbara, la donna che dal primo incontro aveva dimostrato la propria generosa devozione nel sostenere anche i più piccoli sogni di Oliver (come l’aggiudicazione di un’asta di paese per due statuette di dubbio valore e scarsa bellezza), si fa strada il sogno di aprire un’attività di catering di alta qualità. Si radica nella donna la consapevolezza di aver annullato le proprie ambizioni, il sogno di divenire un prestigioso chef di fama per guidare, sostenere i sogni e la carriera di avvocato del marito. Ed è l’improvviso ricovero di Oliver per un presunto infarto, che poi si rivela essere solo un’ernia, a squarciare l’apparente equilibrio dei suoi sentimenti: Barbara, allertata dall’ospedale per il grave malore del marito, si sente leggera e felice, per nulla preoccupata per la salute del compagno di vita e non si reca al suo capezzale. Si dissolve in un baleno qualsivoglia comunione di intenti e sentimenti, “nella buona e cattiva sorte” non ha più ragione di continuare e ha così inizio la pratica di divorzio. Sebbene entrambi vogliano una separazione civile, rapida e indolore l’ostinato reciproco attaccamento per la sontuosa casa (acquistata con i sacrifici di Oliver ma impreziosita negli arredamenti dall’impegno e dal gusto di Barbara), sugellerà l’inizio della “guerra”. Al loro fianco due cinici avvocati divorzisti che parallelamente condurranno una personale guerra tra fini strateghi di cause matrimoniali (bravissimi e spassosi gli attori Massimo Cagnina e Emanuela Guaiana nei rispettivi ruoli dell’avvocato di Oliver e di Barbara). La casa diviene il pomo della discordia, l’unica ragione di vita in funzione della quale ciascuno, senza risparmiare colpi bassi al limite dell’assurdo, intende annientare l’altro per costringerlo ad abbandonare il tetto coniugale. La guerra lacera lentamente l’animo di Oliver, ancora innamorato di Barbara, e le delicate pareti della casa rappresentate, non a caso, con tessuti belli e delicati come i due protagonisti e i sentimenti di due persone che si sono profondamente amate e stanno separandosi. Nel secondo atto, dopo l’ennesimo scontro tra i coniugi belligeranti, la Casa rivelerà un presagio mostrandosi a Oliver come un essere animato che, venuta meno la loro unione, non è più in grado di tollerare la loro presenza e l’essere stata trasformata dal nido d’amore, realizzazione dei sogni di una vita, in causa di uno spregiudicato conflitto e si ribella alla loro presenza. Non c’è che dire, uno spettacolo ben rappresentato che grazie alla bravura, la mimica e l’ironia dei protagonisti e delle fondamentali “macchiette” degli avvocati, che impreziosiscono e alleggeriscono la drammaticità di un grande amore che finisce, ben rende la spesso amara futilità delle guerre che segnano le separazioni e divorzi giudiziali, spesso alimentati come stupidi incendi dall’irruente soffio di meri pretesti e questioni di cieco orgoglio.
data di pubblicazione:20/12/2017
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