(Teatro Argentina – Roma, 25 Novembre/18 Dicembre 2016)
“Da un emporio di abiti e stoffe, tre fratelli tessono un impero per tutte le stagioni; ma l’eco del crollo risuona dal futuro”.
Nel cielo dello spazio scenico un orologio disegna cerchi nell’aria, riavvolgendo il tempo e portandoci alle 7.25 dell’11 settembre 1844. Sul quarto molo del porto di New York sbarca l’ebreo aschenatiza Heyum Lehmann da Rimpar (modesto paese della Germania); nella fredda Baviera non lascia solo i parenti ma anche la sua identità: Henry Lehman è il nome con cui è registrato e che d’ora in avanti sarà costretto a utilizzare. Si trasferisce subito nel Sud Est degli Stati Uniti, a Montgomery (città dell’Alabama ricca di piantagioni di cotone) e lì apre un piccolo negozio dove vende tessuti. Lo raggiungono dalla Baviera anche i fratelli Emanuel e Mayer; insieme formano un trio che si combina alla perfezione, in cui ognuno contribuisce con la sua personalità differente: Henry è saggio e paziente, Emanuel è impulsivo e deciso, mentre Mayer media tra i due. Il ruolo di quest’ultimo all’interno della famiglia si rivelerà determinante negli affari, perché è proprio attraverso la capacità di mediare che i Lehman costruiranno la loro fortuna.
Dal commercio in stoffe alla compravendita di cotone grezzo, superando la Guerra di Secessione e l’avvento della ferrovia, i Lehman sapranno reinventarsi e superare le difficoltà. Se tuttavia il futuro sembra scintillante, la minaccia di un tracollo incombente invade prepotentemente gli incubi dei tre fratelli, un presagio del destino che attende la loro famiglia.
Nella sua ultima regia il compianto Ronconi ci lascia da equilibrista della messinscena: dosa sapientemente le parti narrate, recitate e cantate, realizzando un percorso narrativo lineare che corre lungo il fil rouge della deriva familiare:notomizza la crisi dei Lehman e la sviscera in tutti i suoi particolari, racconta di tre generazioni e delle loro degenerazioni.
Il lavoro certosino con Stefano Massini, scrittore del testo Qualcosa sui Lehman (tradotto in otto lingue e rappresentato in giro per l’Europa) su cui si basa l’opera, ha dato vita ad uno spettacolo in cui ogni elemento si combina con gli altri, come nel mosaico di insegne su cui si muovono i personaggi.
Lo spazio scenico è accuratamente assemblato da Marco Rossi: il piano inclinato del palco ricorda quello di una nave che affonda (come la deriva che aspetta la famiglia Lehman); l’orologio che ruota su sé stesso dà l’idea dell’eterno ritorno, e degli stessi sbagli in cui ricade l’uomo nella sua storia; infine, le evanescenti scritte ebraiche, disegnate dai protagonisti sulle quinte laterali, conferiscono alla rappresentazione un tocco magico e mistico.
Tra le eccellenti interpretazioni brilla Massimo Popolizio nella parte fratello minore Mayer, ma non di meno sono Massimo De Francovich nel ruolo di Henry – abile anche nella parte ballata –, Fabrizio Gifuni nell’interpretare Emanuel e Paolo Pierobon nelle vesti di Philip (il prodigioso figlio di Emanuel).
Uno spettacolo pluripremiato in cui si riflette divertendosi, attraverso un testo che racconta del continuo mutamento denaro: da frutto prezioso dei campi e del lavoro a prodromo di un’insaziabile sindrome dell’accumulo di ricchezza.
Mazeltov!
data di pubblicazione:28/11/2016
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