MORTE DI DANTON di Georg Büchner, regia di Mario Martone

28 Mag 2017 | Accredito Teatro

(Teatro Argentina – Roma,16/28 maggio 2017)

Gran finale di stagione al Teatro Argentina di Roma con Morte di Danton lo straordinario testo sulla fine della Rivoluzione Francese e sugli ultimi giorni di vita di Danton e Robespierre, scritto in sole cinque settimane tra il gennaio ed il febbraio del 1835 dal ventunenne scrittore Georg Büchner.

Morte di Danton magistralmente diretto da Mario Martone racconta l’atmosfera gli ultimi giorni del Terrore, la caduta di Georges Jacques Danton e l’antagonismo che lo contrappone a Maximilian Robespierre. Il dramma si concentra proprio sulla contrapposizione tra i due protagonisti della Rivoluzione francese, compagni prima e avversari in seguito, entrambi destinati alla ghigliottina a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.

Da un lato la figura di Robespierre “l’incorruttibile” (interpretata da un magistrale Paolo Pierobon) che comprende con sgomento la solitudine alla quale lo condanna la propria intransigenza. Dall’altro Danton (uno straordinario Giuseppe Battiston), “l’indulgente”, il capo rivoluzionario rassegnato a un destino che sembra destinato a compiersi comunque. Un uomo che ha combattuto per la rivoluzione e che la rivoluzione sta per divorare come Saturno fece con i propri figli. Ma che sa anche che il vero tribunale sarà quello della Storia.

Danton non crede alla necessità del Terrore e difende una visione del mondo liberale e tollerante, anche se consapevole dei limiti dell’azione rivoluzionaria; Robespierre, invece, incarna la filosofia giacobina, stoica, intransigente e violenta.

La fatica di Danton, che si contrappone con lucida razionalità al fanatismo del suo rivale, altro non è che la sfiducia nella possibilità di trasformare il mondo, una visione che tuttavia non incrina la volontà di lotta e la coscienza di perseguire il giusto. E Büchner mette al centro della sua riflessione la condizione umana e la fragilità degli uomini che non possono sottrarsi al proprio destino. Un destino a cui non si può sfuggire, non prefissato da un Dio, ma dell’inesorabilità del Tempo e della Storia.

Morte di Danton è anche un affresco caratterizzato da una forte coralità: c’è il violento discorso di Saint-Just, interpretato da Fausto Cabra, c’è la visione metafisica di Tom Payne (Paolo Graziosi), c’è l’entusiasmo di Camille Desmoulins (Denis Fasolo) che ripone una fede commovente nella parola, parlando di teatro e di giornalismo quando tutto sembra procedere verso la rovina, e ci sono le potenti figure femminili. C’è Marion (Beatrice Vecchione) che finalmente mette il corpo, con la sua voluttà e la sua fragilità, al centro della scena; c’è Julie (Iaia Forte), la moglie di Danton che è in realtà un’invenzione letteraria di Büchner, la quale di fronte alla morte del compagno sceglie di morire anch’essa, come altri mogli della Rivoluzione; c’è infine Lucile (Irene Petris), che quando parla con il marito Camille con in braccio il figlio piccolo che, dopo l’esecuzione del marito, si suicida gridando con un fil di voce «Viva il Re!» in faccia alle guardie repubblicane.

Martone sceglie di non attualizzare il testo affrontando il dramma storico con gli attori in costume. Straordinaria la scelta di una scenografia leggera, a volte quasi spoglia, fatta principalmente di un meccanismo di cinque sipari rossi che si aprono e si chiudono ritmicamente, svelando e occultando scene con velocità cinematografica, dando quasi l’impressione del montaggio visivo.

Morte di Danton è il dramma del fallimento della rivoluzione e dell’eccesso di politica, quell’eccesso che finisce per sacrificare ogni aspetto della sfera privata, anche il più intimo, per il sogno di modellare un mondo e un uomo nuovi. Ma è anche il teatro dei temi del nostro tempo:il rapporto tra uomini e donne, l’amicizia, la classe, il determinismo, il materialismo, il ruolo del teatro stesso. E non è un caso che a portare in scena Morte di Danton sia proprio Martone che nel recente film Noi credevamo aveva raccontato il fallimento del Risorgimento italiano come rivoluzione nazionale e la sconfitta di quei repubblicani mazziniani, che avrebbero non solo voluto unificare l’Italia e cambiarne i meccanismi interiori.

data di pubblicazione:28/05/2017


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