(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Cinema D’Oggi)
Accade sempre, in tutti i festival, che si creino trame sottili tra film diversissimi, che arrivano da disparati angoli della terra, ma che, al netto di stile, scelte registiche e interpretazioni attoriali, si trovano a percorrere un tratto di strada insieme, quello delle suggestioni, delle “tematiche”, citando un termine brutto ed abusato. Di vita di strada si parla in due film lontanissimi tra loro, Lulu dell’argentino Luis Ortega e Time out of mind di Oren Moverman, interpretato e prodotto da un sempre affascinante Richard Gere. Giovanissimi i due “innamorati” che vivacchiano in una Buenos Aires caratterizzata dai palazzi “scatole di scarpe”, da cani portati al guinzaglio. Un amore zoppo, o presunto tale, come la protagonista che utilizza, senza averne necessità, una sedia a rotelle. Un Romeo, il suo, che è davvero un balordo, e che fa un mestiere simbolicamente significativo: raccoglie su un camion carcasse di animali da macello. La loro vita in strada è una scelta, una condizione esistenziale che si intona all’instabilità del loro amore, del loro sentire, al ritmo di giornate passate tra rapine, balli frenetici, o davanti a vecchi film. Fastidioso, strampalato, raccapricciante, ma interessante con un finale strepitoso. Il barbone di Gere, invece, si schermisce quando viene definito tale, cerca ancora di dissimulare, di dire e di dirsi che è una situazione temporanea. E lo vediamo vagare, trovare un letto in un centro d’accoglienza e un amico logorroico incluso nel pacchetto, alla ricerca di un’identità che gli viene continuamente negata, dalla vita e dalla burocrazia. Ma la stessa mancanza d’identità è della New York che non viene caratterizzata, del film stesso, senza un percorso, senza uno stile preciso, con il risultato di far pronunciare la parola che atterrisce ogni spettatore: noioso.
data di pubblicazione 22/10/2014
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