(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 18 ottobre/5 novembre 2017)
Dopo il fortunato debutto napoletano, approda a Roma, al teatro Piccolo Eliseo, Ferdinando di Annibale Ruccello, per la regia di Nadia Baldi.
Scritto agli inizi degli anni Ottanta e ambientato nel 1870, Ferdinando resta il capolavoro di Annibale Ruccello, considerato il migliore esponente della drammaturgia napoletana post-eduardiana, scomparso prematuramente nel 1986 per un banale incidente stradale. Quello di Ruccello è un grande teatro di prosa, di narrazione.
Connotato del suo teatro è l’angoscia dell’uomo moderno nello scontro con la realtà esterna: fobie, delitti, sensualità dolorosa, ambientazioni cupe e serrate.
L’azione si svolge in una villa nei dintorni di Napoli dove vivono, in esilio volontario, due donne. La baronessa Donna Clotilde (Gea Martire), chiusa nella sua ipocondria e in una simulata infermità a letto, rifiuta culturalmente e storicamente la modernità, non solo ripudiando la nuova situazione politica e il re sabaudo, ma anche l’italiano. L’altra Gesualda (Chiara Baffi), sua cugina povera e zitella, che la accudisce e la sorveglia, che intreccia una relazione clandestina con Don Catellino (Fulvio Cauteruccio), prete dissoluto e coinvolto in intrallazzi politici. Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva Ferdinando (Francesco Roccasecca) un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza morbosa e strisciante. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un contesto apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.
Tutti i personaggi in una prima fase si presenteranno nel loro quotidiano per poi svelare l’interiore quando i freni inibitori e culturali non hanno più il loro potere censurante.
Ferdinando è il diavolo che irrompe sulla scena, scatenando l’inespressa sessualità che coinvolge prima Clotilde, poi Gesualda, e infine Don Catellino. Una voragine di desideri repressi che finisce per generare gelosie, ricatti, vendette, ed alla fine anche complicità fra le due donne portandole all’avvelenamento del prete rivale in amore. Ma poi tutto precipita, Ferdinando scopre l’assassinio, ricatta le due donne e svela la propria identità (non è il nipote di Clotilde, ma un ladro e si chiama Filiberto, come i Savoia). Un finale noir dell’opera come noir è la solitudine in cui si sono chiuderanno Clotilde e Gesualda.
L’attenta mano di Nadia Baldi esalta la potenza drammaturgica del testo, riuscendo ad enucleare ed esaltare le caratterizzazioni dei singoli personaggi e gli oggetti feticcio che li circondano. Rapporti che spesso si evidenziano con efficacissimi piccoli gesti, giochi di sguardi, sequenze di parole seguite da inquietanti silenzi, mettendo in luce le connessioni esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine.
Molto bravi gli attori ma soprattutto straordinarie le due protagoniste, capaci di rendere le due cugine così differenti e cosi unite, ma anche così uniche, nonostante le tante grandissime interpreti che in passato si sono cimentate nei due ruoli.
Un teatro moderno e colto, che va visto e protetto.
data di pubblicazione: 21/10/2017
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