Un angelo della morte si aggira spettrale tra le rovine materiali e morali di una Cagliari distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La “femmina accabadora” è colei che, segnata da un destino in parte inevitabile, raccoglie dalla madre l’eredità di dare la morte a chi sta soffrendo troppo per poter continuare la propria vita. Sospesa tra il mito e la realtà dei racconti che disegnano una Sardegna arcaica e ancestrale, l’accabadora è una figura che ha già ispirato l’omonimo romanzo di successo di Michela Murgia, del quale il film di Enrico Pau riproduce indubbiamente atmosfere e suggestioni senza però che, contrariamente a quanto lo spettatore possa immaginare arrestandosi alla lettura del titolo, la pellicola sia tratta dal libro.
L’Accabadora è strutturato lungo la contrapposizione tra i villaggi della Sardegna dei primi anni Quaranta del secolo scorso, apparentemente immobili nella fissità di un passato che solo a fatica lascia spazio al futuro, e la moderna Cagliari, sventrata dai bombardamenti e impotente di fronte agli orrori della guerra.
Annetta (Donatella Finocchiaro) si muove dalla campagna alla città in cerca di Tecla (Sara Serraiocco), sua nipote, fuggita alla ricerca di una vita migliore dopo la morte della madre. Alloggia in una villa resa spettrale dalla guerra, rendendosene custode visto che le proprietarie, muovendosi in una direzione uguale e contraria rispetto alla protagonista, decidono di rifugiarsi in campagna.
Nel suo viaggio attraverso le viscere di Cagliari, Annetta incontrerà il medico Albert (Barry Ward) che presta la sua opera in una sorta di lazzaretto di corpi e di anime, al quale approderà anche la giovane Tecla. Indubbiamente interessante, sebbene non del tutto amalgamato nel tessuto narrativo, il rapporto con Alba (Carolina Crescentini), un’artista che si dedica anche al restauro di statue “malate”. L’accabadora, il medico, la restauratrice: modi diversi per far fronte alla sofferenza, tenuti insieme da una pietà che va oltre la scienza e la fede, anche se segnata da un’insuperabile sofferenza.
Sebbene il lavoro di Pau possa contare su un cast ineccepibile e su una fotografia sempre protagonista, la sceneggiatura non sembra in grado di restituire la complessità dei personaggi, a partire dalla protagonista, costringendola entro un quadro visivamente potente ma narrativamente appiattito su un andamento in larga parte identico a se stesso.
data di pubblicazione: 30/4/2017
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