(Teatro Argentina – Roma 8 marzo/1 aprile)
La Sala Squarzina del Teatro Argentina ha ospitato, dall’8 marzo al 1 aprile, lo spettacolo di Riccardo Caporossi ‘Mura’. La pièce, produzione di Teatro di Roma, ricrea in scena un quadro visivo, una “scatola teatrale” all’interno della quale è eretto un muro composto da 50 mattoni.
Il muro è sempre stato simbolo di divisione, ostacolo, incomunicabilità fra gli uomini. La costruzione di muri nel mondo ha segnato il corso degli eventi soprattutto con la loro distruzione. Ed è proprio sopra quel muro che si svolge la scena: mani, bottiglie, scalette, cannocchiali, bastoni, ombrelli, cappelli e altri oggetti vi passano sopra ed interagiscono con esso. Le loro ombre, proiettate su una superficie bianca illuminata sullo sfondo, mutano in forme fantastiche e distorte, che riportano a un mondo fiabesco e infantile. A parte la voce narrante all’inizio e alla fine, lo spettacolo è un gioco poetico e silenzioso di incastri e forme, montaggi e smontaggi, senza trama apparente, retorica o morale. Lo spettatore è catturato dal movimento, dai gesti, dai piccoli oggetti e soprattutto dall’abilità di quelle quattro mani che spuntano, spostano i mattoni, danno vita a piccole costruzioni e poi le demoliscono, con senso e leggerezza.
La metafora è d’obbligo: non è forse vero che la storia non solo dell’uomo, ma dell’universo, è un continuo processo di costruzione e distruzione?
Circa quaranta anni dopo Cottimisti, Riccardo Caporossi riporta in scena ‘i mattoni’ con una performance che unisce l’arte e un teatro evocativo ed asciutto, fatto di immagini, dettagli e silenzi. ”Nel 1977 ho realizzato insieme a Claudio Remondi lo spettacolo ‘Cottimisti’ – ha raccontato il regista – in cui costruivamo, in scena, un muro vero con 1000 mattoni veri. Operai visionari. Altri tempi, per valutare il senso dello spettacolo. Di lì a 12 anni fu abbattuto il Muro di Berlino ”.
Come spiega Caporossi, Mura è un dettaglio di quel muro, un primo piano di memoria che riporta tutti a usare la mente e la propria conoscenza. ”Dietro quel muro, manu-fatto vero, apparivano un paio di mani che con l’alfabeto dei sordo-muti lanciavano un messaggio oltre il confine. È una pagina, una tela, uno schermo. Frammento di ciò che può esserci, di qua o di là del muro. Alla fine calava una grande sfera di metallo, sospesa tra il pubblico e il muro. Una provocazione o meglio un suggerimento per abbatterlo”.
Una performance densa e delicata, un’elegia alla conoscenza ed alla ribellione. Perché se è vero che il muro più famoso del XX secolo è stato abbattuto, nel 1989, a Berlino, ancora tanti muri resistono ancora oggi e sono spesso invisibili. Barriere e discriminazioni nei confronti del diverso. A volte sono evidenti, altre volte sono subdolamente nascosti. Bisogna riconoscerli, guardandoli da vicino, nei dettagli, guidati dalla ragione, per buttarli giù e liberare il respiro.
data di pubblicazione: 05/04/2017
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