(Teatro dell’Orologio – Roma, 3-5 Febbraio 2017)
“Tre fratelli e un segreto inconfessabile, rievocato nella bruma imperscrutabile.”
Una nebbia densa e lattiginosa si spande fino all’ingresso del Teatro. I suoi tentacoli si allungano e ci trascinano dentro, avvolgendo i nostri corpi in un manto di mistero. Una melodia incantevole riecheggia in lontananza, interrotta solo da un suono graffiante e ripetitivo. Tutto lascia presagire un rito esoterico: e non a caso siamo nella sala Orfeo.
Nella foschia si intravedono tre figure. Si muovono a fatica, si chiamano, si cercano. Amroise e Carl finalmente si incontrano, ma subito iniziano a discutere. Carl è furibondo; oggi è il giorno del suo matrimonio, e l’incidente d’auto in cui sono stati coinvolti farà saltare tutto. Manca Victor all’appello, il maggiore dei tre fratelli. Ma non c’è traccia di lui.
Persi nella foresta, Ambroise e Carl iniziano a parlare delle loro vite mentre cercano Victor.
Ambroise è l’anima sensibile della famiglia: mercante d’arte e cittadino di mondo, se n’è andato presto di casa per non tornare, sentendosi estraneo per via della sua omosessualità. Carl è un modesto impiegato, il suo stipendio gli permette appena di sbarcare il lunario, ed è rimasto sempre nel posto in cui è nato, radicato come gli alberi che ora li circondano e non gli permettono di trovare la via del ritorno.
Due binari paralleli. Opposti. Distanti. Ai punti di scambio si scontrano, per poi ritornare sulle loro posizioni di partenza.
Nella disperata ricerca del fratello disperso – mentre la nebbia si dirada – i due iniziano pian piano a svelare i loro pensieri più reconditi. Verità che cadono come pioggia di spilli: come il disgusto di Carl per il contegno spocchioso di Ambroise (“Capace solo di riversare la sua infelicità sugli altri”); l’amore nascosto di Ambroise per Carl; e il maledetto giorno della morte del padre, in cui loro erano presenti. Ma che non vogliono rimembrare, cercando di soffocare quel ricordo, di farlo annegare nell’acqua.
Nel corso del loro cammino, la nebbia si tinge dei diversi colori della notte, e infine si ricongiungono con il fratello disperso. Victor predica calma, cerca di rasserenare i due; ma il luogo in cui si trovano è pregno di significato, di quel giorno in cui il padre li ha lasciati, che gli ritorna alla mente e non riesce a fermare.
La verità è contagiosa. E allora anche lui confessa; rivela che l’incidente in cui sono stati coinvolti è stato provocato da lui, perché dovevano riconciliarsi ed espiare le loro colpe per aver assistito senza pietà alla morte del padre, senza intervenire.
Incominciano pertanto a riaffiorare i dettagli; il quadro si fa via via più completo, finché non emerge una realtà sconvolgente.
Liberi dal loro fardello, i tre continuano a vagare senza meta, senza ritorno: come spettri nell’oscurità.
Bouchard ci trasporta negli abissi dei rapporti familiari, lasciandoci però la corda dell’espiazione per risalire, per redimere i nostri peccati. Prigionieri del segreto che i tre fratelli celano, rimaniamo aggrappati alle loro parole in attesa della rivelazione finale.
Un testo efficace e ficcante, con cui l’autore canadese intreccia rapporto fraterno e paterno, per poi reciderli senza pietà, mostrando la linfa e il veleno che li animano.
I tempi scenici sono scanditi con precisione da Simone Schinocca, che ci trasporta in un mondo magico e tenebroso attraverso l’uso della macchina del fumo; che, insieme ai fari che proiettano colori cangianti, compone un gioco di luci e ombre convincente. Non altrettanto efficaci ed espressivi sono tuttavia gli intervalli temporali al ralenti, che non riescono a incastrarsi con il resto della messinscena, finendo per essere avulsi dalla rappresentazione.
L’energia portata sul palco da Andrea Fazzari, Mauro Parrinello e Matteo Sintucci è palpabile; ognuno di loro incarna perfettamente il ruolo assegnatogli: il primo raffigura appieno la parte del fratello duro e scontroso; il secondo tira fuori dal suo personaggio lo snobismo che lo contraddistingue; e il terzo mostra adeguatamente il carattere naïf di Carl.
Come dice il personaggio di Mauro Parrinello “nel nostro mondo si hanno solo impressioni: l’impressione di essere dei benefattori, quando si donano due euro a Telethon; l’impressione di andare d’accordo, quando non si litiga; l’impressione di essere felici quando si ride”.
Stavolta si è avuta l’impressione di aver assistito ad uno spettacolo interessante; ma non è solo un’impressione.
data di pubblicazione: 04/02/2017
Il nostro voto:
un bel film ma è tutta un impressione!